
“Da Socrate ho imparato la passione per la conoscenza, da Platone il vero volto dell'amore; da Epicuro l'amicizia e la felicità, da Eraclito l'idea che tutto scorre. È stato un santo come Agostino a farmi capire il senso del peccato, da Erasmo ho appreso un nuovo modo di guardare alla follia, da Nietzsche come superare la morale comune. Sono stati due scienziati, Galileo ed Einstein, a darmi una lezione sulla forza della curiosità intellettuale e su come ogni cosa dipenda dai punti di vista. Tutto questo adesso vorrei insegnarlo a te,lasciartelo in eredità.” Questo nuovo libro di Luciano De Crescenzo è una lettera d'amore. Verso il nipote Michelangelo, verso tutte le nuove generazioni, e verso la filosofia. La dimostrazione di come Socrate e compagnia bella possano rendere migliore la nostra vita.
L’opera è composta da diciannove capitoli, diciannove quadri strettamente correlati. Tutto inizia con l’inquietante tensione de L’orazione funebre, che ci fa entrare nella vita di una bambina sveva che assiste al funerale del padre. Ne Il bagno svevo conosciamo tutta la famiglia: il bambino più piccolo, la madre, il padre, la nonna, il nonno, che approfittano dello stesso bagno caldo, dello stesso sapone, per lavarsi, uno dopo l’altro, per poi tutti insieme sedersi a vedere il film del sabato. Completa il quadro La mia famiglia, dove l’autrice approfondisce ognuno dei personaggi e traccia il loro albero genealogico. Queste tre prime scene sono il preambolo di Bassure, il capitolo più lungo, dominato dalla ricchezza lirica della prosa e l’iridescenza poetica dei pensieri. La natura si fa protagonista, con i fiori, le acacie, le mosche, i maiali, le rane, i gatti e un’infinità di elementi e personaggi che vanno a formare il quadro più colorito dell’opera, per manifestare la sofferenza, l’isolamento e l’abbandono in cui versano la sua famiglia e il villaggio svevo. Per essere ancora più chiara, la bambina racconta il lavoro del padre in Pere marce. La ritroviamo mentre balla in Tango soffocante e, convertita in adolescente, balla anche ne La finestra. Apparirà ne L’uomo con la scatola di fiammiferi. Racconta le vacanze dei genitori al mare, parla della sua solitudine, della successione dei dittatori, degli assassini della mafia, fino a descrivere in un Giorno feriale la sua vita in fabbrica.
Alessandro ha sempre la testa fra le nuvole: è impiegato alle Ferrovie dello Stato ma scrive racconti per il «Corriere dei Piccoli», è marito e padre di famiglia ma sembra dare il meglio di sé negli scherzi e nelle chiacchiere con gli amici. Nella sua vita però, quando è stato necessario, non sono mancati piccoli atti di eroismo, come quando, durante la prima guerra mondiale, è riuscito coraggiosamente a evitare una tragedia in caserma, o come quando diffondeva l'«Avanti!» nella Roma occupata dai tedeschi.
Assunta ha sempre i piedi per terra: concreta, precisa, volitiva, per non dire testarda. Ama la campagna, le persone umili, gli animali. Ama il lavoro silenzioso e le cose essenziali, il figlio prima di tutto.
La storia di Assunta e Alessandro è la vicenda umana di due italiani lungo gran parte del Novecento. È la storia delle loro origini, delle loro formazioni, del loro incontro, del loro matrimonio, della loro felicità e delle loro delusioni. Raccontata dal figlio, che un po' fa lo storico familiare, un po' divaga e commenta con ironia: due strategie complementari per distanziare la commozione. Così come il ricordo doloroso della vecchiaia dei genitori, e delle loro morti, mantiene tutto il calore affettivo ma riesce a trasformarsi in alta meditazione di stampo classico, cercando di inseguire il senso che si cela dietro alla vicenda di ogni esistenza.
Ma nel libro c'è, fortissima, la presenza di un ulteriore protagonista dopo Alessandro, Assunta e l'ombra del narratore. È la città di Roma, che pulsa nelle descrizioni e nei ricordi dando ritmo a tutta la narrazione. Una Roma non da cartolina, collettore affettivo, legame fra generazioni diverse e simbolo difficilmente superabile degli infiniti avvicendamenti umani.
