
Un caso di follia. Roseanne McNulty è chiusa in manicomio da molti decenni, impegnata a redigere meticolosamente e in assoluta clandestinità i suoi diari. Roseanne ci racconta di una vita avventurosa: sposata e poi ripudiata a causa di un breve incontro con un ribelle conosciuto durante la guerra civile irlandese, Roseanne vive del poco che le resta. A interrompere la sua solitudine, una notte d’amore in cui viene concepito suo figlio. Poi più nulla nei suoi ricordi, solo le mura scrostate di quel fantasmatico e sinistro manicomio. Anche il dottor Greene, lo psichiatra che ha in cura da trent’anni Roseanne, affida alla scrittura di un diario le sue considerazioni sulla propria esistenza e su quella strana paziente, sempre più convinto che il suo internamento celi ben altri misteri. E sarà proprio la rivelazione del segreto custodito da anni nella memoria di Roseanne a sconvolgere la sua vita e quella del dottor Greene. Il segreto è un romanzo che appassiona e avvince, fa correre il lettore sul filo di lama che separa la cattiveria degli uomini e il loro insopprimibile bisogno di verità; la luce della scienza e le oscure profondità dell'anima; la normalità e la follia. Un romanzo pluripremiato: vincitore del Costa Novel of the Year Award e del Costa Book of the Year Award. Finalista al Man Booker Prize e al Los Angeles Times Book Award. Vincitore del Hughes & Hughes Irish Novel of the Year e del Tubridy Show Listeners’ Choice Award.
Sebastian Barry è nato a Dublino nel 1955, figlio dell’attrice irlandese Joan O’Hara. Ha studiato al Trinity College. Ha ricoperto varie cariche accademiche, tra cui la Honour Fellowship in Scrittura all’Università dell’Iowa, e quella di Writer Fellow presso il Trinity College. È drammaturgo, romanziere e poeta. Anche il suo romanzo del 2005 A Long Long Way è stato finalista al Man Booker Prize.
Chi è Jack Mortimer e perché, appena è salito su un taxi alla Westbahnhof di Vienna, qualcuno gli ha sparato uccidendolo sul colpo? E perché mai doveva salire proprio sul taxi del giovane Ferdinand Sponer, che ha già parecchi problemi - soprattutto quello di essersi perdutamente innamorato di una fanciulla troppo bella, troppo ricca e troppo aristocratica per lui? Anche lei, il giorno prima, era salita sul suo taxi, ed era stata come un'apparizione: «grandi occhi grigi sotto l'orlo di una veletta», «le spalle cinte da una stola di volpe» - e per di più, come aveva facilmente scoperto l'abbagliato tassista dopo averla accompagnata a casa, contessa. Nel corso di una sola notte, l'ignaro Ferdinand Sponer si trova preso in una girandola di peripezie iperbolicamente tragicomiche, nel corso delle quali, per liberarsi dell'ingombrante cadavere, sarà costretto ad assumere lui stesso l'identità del morto e ad affrontare, nella suite di un albergo di lusso, la donna che è stata la sua amante e il di lei furibondo marito. Ma questo è solo un minuscolo segmento della incontenibile trama. Rare volte il romanzo novecentesco è stato animato da un tale strepitoso ritmo, che obbliga il lettore a seguire passo per passo - e quasi attimo per attimo - una vicenda che è tanto più ossessiva quanto più imprevedibile.
