
Gabriel è il più piccolo di quattro fratelli. È affetto da una forma di "autismo atipico" (ADHD). Il bambino sembra in tutto e per tutto normale, ma ha un comportamento a prima vista "solo" divertente. La malattia lo rende incapace di affrontare le novità, l'imprevisto, ciò che non rientra nella routine e nelle regole e che lo spinge a prendere tutto quel che si dice alla lettera (per esempio alla domanda "Ti sei tagliato i capelli?" risponde "No, sono andato dal barbiere"). Ovviamente, in questa situazione, le difficoltà per il padre non sono poche, ed è proprio per far fronte al complicato compito cui è chiamato che il genitore inizia a scrivere questa lunga lettera a Gabriel, raccontando tutti gli aneddoti che gli vengono in mente, spesso buffi, certe volte drammatici e commoventi, per cercare di fare ordine in questa loro bizzarra esperienza. Attraverso il racconto, il padre scopre così quanta profondità ci sia nelle domande di Gabriel, ingenue e incalzanti al tempo stesso, come quando il figlio interroga il padre, a suo modo, sull'esistenza di Dio. Per il padre sarà l'occasione di rendersi conto con più chiarezza di quanta felicità ci sia stata nei mille momenti, pur difficili, del loro rapporto.
Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a mettere d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze – assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri – può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole.
Almeno il cappello racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori. E la scrive con la passione per l'intrigo, il brio e il buonumore, la verità e la semplicità che servono per farci capire la ricchezza e gli imprevisti che punteggiano tutte le nostre vite.
Nel 2009 Almeno il cappello ha vinto il premio Casanova, il premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante, il premio Campiello sezione giuria dei letterati, ed è stato finalista al premio Strega.
"Egli sempre procedeva soprattutto per intuizione. Non credeva all'evidenza degli indizi, alla certezza delle prove. Nessuna prova era certa. Nessun delinquente firma il suo delitto. Il caso lo firma". È un modo di muoversi e di pensare, quello del commissario De Vincenzi, che sfugge a ogni modello di detective fino a quel momento prevalente. Il suo creatore, Augusto De Angelis, in questo Sei donne e un libro, datato 1936, più di altre volte si sofferma a descriverlo. È un poeta, professionalmente e politicamente tiepido se non scettico; di letture eretiche per l'epoca. Ma quanto il suo creatore De Angelis possa qualificarsi come la fonte originale del giallo all'italiana, si apprezza soprattutto nelle ambientazioni e nelle atmosfere in cui fa muovere il suo investigatore: una Milano consapevole di essere moderna, che sta scoprendo di essere metropoli, animata dalle sculture meticolose di ogni personaggio che formano sempre dei piccoli spaccati sociali. Le sei donne del titolo sono quelle che hanno circondato il professor Ugo Magni, medico di successo, senatore, "un vittorioso, un fortunato della vita". Viene trovato ucciso nei locali di una piccola libreria. C'è un libro scomparso, conventicole dedite a spiritismo e una strana premonizione affidata a dei ferri chirurgici recapitati in questura dentro un camice bianco. De Vincenzi indaga tra interni Déco con dame stupende, tra esterni affaccendati e case di ringhiera in un universo di portinaie e popolani.
«Tutte le volte che andava via, la donna felicemente sposata si chiedeva che effetto doveva fare dormire con un altro uomo. Quel fine settimana aveva intenzione di scoprirlo»: così comincia questa raccolta di racconti. Con una frase che ne illumina subito il senso: l'irrompere dell'istante in cui la vita quotidiana fa improvvisamente naufragio e schiude l'oscurità che l'avvolge, l'abisso su cui è sospeso il suo ordine apparente.
Nel racconto che l'apre, Antartide, la «donna felicemente sposata» una sera prepara un piatto di pasta al forno per i bambini, va a riprendere i completi di suo marito in lavanderia e poi se ne va in città. In un bar si lascia approcciare da un tizio con una giacca di pelle, la carnagione rossastra, una catena d'oro che gli penzola dentro la camicia hawaiana, i capelli color fango. Un incontro che le rivela un'unica disarmante verità: che l'eternità e l'inferno sono la stessa cosa.
In Amore nell'erba alta, Cordelia ha quarant'anni, ma ha fatto ormai tutti i capelli bianchi in attesa che il suo amante dottore lasciasse la moglie. Un giorno fatidico si incontrano tutti e tre, il dottore, Cordelia e la moglie, ma siccome non sanno cosa fare o cosa dire, non fanno niente e non dicono niente. Se ne stanno semplicemente ad aspettare, tutti e tre: Cordelia, il dottore e sua moglie, tre mortali in attesa che qualcuno se ne vada.
