
Siamo in Tennessee durante gli anni della Grande Depressione. Un orfano di cinque anni viene affidato ai nonni Cherokee. Da oggi vivrà sui monti, nella loro capanna tra i boschi. Da oggi il suo nome sarà Piccolo Albero. Grazie a loro, e agli amici che incontrerà, scoprirà i segreti della natura e della vita.
Pubblicato per la prima volta nel 1976, Piccolo Albero fu un successo immediato, che conquistò rapidamente oltre un milione di lettori; ripubblicato nel 1991, dopo la morte dell’autore, vinse il premio ABBY come libro preferito dai librai americani, andò a occupare il primo posto nella classifica del New York Times e conquistò altri milioni di lettori, divenendo un vero e proprio classico della letteratura americana.
“La luce del Nord” è il monumentale romanzo storico dell’autrice americana Donna Gillespie, primo libro di una serie ambientata all’epoca dello scontro tra l’impero romano e le popolazioni germaniche. L’autrice, attraverso descrizioni vivide e dettagliate degli usi e dei costumi dei due popoli, dei complotti politici e delle strategie belliche romane in contrapposizione alle superstizioni e alle magie dei clan germanici, tesse la storia di due destini fatalmente incrociati da sacri amuleti, e conferisce a quell’epoca un fascino del tutto nuovo.
«Le conoscenze dell’autrice riguardo la vita sociale, politica e religiosa delle tribù germaniche e degli antichi romani, e la sua intuizione di come la storia sappia trasformare in mito le azioni umane ancorano La luce del Nord alla realtà… e tengono il lettore con il fiato sospeso…»
San Francisco Chronicle
«Uno spaccato intrigante di vita vissuta e conflitti politici, ma soprattutto di religione e analisi psicologica».
Publishers Weekly
«Un romanzo monumentale che la Gillespie è in grado di rendere sempre più intrigante ed emozionante».
The Washington Post Book World
Trama
Nel giorno della sua nascita, Auriane riceve da una sacerdotessa un misterioso amuleto e la profezia di una vita di gloria e di sventure. Figlia di un capo germanico, Auriane assiste agli orrori indicibili perpetrati da invasori spietati contro la sua tribù, e decide di consacrarsi alla vendetta. La fama delle sue mirabili gesta giungerà fino a Roma, alle orecchie del famoso statista Marco Giuliano, che al collo porta un amuleto identico e il cui destino si intreccerà presto con quello di Auriane…
Un avvincente romanzo storico ambientato all’epoca dello scontro tra l’impero romano e le popolazioni germaniche, in cui, con continui colpi di scena, si intrecciano battaglie, passioni e riti pagani.
L’autrice
A otto anni Donna Gillespie chiese come regalo di Natale un libro di archeologia: da allora è appassionata di storia e civiltà antiche. Durante le approfondite ricerche per La luce del Nord, si è immersa nel mondo della cultura romana e delle tribù germaniche leggendo qualsiasi libro riuscisse a scovare in materia. Vive a San Francisco e ha intrapreso la carriera letteraria dopo essersi occupata di fotografia e belle arti. La luce del Nord è il suo primo romanzo (1994), di cui nel 2006 è uscito il seguito, Lady of the Light. Sta scrivendo il terzo libro della serie.
In breve
"E tutto è di nuovo come prima. Allora si alza, mi tende la mano e dice: 'Torniamo a casa, Gretel'. E io lo seguo. Seguo Ulisse Bernardini, mio padre, sangue mio". Mancano pochi giorni alla fine della pena per rapina a mano armata e omicidio, quando Ulisse Bernardini riceve una lettera; è di sua figlia Gretel, una ragazza di vent’anni che non ha mai conosciuto e che ora gli chiede di poterlo andare a trovare in carcere...
Il libro
Mancano pochi giorni alla fine della pena per rapina a mano armata e omicidio, quando Ulisse Bernardini riceve una lettera; è di sua figlia Gretel, una ragazza di vent’anni che non ha mai conosciuto e che ora gli chiede di poterlo andare a trovare in carcere.
Ulisse è stato un bandito, un rapinatore di banche, affascinante, intelligente, amante della bella vita, ma adesso non vede alcun futuro davanti a sé.
Padre e figlia si incontrano. C’è dell’imbarazzo. C’è dell’emozione. Lei rompe il ghiaccio e invita il padre a un viaggio verso Sud. A bordo di una Panda, lungo le strade che tagliano l’Italia in verticale, i due imparano faticosamente a conoscersi finché Gretel mette Ulisse davanti a un dilemma atroce.