Raccontare la vita della gente comune, la «polvere degli umili» negli ingranaggi della Storia, è il compito principale che il romanzo moderno si è dato.
Ma qui Asor Rosa si occupa di due persone normali che hanno per lui un valore del tutto speciale: i suoi genitori. Riportare alla luce le loro vicende, attraverso i documenti e lo scavo memoriale, significa raccontare un uomo e una donna che hanno attraversato il Novecento, ma anche interrogarsi sul senso delle vicende umane: mai insignificanti se osservate dal punto di vista delle conseguenze.
Da una storia familiare, intrecciando toni diversi - oggettivo, ironico, affettivo, meditativo - Asor Rosa è riuscito a dar vita a un romanzo coinvolgente ed emblematico per tutti.
Alberto Asor Rosa (Roma 1933) ha segnato i suoi esordi con la demistificazione dei principali «luoghi comuni» della cultura letteraria contemporanea (Scrittori e popolo, 1965; nuova ed. Einaudi, Torino 1988), per occuparsi poi di argomenti relativi al Trecento e Cinquecento, al Seicento (La cultura della Controriforma, Laterza, Bari 1974), all'Ottocento (Manzoni, Verga e il verismo), al Novecento (La cultura, Einaudi, Torino 1975), nonché di critica militante (ha seguito e continua a seguire la produzione letteraria contemporanea). Recentemente ha raccolto in volume i suoi saggi sulla cultura e la letteratura italiana ed europea del secolo passato (Un altro Novecento, La Nuova Italia, Firenze 1999). Ha pubblicato una Storia della letteratura italiana (La Nuova Italia, Firenze 1973, piú volte ristampata) e ha diretto la Letteratura italiana Einaudi. Nel 2002 sono usciti il romanzo L'alba di un mondo nuovo, «Supercoralli» e La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana. Nel 2005 ha pubblicato nella collana «L'Arcipelago Einaudi» Storie di animali e altri viventi, nel 2009 i tre volumi della Storia europea della letteratura italiana («Piccola Biblioteca Einaudi») e nel 2010 il romanzo Assunta e Alessandro. Storie di formiche («Supercoralli»).
“Addio al calcio”, di Valerio Magrelli, si presenta come un libro ibrido, a cavallo fra generi diversi. Strutturato come una raccolta di novanta “racconti da un minuto”, e diviso in due “tempi” di quarantacinque minuti ciascuno, il volume conduce il lettore attraverso aneddoti, ricordi, microbiografie, realizzando una sorta di immersione totale nell’universo di una passione vissuta e insieme sognata. Mentre si alternano le immagini di campioni antichi e moderni, Magrelli si concentra sul particolare legame che unisce in questo gioco la figura del padre a quella del figlio. Trasmesso di generazione in generazione, il calcio appare allora come una staffetta, un pegno, un’umile divinità domestica chiamata a vegliare sul futuro delle famiglie italiane.
Lara Rebecca Ramones ha trentacinque anni e nella vita non ha fatto altro che spostarsi, cambiando casa, città, amici e, soprattutto, uomini. Nata da padre spagnolo e da madre finlandese, si è sempre considerata diversa dalle altre: troppo bruna per le strade di Helsinki, troppo pallida per le spiagge di San Sebastiàn. Fin da piccola, il lavoro del padre l’ha costretta a girare per l’Europa; poi, una volta cresciuta, quella di non avere fissa dimora è divenuta una scelta consapevole. Da un lato la curiosità di scoprire il mondo, di provare esperienze sempre nuove, dall’altro un incontenibile terrore di fermarsi, di conoscersi a fondo e, soprattutto, di mettere radici. Lo stesso vale per il suo rapporto con gli uomini: li conquista, li fa entrare nella propria vita, ma, appena viene messa alle strette, scappa. Forse è il desiderio di trovare lui, l’Uomo Giusto, che la costringe ad abbandonare ogni storia non appena si presentano le prime incomprensioni.
Un giorno, però, accade l’impossibile: quello che sembrava l’uomo più sbagliato sulla faccia della terra riesce a sciogliere le resistenze di Lara, e lei decide, per la prima volta, di fermarsi.