In Dove l'acqua è più profonda, il racconto che dà il titolo alla raccolta, una ragazza alla pari fa sempre lo stesso sogno: è in cortile con il bambino, verso sera. La terra trema e, come una grande foglia di metallo, si apre in due inghiottendo il piccolo nelle sue viscere.
L'esito inaspettato è il procedimento tipico di questi racconti, ambientati parte in Irlanda e parte nel profondo sud dell'America. Svelano vite in cui sogni, ricordi e mutamenti possono comportare conseguenze devastanti; mondi dove ossessioni e oscure tensioni affiorano improvvisamente. Come Raymond Carver, Claire Keegan scava, con la sua innocente e ammaliante scrittura, nel lato oscuro della nostra esistenza.
«Una delle più grandi biografie del Novecento»: così il Times Literary Supplement ha definito questo libro. Un'opera che ha attratto nel tempo milioni di lettori e lettrici, tra le quali la regista Jane Campion che le ha dedicato uno dei suoi film più riusciti. Si potrebbero spiegare le ragioni di questa attrazione con la fascinazione che il tema Genio e follia - così nel 1922 Jaspers intitolò un suo celebre saggio - esercita da tempo immemorabile. La stessa Jane Campion, del resto, ha dichiarato di essersi accostata a Janet Frame e di aver concepito l'idea di un film sulla scrittrice famosa per aver trascorso otto anni in un ospedale psichiatrico e per aver subito più di duecento elettroshock, perché leggeva da bambina le sue opere ed era rimasta colpita dai passaggi poetici «che erano molto tristi ed evocavano il mondo della follia».
Quando, tuttavia, ha realizzato il suo film, la Campion si è limitata a raccontare la storia quotidiana di una donna dalla prima infanzia alla piena maturità, tenendosi ben lontana dal binomio genio-follia, arte-sregolatezza.
Di che cosa parla, infatti, Un angelo alla mia tavola?
Si potrebbe dire che parla di schizo-frenia, ma solo nel senso originario del termine su cui pure ha richiamato l'attenzione Jaspers: la mente scissa in due mondi, in questo caso il mondo della vita e quello dell'arte e dell'espressione.
Il mondo della vita è descritto in queste pagine nei suoi capitoli salienti: l'infanzia trascorsa a Dunedin, in Nuova Zelanda, nella povertà degli anni della Depressione; il trasferimento al sud, al seguito del padre ferroviere; i primi colpi che lasciano il segno: l'obesità infantile, la sgraziata adolescenza, la fatalità della morte con la prematura scomparsa della sorella Myrtle, l'orrore dell'ospedale psichiatrico; e poi la fuga, il tentativo di suicidio, il ritorno alla casa paterna.
Il mondo dell'arte e dell'espressione vive nella compagnia dei poeti - Shakespeare, Shelley, Keats, Dylan Thomas, T.S. Eliot, Auden - che come un teatro dell'immaginario subentra spesso alla triste scena del mondo reale e restituisce la felicità perduta.
Vive, infine, nella prosa stessa di Janet Frame, nella sua mobilità nervosa, nella imprevedibilità delle immagini e dello stile che ne fa una delle più grandi scrittrici del Novecento.
Con la presente edizione, che offre una traduzione aggiornata e rivista, l'opera appare per la prima volta nella Biblioteca Neri Pozza.
«Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»: è il celebre incipit dell'Anna Karenina di Tolstoj. Nella loro bella casa di Ann Arbor, in Michigan, dove un tempo erano una coppia felice di respirare ogni giorno «la stessa aria domestica», Frank e Ellie Benton sembrano perfettamente confermare la verità racchiusa in queste parole.
Dopo la morte di Benny, il loro bambino stroncato da una malattia improvvisa, ciascuno di loro ha coltivato l'infelicità a modo suo. Ellie si è ostinatamente rifugiata nel suo lavoro di psicoterapeuta; Frank, del tutto incapace di colmare l'assenza del figlio, ha via via nutrito un sentimento di aperta ostilità nei confronti di Ellie, come se la moglie fosse in qualche modo responsabile della sciagura abbattutasi sulla loro vita.