Hofmannsthal è il cardine di questa magistrale opera al tempo stesso critica e narrativa, dove Broch ci conduce lungo traiettorie concentriche nello spazio e nel tempo. Ne risulta il ritratto di un’epoca in cui si sviluppò tumultuosamente «il moderno», e che sembrò culminare nella Vienna dei primi due decenni del Novecento – epoca di immensa ricchezza e al tempo stesso minacciata da un irreprimibile vuoto e dalla corrosione di ogni valore. Broch la ritrae in ogni sua sfaccettatura in Inghilterra, Francia e Germania, prima di concentrare il suo sguardo sull’Austria absburgica, « il paese felice senza speranza», il luogo dove la crisi ha toccato l’acme e l’orpello abbellisce qualcosa di sempre più inconsistente. Soffermandosi su Hofmannsthal, nel cuore del libro, Broch ne ricostruisce la storia familiare, per poi raccontarne l’infanzia e adolescenza di ragazzo prodigio, l’isolamento fra i letterati viennesi, la disperazione di fronte alla crisi del linguaggio e la ricerca di nuove vie là dove «la parola non sa più dire la cosa». Una dialettica fra negazione del ruolo di scrittore e urgenza espressiva che appartiene allo stesso Broch, il quale, rispecchiandosi nell’ansia etica di Hofmannsthal, e narrandoci con tanta partecipe sapienza il suo tempo, ci regala anche una profonda e rivelatrice autoanalisi.
Della sua lontana carriera di modella Emilia non ha conservato molto, tranne una nervosa tolleranza verso l’eccentricità. Eppure la proposta che le arriva all’improvviso da una sua vecchia conoscenza nel mondo della moda, l’ineffabile signor Morita, la lascia per un attimo interdetta: si tratterebbe infatti di curare nei minimi particolari, a partire dagli abiti ma arrivando alla coreografia e anche oltre, le settantadue ore che alcuni turisti giapponesi amano trascorrere a Roma per ricevere, in una cerimonia che al ritorno presenteranno come un matrimonio esotico, la benedizione della Chiesa cattolica. Essendo nata in sartoria, e dopo anni di passerella, Emilia ha visto ben altro: i capricci di Audrey Hepburn e Ava Gardner, ad esempio, o le bizze di vari stilisti. Ma la sua perplessità non è di carattere professionale. Accade infatti che il lavoro di Morita consista nella messinscena, e quindi nella parodia, di un matrimonio, e che al matrimonio Emilia non pensi volentieri: molto tardivamente quello con Paolo, tenuto in piedi a forza quasi dagli inizi, si sta sciogliendo, mentre sua figlia Sofia, risucchiata da una brillante carriera di fotografa, ha una vita sentimentale che la Chiesa non benedirebbe mai. Eppure alla fine Emilia accetta, innescando una catena di eventi lievemente surreali che punta dritto al cuore nero di una vita molto diversa dal suo book. Nei suoi libri precedenti, Letizia Muratori aveva dimostrato di saper fondere a freddo il riso e l’angoscia, l’intermittenza della commedia e la voragine improvvisa del silenzio. Qui la fusione è invece calda, e il ritratto di una donna, delle sue solitudini, della penombra dolorosa cui non riesce a strapparsi si legge d’un fiato: temendo sempre più – e a ragione – l’arrivo della luce.
"A cinque anni, una sera in cui i miei genitori erano andati al cinema, svegliandomi nel buio mi misi a gridare terrorizzato. Dopo pochi minuti, che a me sembrarono ore, venne in camera mia la fedele Cristina, una vecchia domestica afflitta da una leggera forma di demenza e che si credeva sposa di Gesù. Per calmarmi, mi raccontò una storia..." Nelle storie l'uomo nasconde la sua sapienza. Dentro dei semplici racconti incastona i suoi valori e i suoi insegnamenti, risponde ai suoi interrogativi più potenti. In questo libro Jodorowsky ha scelto il meglio delle favole di saggezza delle culture di tutto il mondo: sufi, mediorientale, ebraica, indù, cinese, buddhista... E con la sua lettura e la sua interpretazione ne ha tirato fuori gli aspetti più mistici, e quelli più quotidiani. Perché anche gli adulti, a volte, hanno bisogno di favole. "Ognuno dei racconti che riporto in questo libro mi ha aiutato a placare la mia fame e la mia sete. Sono tutti delle metà che ci vengono offerte dalla tradizione orale. Le altre metà abitano già nella nostra anima. Unendo ogni racconto con la sua interpretazione, plachiamo un poco la nostra fame."