Senza neanche rendersene conto diventa madre di una creaturina di 3,3 chili, vive in una deliziosa villetta con piscina appena fuori città e del suo amato lavoro non resta che un vago ricordo.
È proprio a questo punto che l’istinto di fuga, il desiderio di avere di più torna a farsi sentire. Solo scavando a fondo nel proprio cuore capirà che cosa la può rendere veramente felice.
Anche se quando è fuggita con la sua famiglia non aveva che due anni, Awista non ha mai dimenticato le sue origini. Ha studiato nel suo nuovo paese, intanto, e ha sempre praticato sport. Così il giorno in cui decide che è tempo di iniziare la sua battaglia per aiutare le donne afgane, sceglie il gioco che ama di più, il calcio, per dare vita alla sua piccola rivoluzione.
Ancora sotto il regime talebano, la giovane Awista riesce a portare in America otto ragazze per formare una squadra. Per Samira, Robina, Miriam e le altre non è solo l’occasione di praticare ciò che a casa loro a ogni donna è tenacemente proibito, lo sport, ma di conquistare sicurezza e autostima. Quelle otto ragazze, che hanno dovuto superare problemi enormi e affrontare la condanna di parenti e amici, una volta tornate in patria diffondono la loro passione. E poco dopo decine di giovanissime donne chiederanno di fare altrettanto.
Se si tiene conto che ancora oggi in Afghanistan mogli, madri, figlie e sorelle sono spesso private delle più elementari libertà, a partire da quella di frequentare la scuola, si capisce di quanto coraggio siano capaci queste ragazze, che affrontano rischi inimmaginabili per conquistare ciò che altrove pare scontato.
Questa è la loro storia, la storia di un sogno coltivato con incrollabile tenacia, una storia di speranza e determinazione. Perché come dice un proverbio afgano, per quanto sia alta la montagna, c’è sempre un sentiero per arrivare in cima.
India, 1878. Muthavva si sarebbe ricordata per sempre della mattina in cui aveva dato alla luce Devi, la sua prima figlia femmina. Si era recata nei campi quel giorno e, a un tratto, uno spettacolo meraviglioso si era spiegato davanti ai suoi occhi: centinaia di aironi avevano spiccato il volo nello stesso istante e avevano avvolto la terra, fino a quel momento baciata dal sole di luglio, in un’ombra magica, surreale. Si erano poi posati al suolo, esattamente di fronte a lei, e Muthavva aveva sentito che la sua bambina sarebbe arrivata con due mesi d’anticipo, di lì a qualche istante. Muthavva non conosceva il significato di quell’apparizione, ma aveva deciso di non confidare mai ciò che aveva visto.
Devi viene accolta dalla sua famiglia come una benedizione, è la prima femmina che nasce dopo sessant’anni, una bambina di grande bellezza e di buon carattere, in grado di conquistare il cuore di chiunque le stia intorno.
Purtroppo però, nonostante l’amuleto regalatole dal sacerdote del villaggio, il destino che l’attende è ricco di dolore e di ostacoli. Devi, infatti, all’età di dieci anni vota il suo cuore a un unico uomo, Machu, il cacciatore di tigri, ma uno sventurato incidente la costringe a sposare un uomo che detesta. L’unico legame con il suo grande amore rimane “La collina delle tigri”, una piantagione di incredibile bellezza che Machu dona alla sua famiglia.
Per dimostrargli il suo amore, Devi zapperà la terra, tratterà con gli inglesi, i nemici di sempre, piangerà lacrime silenziose. Per poterlo riavere, anche un solo fugace istante.
Quando Sam Watson, esperto biochimico nonché vecchio amico di famiglia, chiede di poterla incontrare urgentemente in segreto, la giovane e brillante archeologa Dilara Kenner abbandona gli scavi che sta sovrintendendo sulle Ande e lo raggiunge a Los Angeles. Qui Sam le rivela di aver compiuto una scoperta sconvolgente, che ha a che fare con il lavoro del padre di Dilara, un famoso archeologo scomparso tre anni prima senza lasciare traccia. Secondo Sam lo studioso è stato assassinato e il motivo dell’omicidio è legato al ritrovamento del reperto archeologico più importante della storia: l’Arca di Noè. Dilara non ha mai dato credito alle ricerche del padre, ma ora Sam le rivela che l’Arca esiste davvero, che suo padre l’ha rinvenuta e che chi l’ha ucciso vuole sterminare miliardi di persone di lì a otto giorni. Sconvolta, Dilara cerca di saperne di più, ma Sam muore avvelenato proprio durante il loro incontro: prima di spirare, riesce a farle il nome di Tyler Locke e di un misterioso Progetto Oasi. «Devi trovare l’Arca...» la implora. «La ricerca di tuo padre ha dato inizio a tutto.»