Romanzo on the road, romanzo di sentimenti, romanzo di valori che si ritrovano, Sangue mio è una storia che vuole colpire al cuore. E ci riesce.
Ho creato io questo mondo e lo posso cambiare
e migliorare ogni volta che lo desidero.
Dopo aver accumulato dodicimila ore di volo e pilotato ogni tipo di aereo, Jamie Forbes sente di avere abbastanza esperienza e umiltà per diventare istruttore. Un mattino di settembre, durante un volo, intercetta il disperato SOS di una donna: Maria è a bordo di un piccolo velivolo ma il pilota, suo marito, ha avuto un malore. Con voce dolce e decisa, Jamie la convince via radio a comportarsi come il comandante di un volo di linea, riuscendo a guidarla in un insperato atterraggio di fortuna. Maria si convince di essere stata ipnotizzata dalle parole del pilota, proprio come trent’anni prima l’illusionista Blacksmyth aveva ipnotizzato Jamie… Con la limpida semplicità di sempre, Richard Bach racconta una storia illuminante, di sogni e illusioni, speranza e voglia di libertà. Come il gabbiano Jonathan Livingston, tutti, se lo desiderano, possono imparare a volare.
Richard Bach (1936), scrittore e pilota d’aereo, ha conquistato un’immensa popolarità con Il gabbiano Jonathan Livingston, uno dei più grandi successi editoriali di tutti i tempi. È autore di molti altri romanzi e racconti, tra cui ricordiamo Illusioni, Uno, Le ali del tempo e La magia del volo, tutti disponibili in BUR.
In tanta narrativa di cartapesta che affligge le patrie lettere,
Cordelli spicca per il suo fascino ispido,
per la sua forte identità scevra da compromessi.
Enzo Golino, “la Repubblica”
“Le mie passeggiate, Procida, il cane, il passato tremendo e il passato remoto, Costanza, la cartolina, i critici, il rimuginare. Ce n’è abba stanza per ricominciare. Ma si può trovare del ridicolo in tutto ciò. Del resto sarebbe sorprendente se non fosse così. Si comincia con una visione, un’euforia. L’incipit è sempre paradossale.” Inizia così Le forze in campo, con un “incipit paradossale” che sembra contenere delle scuse anticipate per non aver saputo vincere la ten tazione di narrare un’estate romana indigesta e torrida, immersa nell’atmosfera stordente della capitale negli anni Settanta. Nello stralunato diario di un boxeur in pensione, riciclatosi istruttore di tennis e nuoto presso un circolo sportivo all’Acqua Acetosa, la storia si avvolge attorno a una galleria di personaggi eccentrici e intriganti. Tra lezioni, pettegolezzi, invidie e svogliate passioni amorose, Le forze in campo, scritto da Franco Cordelli nel 1979, rimane un esempio di scrittura raffinata che si sposa con il piacere della lettura.
Franco Cordelli, scrittore e critico teatrale e letterario, ha esordito nel 1973 con il romanzo Procida, ripubblicato da Rizzoli nel 2006 in una versione interamente riscritta. Tra le sue opere ricordiamo Pinkerton (1986), Un inchino a terra (1999), Il duca di Mantova (2004) e il suo ultimo libro, La marea umana (Rizzoli 2010). Collabora con il “Corriere della Sera”.
“C’è così poca immaginazione nel mondo.
Una persona come me
è praticamente sola.
Se voglio vivere nel mondo
dove vivono gli altri
devo fare uno sforzo speciale.”
“Quando finisco con lo specchio
prendo un po’ di libri e di fogli
e li allineo sul tavolo per farli stare
paralleli al bordo.
Mi assicuro che nessun oggetto
ne tocchi un altro e che siano tutti
distanti uguale. Vado per approssimazione,
senza righelli o altro,
e questa cosa di allineare
la faccio da quasi un anno.
È come strapparsi i capelli.
In pratica è magia contro infinito.”