“Da Socrate ho imparato la passione per la conoscenza, da Platone il vero volto dell'amore; da Epicuro l'amicizia e la felicità, da Eraclito l'idea che tutto scorre. È stato un santo come Agostino a farmi capire il senso del peccato, da Erasmo ho appreso un nuovo modo di guardare alla follia, da Nietzsche come superare la morale comune. Sono stati due scienziati, Galileo ed Einstein, a darmi una lezione sulla forza della curiosità intellettuale e su come ogni cosa dipenda dai punti di vista. Tutto questo adesso vorrei insegnarlo a te,lasciartelo in eredità.” Questo nuovo libro di Luciano De Crescenzo è una lettera d'amore. Verso il nipote Michelangelo, verso tutte le nuove generazioni, e verso la filosofia. La dimostrazione di come Socrate e compagnia bella possano rendere migliore la nostra vita.
L’opera è composta da diciannove capitoli, diciannove quadri strettamente correlati. Tutto inizia con l’inquietante tensione de L’orazione funebre, che ci fa entrare nella vita di una bambina sveva che assiste al funerale del padre. Ne Il bagno svevo conosciamo tutta la famiglia: il bambino più piccolo, la madre, il padre, la nonna, il nonno, che approfittano dello stesso bagno caldo, dello stesso sapone, per lavarsi, uno dopo l’altro, per poi tutti insieme sedersi a vedere il film del sabato. Completa il quadro La mia famiglia, dove l’autrice approfondisce ognuno dei personaggi e traccia il loro albero genealogico. Queste tre prime scene sono il preambolo di Bassure, il capitolo più lungo, dominato dalla ricchezza lirica della prosa e l’iridescenza poetica dei pensieri. La natura si fa protagonista, con i fiori, le acacie, le mosche, i maiali, le rane, i gatti e un’infinità di elementi e personaggi che vanno a formare il quadro più colorito dell’opera, per manifestare la sofferenza, l’isolamento e l’abbandono in cui versano la sua famiglia e il villaggio svevo. Per essere ancora più chiara, la bambina racconta il lavoro del padre in Pere marce. La ritroviamo mentre balla in Tango soffocante e, convertita in adolescente, balla anche ne La finestra. Apparirà ne L’uomo con la scatola di fiammiferi. Racconta le vacanze dei genitori al mare, parla della sua solitudine, della successione dei dittatori, degli assassini della mafia, fino a descrivere in un Giorno feriale la sua vita in fabbrica.
Alessandro ha sempre la testa fra le nuvole: è impiegato alle Ferrovie dello Stato ma scrive racconti per il «Corriere dei Piccoli», è marito e padre di famiglia ma sembra dare il meglio di sé negli scherzi e nelle chiacchiere con gli amici. Nella sua vita però, quando è stato necessario, non sono mancati piccoli atti di eroismo, come quando, durante la prima guerra mondiale, è riuscito coraggiosamente a evitare una tragedia in caserma, o come quando diffondeva l'«Avanti!» nella Roma occupata dai tedeschi.
Assunta ha sempre i piedi per terra: concreta, precisa, volitiva, per non dire testarda. Ama la campagna, le persone umili, gli animali. Ama il lavoro silenzioso e le cose essenziali, il figlio prima di tutto.
La storia di Assunta e Alessandro è la vicenda umana di due italiani lungo gran parte del Novecento. È la storia delle loro origini, delle loro formazioni, del loro incontro, del loro matrimonio, della loro felicità e delle loro delusioni. Raccontata dal figlio, che un po' fa lo storico familiare, un po' divaga e commenta con ironia: due strategie complementari per distanziare la commozione. Così come il ricordo doloroso della vecchiaia dei genitori, e delle loro morti, mantiene tutto il calore affettivo ma riesce a trasformarsi in alta meditazione di stampo classico, cercando di inseguire il senso che si cela dietro alla vicenda di ogni esistenza.