A sua volta in pericolo di vita, Dilara riesce a rintracciare Tyler Locke, un ingegnere specializzato in missioni speciali, e a raggiungerlo su una piattaforma petrolifera al largo di Terranova. L’attentato all’elicottero su cui viaggia Dilara, al quale la giovane donna scampa per un soffio, basta a convincere Locke della veridicità del suo racconto e a spingerlo a offrirle il proprio aiuto.
I due hanno solo sette giorni di tempo per ritrovare l’Arca di Noè, capire quale segreto custodisca e stanare gli assassini del padre di Dilara. Una corsa contro il tempo nel tentativo di impedire che un’incredibile follia possa diventare una spaventosa realtà, in grado di spazzar via il genere umano dalla faccia della terra.
Non è raro sentire di bambini che hanno vissuto una breve esistenza, segnati dalla malattia e dalla sofferenza. Ma è senz’altro meno comune che un bambino di tredici anni, consapevole della fine imminente, conforti la madre dicendole: «Non temere, mamma... Se non avessi fatto la cresima, come avrei fatto? Se non avessi ricevuto lo Spirito Santo, come avrei potuto arrivare fino a qui?».
In questa semplice verità sta la grandezza di Luca (1996-2009), la cui breve esistenza è stata un continuo inno alla vita, nella gioia di seguire le gare di MotoGP, mangiarsi la pizza preferita e dormire fino a tardi, come tutti i ragazzini della sua età.
Luca, quel “pezzetto di cielo” – per via degli occhi di un azzurro intenso – che ha testimoniato una fede semplice e matura al tempo stesso, affrontando la malattia con pazienza e spirito di sacrificio, sempre grato a quanti gli sono stati accanto negli anni del dolore, ma soprattutto riconoscente a quel Signore che era certo non lo avrebbe lasciato fino all’incontro definitivo con Lui.
Attraverso i suoi scritti e le pagine del suo diario, legate dal racconto della mamma, una testimonianza commovente, capace di toccare ogni cuore, come già ha fatto con i cuori di campioni del calibro di Pedrosa e Capirossi.
Il libro è tratto da una tragedia realmente accaduta quarant’anni fa, quando una violentissima tromba d’aria uccise trentacinque persone, ne ferì un centinaio e provocò gravi danni nel territorio veneziano. L’autore basa la sua opera sulle vere testimonianze dei superstiti e sugli articoli di giornali dell’epoca, mescolando vicende reali con racconti di fantasia. La tragedia è ricostruita intrecciando le vicende di una famiglia di turisti tedeschi (frutto della fantasia dell’autore) e quelle reali dei soccorritori sottolineando da entrambe le parti le esperienze, le tragedie personali e le sensazioni vissute dalle vittime della catastrofe.
Letteratura di intrattenimento per curiosi e appassionati di storia del territorio.
Dalle «vie del sangue» alle «vie della speranza», Messe di sangue narra l'epopea di una famiglia che, per fuggire alla miseria, decide di emigrare verso São Paulo, alla ricerca di un pezzo di terra da coltivare. Siamo negli anni Trenta, subito dopo il crollo del mercato del caffè: è un periodo segnato da aspri conflitti sociali, da rivoluzioni e controrivoluzioni, attraversato da profeti dell'apocalisse come il beato Estêvao e da banditi efferati come il cangaçeiro Lucas Avoredo. Ma a dominare è la terra, dispensatrice di vita e di morte.
Amado rivive questo dramma collettivo, destinato a sfociare in un bagno di sangue insieme politico e rituale, con una grande attenzione alla sensibilità popolare, ai miti e al folklore: la sua scrittura è pervasa dal pathos animistico e dalla venatura immaginosa che caratterizzano i suoi capolavori.