La memoria di quel che resta del tempo gioioso trascorso con Benny, i libri di Harry Potter, le foto di scuola, rappresentano una frattura insanabile, oltre che un ricordo straziante. La stessa Ann Arbor sembra un vuoto scenario, dove è impossibile strappare un motivo per alzarsi la mattina.
Accade così che Ellie decida un giorno di infrangere la regola che da sempre ripete ai suoi pazienti: non prendere nessuna decisione importante dopo un evento traumatico. Convince Frank ad accettare la proposta di andare a dirigere uno stabilimento a Girbaug, un villaggio sperduto nell'India rurale.
Sotto un cielo nuovo potrebbero forse ritrovarsi.
E una volta laggiù, in effetti, la solitudine personale sembra lenita dalla solitudine stessa del mondo. Tra incantatori di serpenti, mucche sacre e bisogni e abitudini semplici, Ellie ritorna alla vita. Presta assistenza volontaria in una clinica locale, dove riesce a instaurare autentici rapporti d'amicizia e ad aprirsi a sconosciuti e affascinanti saperi.
Lo stesso Frank si scopre capace di allontanare in qualche modo da sé il dolore quando fa il suo ingresso nella loro casa Ramesh, il figlio dei domestici. Su di lui riversa generosità e aspirazioni che al bambino sembrano essere sempre mancate.
Ma anche dove governa l'esistenza semplice, «con umanissimi e insopprimibili bisogni, desideri e aspirazioni», anche là si mostra la faccia oscura della vita.
Romanzo che esplora la fatica tutta umana di guarire dal dolore, e offre un ritratto vibrante dell'India e delle sue trasformazioni, Il prezzo del paradiso è una splendida conferma del talento di Thrity Umrigar, una scrittrice capace come poche di mostrarci gli odierni conflitti del cuore e della mente.
Pechino, estate 1983. Ma Jian, pittore e poeta sulla soglia dei trent'anni, lavora come fotografo presso il Dipartimento di propaganda della Federazione dei sindacati cinesi. Da poco gli hanno assegnato una casa che è diventata il suo prezioso rifugio, lo spazio franco dove poter scrivere, dipingere e incontrare amici, artisti e intellettuali liberi e scanzonati. La sua vita, tuttavia, è giunta in realtà a un punto di non ritorno. Separato dalla moglie, ballerina del corpo di ballo del Dipartimento, e padre di una bambina, Ma Jian ha visto spegnersi nel tradimento la storia con Xi Pong, la sua seconda compagna, e accrescersi invece di giorno in giorno la stupida arroganza della burocrazia del Dipartimento, che non ha mai smesso di prenderlo di mira chiedendogli pubbliche e insensate autocritiche. Dopo essere stato rilasciato dall'Ufficio di pubblica sicurezza, Ma Jian decide allora di dare una svolta radicale alla sua esistenza: abbandona il lavoro, mette insieme un cambio di vestiti, un quaderno, un rotolo di buoni per il riso, una copia di Foglie d'erba di Walt Whitman, e sale su un treno a vapore diretto a Urumqi, la regione più occidentale della Cina. Seduto nel suo scompartimento, col cuore che galoppa all'unisono col treno e in testa un unico pensiero - lasciarsi alle spalle il passato e andare il più lontano possibile, alla ricerca di sé e di un qualche senso del mondo - Ma Jian dà inizio alla sua straordinaria avventura: tre lunghi anni trascorsi sulle strade della Cina, nei grandi deserti dove la luce abbacinante e il calore cancellano i contorni del paesaggio e del corpo; sulle sponde dei laghi e degli immensi fiumi dove si avventurano i cercatori d'oro, e i pescatori di notte se ne stanno a parlare e a bere insieme attorno a un fuoco; sulle montagne sacre ai confini col Tibet, dove l'aria è così rarefatta che la voce scompare insieme con la lucidità dei pensieri, e dove le donne hanno guance e bluse intensamente rosse; sui grandi pascoli solcati da immensi greggi e mandrie; nei templi, nelle città, nei villaggi delle più svariate ed esotiche etnie del mondo.
È il 1578. Il giovane missionario gesuita Matteo Ricci trascorre alcuni anni in India, a Cochin, porto del Malabar, emporio delle spezie, città di coabitazione tra comunità religiose ed etniche diverse. È inviato dai superiori del collegio in cui vive a rintracciare un antico missionario, Padre Alvaro Penteado. Abbandonato dai connazionali, ma considerato un uomo santo dagli indiani, il vecchio, che non ha quasi più nulla di europeo, sembra confuso e schiacciato dai suoi fallimenti. Ma il suo racconto trascina il giovane, lo sommerge come le acque torbide della laguna di Cochin, guidandolo alla scoperta di un mondo smisurato e conturbante, conducendolo dove egli, con tutta la sua scienza e la sua razionalità, non avrebbe mai voluto o pensato di spingersi.