Ma nel libro c'è, fortissima, la presenza di un ulteriore protagonista dopo Alessandro, Assunta e l'ombra del narratore. È la città di Roma, che pulsa nelle descrizioni e nei ricordi dando ritmo a tutta la narrazione. Una Roma non da cartolina, collettore affettivo, legame fra generazioni diverse e simbolo difficilmente superabile degli infiniti avvicendamenti umani.
Raccontare la vita della gente comune, la «polvere degli umili» negli ingranaggi della Storia, è il compito principale che il romanzo moderno si è dato.
Ma qui Asor Rosa si occupa di due persone normali che hanno per lui un valore del tutto speciale: i suoi genitori. Riportare alla luce le loro vicende, attraverso i documenti e lo scavo memoriale, significa raccontare un uomo e una donna che hanno attraversato il Novecento, ma anche interrogarsi sul senso delle vicende umane: mai insignificanti se osservate dal punto di vista delle conseguenze.
Da una storia familiare, intrecciando toni diversi - oggettivo, ironico, affettivo, meditativo - Asor Rosa è riuscito a dar vita a un romanzo coinvolgente ed emblematico per tutti.
Alberto Asor Rosa (Roma 1933) ha segnato i suoi esordi con la demistificazione dei principali «luoghi comuni» della cultura letteraria contemporanea (Scrittori e popolo, 1965; nuova ed. Einaudi, Torino 1988), per occuparsi poi di argomenti relativi al Trecento e Cinquecento, al Seicento (La cultura della Controriforma, Laterza, Bari 1974), all'Ottocento (Manzoni, Verga e il verismo), al Novecento (La cultura, Einaudi, Torino 1975), nonché di critica militante (ha seguito e continua a seguire la produzione letteraria contemporanea). Recentemente ha raccolto in volume i suoi saggi sulla cultura e la letteratura italiana ed europea del secolo passato (Un altro Novecento, La Nuova Italia, Firenze 1999). Ha pubblicato una Storia della letteratura italiana (La Nuova Italia, Firenze 1973, piú volte ristampata) e ha diretto la Letteratura italiana Einaudi. Nel 2002 sono usciti il romanzo L'alba di un mondo nuovo, «Supercoralli» e La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana. Nel 2005 ha pubblicato nella collana «L'Arcipelago Einaudi» Storie di animali e altri viventi, nel 2009 i tre volumi della Storia europea della letteratura italiana («Piccola Biblioteca Einaudi») e nel 2010 il romanzo Assunta e Alessandro. Storie di formiche («Supercoralli»).
“Addio al calcio”, di Valerio Magrelli, si presenta come un libro ibrido, a cavallo fra generi diversi. Strutturato come una raccolta di novanta “racconti da un minuto”, e diviso in due “tempi” di quarantacinque minuti ciascuno, il volume conduce il lettore attraverso aneddoti, ricordi, microbiografie, realizzando una sorta di immersione totale nell’universo di una passione vissuta e insieme sognata. Mentre si alternano le immagini di campioni antichi e moderni, Magrelli si concentra sul particolare legame che unisce in questo gioco la figura del padre a quella del figlio. Trasmesso di generazione in generazione, il calcio appare allora come una staffetta, un pegno, un’umile divinità domestica chiamata a vegliare sul futuro delle famiglie italiane.
Lara Rebecca Ramones ha trentacinque anni e nella vita non ha fatto altro che spostarsi, cambiando casa, città, amici e, soprattutto, uomini. Nata da padre spagnolo e da madre finlandese, si è sempre considerata diversa dalle altre: troppo bruna per le strade di Helsinki, troppo pallida per le spiagge di San Sebastiàn. Fin da piccola, il lavoro del padre l’ha costretta a girare per l’Europa; poi, una volta cresciuta, quella di non avere fissa dimora è divenuta una scelta consapevole. Da un lato la curiosità di scoprire il mondo, di provare esperienze sempre nuove, dall’altro un incontenibile terrore di fermarsi, di conoscersi a fondo e, soprattutto, di mettere radici. Lo stesso vale per il suo rapporto con gli uomini: li conquista, li fa entrare nella propria vita, ma, appena viene messa alle strette, scappa. Forse è il desiderio di trovare lui, l’Uomo Giusto, che la costringe ad abbandonare ogni storia non appena si presentano le prime incomprensioni.