Mathilda ha tredici anni, squadra il mondo come un raffinato geometra, lo cataloga con la precisione di un matematico, non ha ancora avuto esperienze sessuali e ha una sola amica, più bella di lei. Ma, soprattutto, non distoglie lo sguardo da quelle situazioni che tutti sembrano voler ignorare: come ad esempio il fatto che la sua amata sorella maggiore, Helene, sia morta, spinta sotto un treno da uno sconosciuto, ancora a piede libero. O almeno così si dice. I genitori si aggirano per casa, e nella vita della figlia, come sonnambuli e Mathilda decide che la sua missione sarà riportarli in vita e sentire di nuovo il loro calore. La sua strategia? Essere cattiva, trovare l’assassino di sua sorella, e, nel frattempo, imparare ad amare un ragazzo dai capelli viola che le piace parecchio, anche se non sa confessarlo neppure a se stessa. Il primo passo è giocare scherzi perfidi ai genitori per tenerli desti e far sì che abbiano una minima percezione della sua esistenza; e poi frugare, come un’innamorata, tra i segreti di sua sorella e scoprire delle tracce: i suoi vestiti, i diari e, soprattutto, la sua posta elettronica, se solo riuscisse a scoprire quella maledetta password. In un viaggio che è, insieme, passaggio all’età adulta, scoperta del mondo, indagine poliziesca Mathilda dovrà rischiare molto, dovrà mollare gli ormeggi dell’infanzia, avventurarsi in mare aperto e scoprire il mondo e se stessa. Divertente, toccante, avventuroso, sognante Mathilda è stato il miglior debutto narrativo della stagione letteraria negli Stati Uniti secondo Barnes & Noble. Ma soprattutto, una volta fatta la conoscenza di Mathilda, non la dimenticherete più.
Victor Lodato è sceneggiatore, poeta e romanziere. I suoi testi sono stati pubblicati su varie riviste, tra cui la “North American Review”, la “Virginia Quarterly Review”, la “The Southern Review”, la “Northwest Review” e la “New American Short Plays”. Mathilda è il suo primo romanzo.
All'inizio di questo romanzo Duddy Kravitz ha 15 anni, ma si rade due volte al giorno nella speranza di farsi crescere il più in fretta possibile la barba. La sua vita non è facile, nel ghetto ebraico di Montreal, e la profezia del nonno ("un uomo senza terra non è nulla") incombe sul suo futuro come una condanna. O un invito a non arretrare di fronte a nulla pur di raggiungere lo scopo. Ed è in questo senso che Duddy la interpreta, costruendosi passo dopo passo una carriera di cialtrone, bugiardo, baro, libertino - in altre parole di sognatore professionista, visto che il suo ultimo approdo, che gli garantirà denaro e gloria, sarà il cinema.
«Ezra Pound ha affermato che la letteratura è una notizia che rimane sempre fresca. Non c'è definizione migliore di questa per I girovaghi, lo straordinario nuovo romanzo di Yiyun Li. In questo libro, storia e memoria s'incontrano nel modo più crudo e riuscito».
Colum McCann
Il primo giorno di primavera del 1979 non segna un passaggio di stagione come tutti gli altri per Fiume Fangoso, una cittadina industriale nel cuore della Cina: ottantamila abitanti stipati in casette cubiche dalle pareti sottilissime, vicoli sterrati, minuscoli cortili tutti identici fra loro.
A incrociarsi, il mattino del giorno stabilito per l'esecuzione di una «controrivoluzionaria», sono i destini degli ultimi della città: maestro Gu e sua moglie, sfortunati genitori di Shan, la condannata, Tong, il ragazzino di campagna, vecchio Hua e sua moglie, raccoglitori girovaghi di rifiuti e neonate abbandonate; oppure Nini, undicenne deforme dallo sguardo penetrante, e l'imbelle Bashi, con la sua insaziata curiosità verso le ragazzine, o il solitario vecchio Kwen, incattivito come il cane nero che tiene alla catena.
Ma sarà un giorno decisivo anche per chi all'apparenza ha tutto ciò che si possa desiderare, come la bella Kai, annunciatrice del partito e moglie di Han, politico in ascesa. L'esecuzione della «controrivoluzionaria» porterà al pettine i nodi che aggrovigliano gli abitanti di Fiume Fangoso, i quali si ritroveranno dopo quindici giorni nella piazza principale, a testimoniare con un fiore bianco di carta velina la loro silenziosa ribellione. E dalla capitale giunge l'eco di un cambiamento, nel segno del Muro della democrazia...
Attingendo a episodi della sua infanzia e adolescenza, Yiyun Li, con una scrittura precisa e armonica, una compassione trattenuta e un sentito rigore anche nel narrare gli episodi più efferati della quotidianità nella Cina totalitaria, disegna un quadro plumbeo come le acque del fiume che bagna l'anonima città industriale. A tratti, però, in tanta tetraggine si aprono squarci di speranza: protagoniste, perlopiù, sono le donne, tenaci e coraggiose nel tenere alta la voce della vita e della giustizia. E pronte, come Nini, a ripartire girovagando, alla ricerca testarda di uno scorcio di libertà.