Sono pochi gli alpinisti che hanno affrontato la sfida per eccellenza della loro disciplina: i quattordici ottomila. Pochissimi quelli che ci sono riusciti. Fra le donne, che pure ormai contano scalatrici impareggiabili, come Catherine Destivelle e Ines Papert, nessuna è ancora riuscita a raggiungere un simile risultato e solo due per il momento sono in lizza dopo l'abbandono dell'italiana Nives Merai: la spagnola Edurne Pasaban e l'austriaca Gerlinde Kaltenbrunner. In questo libro Gerlinde racconta come è nata la sua passione per la montagna e le sfide impossibili, la decisione di abbandonare la sua professione per dedicarsi a tempo pieno all'alpinismo e, naturalmente, la descrizione dei suoi "primi" dodici ottomila, i successi, i momenti drammatici, la convinzione dell'importanza di sapersi fermare anche a un solo passo dalla vetta se le condizioni lo impongono, di rinunciare a una spedizione per salvare un compagno di cordata.
È l'anno 3689 e il pianeta Arbre vive un periodo di pace e serenità. Nel suo passato ci sono imperi, colpi di stato militari, gli Eventi Tragici e la Ricostituzione, il Primo, il Secondo e il Terzo Sacco, ma nei secoli è stato raggiunto un equilibrio. Gli scienziati, i matematici, i filosofi vivono chiusi nei loro "concenti", e si dedicano alla pura speculazione teorica senza avere nessun contatto con la tecnologia, che invece segna l'esistenza del resto della popolazione: gli "extramuros", sottoposti al Potere Secolare. Ma qualcosa minaccia l'ordine perfetto di Arbre: lo dimostra l'espulsione dal concento di Saunt Edhar, al canto struggente dell'Anathem, del sapiente Orolo, che osservando il cielo ha scoperto un oggetto luminoso in avvicinamento. Sarà il suo allievo prediletto, il diciottenne fraa Erasmas, ad avere una parte cruciale nel dramma che sta per svolgersi su Arbre. E toccherà a lui, alla compagna Ala e agli altri novizi esplorare il mondo di fuori: sino ai confini più estremi.
Un giovane di una tribù hopi, nel New Mexico, si caccia in un guaio molto più grande di lui quando cerca di impegnare per pochi dollari un diamante e viene accusato di aver partecipato a una rapina a mano armata terminata con la morte del gioielliere. Il ragazzo sostiene di aver ricevuto la pietra preziosa da un vecchio eremita incontrato nel Grand Canyon. Il tenente Joe Leaphorn, ormai in pensione dalla Navajo Tribal Police, e il suo vecchio collega Jim Chee credono nell'innocenza del giovane. Insieme si imbatteranno in una storia di cinquant'anni prima: uno spaventoso disastro aereo, un commerciante di gioielli diretto a New York dalla fidanzata incinta, una contesa eredità miliardaria. Ma nello sconfinato Ovest americano tutto è permesso e ci sono uomini disposti a tutto pur di impedire che la verità venga alla luce.
Contenuto
St. Anthony of Padua (1195-1231) is one of the most popular saints of Christendom, renowned for his miracles and his concern for the poor. It is less well known that he was the first great theologian and teacher of the early Franciscan Order. Commissioned by Francis himself to teach theology to the friars, he fulfilled this task by composing his Opus Evangeliorum, a set of Commentaries on the Sunday Gospels. This fourth and final volume contains the Saint’s unfinished work on the Festivals of the Church. He began it in the Autumn of 1230 at the request of Cardinal Rinaldo, later Pope Alexander IV. It was interrupted by the great Lenten Mission to Padua in the spring of 1231, and finally interrupted again when Anthony died on June 13. Starting with Christmas, it continues as far as the Apostles Peter and Paul.
Destinatari
All those who venerate Anthony of Padua as a saint, miracle-worker, preacher of the Gospel and heavenly intercessor.
Autore
PAUL SPILSBURY was born in Bristol, England, in 1939. He studied mathematics and philosophy at Nottingham University. He gained his Doctorate for his study of St Anthony’s methodology in expounding the Scriptures.