Un giorno, però, accade l’impossibile: quello che sembrava l’uomo più sbagliato sulla faccia della terra riesce a sciogliere le resistenze di Lara, e lei decide, per la prima volta, di fermarsi.
Senza neanche rendersene conto diventa madre di una creaturina di 3,3 chili, vive in una deliziosa villetta con piscina appena fuori città e del suo amato lavoro non resta che un vago ricordo.
È proprio a questo punto che l’istinto di fuga, il desiderio di avere di più torna a farsi sentire. Solo scavando a fondo nel proprio cuore capirà che cosa la può rendere veramente felice.
Anche se quando è fuggita con la sua famiglia non aveva che due anni, Awista non ha mai dimenticato le sue origini. Ha studiato nel suo nuovo paese, intanto, e ha sempre praticato sport. Così il giorno in cui decide che è tempo di iniziare la sua battaglia per aiutare le donne afgane, sceglie il gioco che ama di più, il calcio, per dare vita alla sua piccola rivoluzione.
Ancora sotto il regime talebano, la giovane Awista riesce a portare in America otto ragazze per formare una squadra. Per Samira, Robina, Miriam e le altre non è solo l’occasione di praticare ciò che a casa loro a ogni donna è tenacemente proibito, lo sport, ma di conquistare sicurezza e autostima. Quelle otto ragazze, che hanno dovuto superare problemi enormi e affrontare la condanna di parenti e amici, una volta tornate in patria diffondono la loro passione. E poco dopo decine di giovanissime donne chiederanno di fare altrettanto.
Se si tiene conto che ancora oggi in Afghanistan mogli, madri, figlie e sorelle sono spesso private delle più elementari libertà, a partire da quella di frequentare la scuola, si capisce di quanto coraggio siano capaci queste ragazze, che affrontano rischi inimmaginabili per conquistare ciò che altrove pare scontato.
Questa è la loro storia, la storia di un sogno coltivato con incrollabile tenacia, una storia di speranza e determinazione. Perché come dice un proverbio afgano, per quanto sia alta la montagna, c’è sempre un sentiero per arrivare in cima.
India, 1878. Muthavva si sarebbe ricordata per sempre della mattina in cui aveva dato alla luce Devi, la sua prima figlia femmina. Si era recata nei campi quel giorno e, a un tratto, uno spettacolo meraviglioso si era spiegato davanti ai suoi occhi: centinaia di aironi avevano spiccato il volo nello stesso istante e avevano avvolto la terra, fino a quel momento baciata dal sole di luglio, in un’ombra magica, surreale. Si erano poi posati al suolo, esattamente di fronte a lei, e Muthavva aveva sentito che la sua bambina sarebbe arrivata con due mesi d’anticipo, di lì a qualche istante. Muthavva non conosceva il significato di quell’apparizione, ma aveva deciso di non confidare mai ciò che aveva visto.
Devi viene accolta dalla sua famiglia come una benedizione, è la prima femmina che nasce dopo sessant’anni, una bambina di grande bellezza e di buon carattere, in grado di conquistare il cuore di chiunque le stia intorno.
Purtroppo però, nonostante l’amuleto regalatole dal sacerdote del villaggio, il destino che l’attende è ricco di dolore e di ostacoli. Devi, infatti, all’età di dieci anni vota il suo cuore a un unico uomo, Machu, il cacciatore di tigri, ma uno sventurato incidente la costringe a sposare un uomo che detesta. L’unico legame con il suo grande amore rimane “La collina delle tigri”, una piantagione di incredibile bellezza che Machu dona alla sua famiglia.
Per dimostrargli il suo amore, Devi zapperà la terra, tratterà con gli inglesi, i nemici di sempre, piangerà lacrime silenziose. Per poterlo riavere, anche un solo fugace istante.