«La mia Delahaye appariva piovuta da Marte, a ogni sosta si formavano crocicchi di adulti e bambini con la bocca aperta. Il ritorno dall'America cominciava a piacermi; godevo che mi giudicassero di un altro mondo, uno con i dollari, uno che aveva avuto successo».
Con il suo macchinone Willy Melodia attraversa campagne - da Napoli a Catania - «che non si sono messe in pari con le stagioni»: è l'Italia del dopoguerra, in cui la gente ha imparato a trattenere l'anima con i denti, ma procede di fretta per non perdere l'appuntamento con un domani migliore.
Per questo l'idea di aprire un ristorante a Taormina, sul modello dei locali americani in cui Willy ha suonato il piano per quindici anni, si rivela vincente. La fama del Paradise, della sua cucina originale, del suo pianista d'eccezione, supera ben presto lo Stretto, e con l'inaugurazione del festival del cinema diventa il ritrovo delle star, da Marlene Dietrich ad Ava Gardner, da Rock Hudson a Orson Welles.
Ma il passato ci precede. In America, infatti, Willy ha lasciato i suoi due figli, Sal e Sarah, uno all'oscuro dell'esistenza dell'altra, e deve continuamente fare i conti con i sensi di colpa di un padre per corrispondenza. In Italia, poi, è rientrato per volere di Charles «Lucky» Luciano, che continua a manovrare la sua esistenza, ad esempio facendolo correre a Mussomeli a controllare lo svolgimento delle elezioni politiche del '48; o catapultandolo a tavola con Salvatore Giuliano, il bandito più ricercato d'Italia. E così sulla sua recita da uomo delle stelle, che ogni sera può scegliere fior da fiore tra le donne che gli si radunano attorno, si abbassa continuamente il sipario. Perché a volte «non esiste maledizione peggiore di un sogno che si avvera».
Iran, 1920. Shapur ha dieci anni e sa che quella notte non riuscirà a chiudere occhio. Il giorno seguente, infatti, suo padre lo condurrà con sé nella città di Yadz, la sposa del deserto, nel negozio di dolciumi più rinomato di quelle parti. Shapur sente già in bocca il sapore delicato del caramello e del burro e pensa che non esista felicità più grande di quella che lo aspetta. L’indomani, però, un infausto incidente rovina le sue aspettative. Quando l’ombra di suo padre sfiora inavvertitamente un reale musulmano, l’uomo viene preso a calci, gettato a terra, la polvere a insozzare gli abiti nuovi. Quel giorno la vita di Shapur cambia per sempre: suo padre, incapace di sopportare le umiliazioni inferte alla sua gente, gli zoroastriani, decide di lasciarsi alle spalle la terra che ama e di partire per inseguire un destino migliore.
Il lungo viaggio li conduce a Dahanu, un piccolo villaggio alle porte di Bombay. Padre e figlio non possiedono nulla, ma la scoperta di un frutto dal sapore dolcissimo cambierà la loro vita per sempre.
Ottant’anni più tardi Shapur è diventato ricchissimo, la sua fortuna risiede tutta nella terra che lo ha accolto molto tempo prima, in quel frutto, la sua piantagione è cresciuta e per lui è la figlia prediletta. Da anni nella sua vita non esiste che quello, ma ora è giunto il momento di ritirarsi e, tra tutti i figli e i nipoti, Shapur ha scelto il suo erede, colui che custodirà le sue memorie, la sua storia. Zairos è giovane, viziato, ma Shapur nei suoi occhi ha visto se stesso e vuole donargli ciò che ha imparato.
Quando, però, Zairos si innamora di una schiava warli, una donna indegna, è costretto a mettere in discussione tutto il suo mondo. Attraverso quell’amore proibito scoprirà un segreto riguardante la sua famiglia che il nonno aveva cercato di seppellire più di cinquant’anni prima.
Londra, 1587. Sono le mani delicate a tradire le nobili origini della fanciulla: non sarebbe altrimenti riconoscibile il suo corpo, tanto è martoriato. Chi le ha dato la morte si è accanito barbaramente su di lei e sul feto che portava in grembo. Fino a marchiarla con evidenti segni di profanazione: una croce incisa sulla schiena con una lama; un frammento di osso, forse una reliquia, e un crocifisso d’argento introdotti con spudoratezza nelle sue membra.
Difficile non vedere motivazioni politiche dietro al delitto. Non solo perché la giovane lady Blanche era cugina della regina Elisabetta I. Ma anche perché il suo cadavere è stato ritrovato in una tipografia clandestina data alle fiamme, tra documenti compromettenti e lettere minatorie per la Corona. E perché i simboli del sacrilegio fanno ipotizzare che la ragazza nutrisse simpatie papiste: gravissimo reato in un’Inghilterra divisa dagli odi religiosi, dove i cattolici sono messi al bando e considerati cospiratori. Un caso tanto delicato esige un abile segugio. La scelta cade quindi su John Shakespeare, principale agente segreto della regina, nonché fratello di un drammaturgo emergente di nome William. Giovane e idealista, John è un uomo retto, in cerca di verità e giustizia. Ma anche lui, addentrandosi in un mondo carico di tensioni e intrighi, dove c’è chi è disposto a uccidere in nome di Dio, rischierà di essere travolto.
In principio c’è De Roberto. Nel 1897, più di un secolo prima dell’esplosione del genere poliziesco nella letteratura italiana, uno dei grandi maestri del nostro Ottocento dà alle stampe un romanzo tutto imperniato sull’indagine indiziaria attorno a un caso scabroso ambientato in una signorile dimora sul lago di Ginevra. La facoltosa contessa d’Arda, legata al rivoluzionario russo Alessio Zakunine da una lunga, e ormai contrastata convivenza, muore con un colpo di rivoltella alla tempia nella sua stanza da letto, in una mattina d’autunno del 1894. Ad accorrere sulla scena, oltre al principe nichilista, la giovanissima slava Alessandra Natzichev, sua compagna di fede politica, e Roberto Vérod, scrittore inquieto, legato alla vittima da qualcosa di più che una calda amicizia. Si apre così un romanzo che sin dalle prime righe avvince il lettore in una morsa e lo trascina nel continuo oscillare tra due ipotesi contrapposte: delitto passionale o suicidio? A sciogliere l’enigma è chiamato un magistrato di lungo corso, Francesco Ferpierre, subito preda di un’ansia investigativa che, in assenza d’indizi inoppugnabili, lo porta ad aggrapparsi al suo collaudato intuito e alla capacità di intravedere i moti dell’animo umano. Saranno il suo sguardo inquisitore, i suoi dubbi e i suoi espedienti al limite delle regole, ad accompagnare il lettore nella ricostruzione di una vicenda nella quale magistralmente s’incarnano le contraddizioni e i dilemmi di quel fine secolo: le positivistiche certezze della ragione e il richiamo della fede in un Dio pietoso; l’inestinguibile lotta tra il bene e il male, tra l’ardore delle passioni e le convenzioni sociali, tra la tentazione intimista e l’afflato rivoluzionario. Sostenuto da una lingua capace di assecondare ogni sfumatura e ogni contorno dei gesti e dei pensieri dei protagonisti, l’intreccio inaugura uno stratagemma narrativo destinato a diventare un canone per tanta letteratura e tanto cinema successivi: quello dell’investigatore capace di immedesimarsi nei panni dei diversi personaggi, via via che la ricostruzione pare identificare nell’uno o nell’altro il colpevole del delitto o viceversa propendere per la pista del suicidio. Lo «spasimo» che accomuna tutti i personaggi finisce in tal modo per annidarsi anche nell’animo del lettore, fino all’ultimo imprevedibile colpo di scena. Pubblicato tre anni dopo I Viceré, Spasimo fu accolto con le curiosità e le polemiche riservate alle opere veramente innovative, per essere poi consacrato, nel corso del secondo Novecento, come il primo e più significativo esempio di romanzo investigativo italiano. «Stupisce la modernità di Spasimo, la sua originalità poliziesca – osserva Massimo Onofri nell’Introduzione – ed è proprio nella costruzione e nel formidabile intreccio del dramma giudiziario che sta la qualità prima del romanzo».
L'AUTORE
Federico De Roberto (1861-1927) nacque a Napoli da famiglia aristocratica e trascorse gran parte della sua vita a Catania. Scrittore d’ispirazione verista, ebbe come maestri Verga e Capuana, ed esordì nel 1889 col romanzo Ermanno Reali. Trasferitosi a Milano, fu introdotto da Verga negli ambienti letterari in cui conobbe scrittori, giornalisti, musicisti e uomini di teatro. Il suo capolavoro, I Viceré, considerato uno dei maggiori romanzi dell’Ottocento italiano, è del 1894. Autore di numerose novelle, raccolte in più volumi a cavallo dei due secoli, De Roberto scrisse anche diverse opere critiche, tra cui una monografia su Leopardi. Morì a Catania nel 1927.