
Definito negli anni un testo profetico sul potere, la cronaca di un percorso iniziatico o il romanzo-verità sulla morte di Enrico Mattei, "Petrolio" è il libro più celebre di Pier Paolo Pasolini. Attraverso la storia di Carlo, borghese disposto a tutto pur di far carriera, cresciuto in un ambiente cattolico di sinistra e poi complice di un delitto di destra, Pasolini conduce all'estremo il proprio sperimentalismo: puntini di sospensione al posto dell'esordio, sette diverse prefazioni, una rappresentazione dell'eros realistica e cruda, e un'estrema varietà di registri stilistici che vanno dal lirico al saggistico, dal giornalistico al visionario e all'allegorico. Come confida l'autore in una lettera ad Alberto Moravia, questo romanzo è «il preambolo di un testamento, la testimonianza di quel poco di sapere che uno ha accumulato»; rimasto incompiuto, è circondato da un alone di mistero che tuttora ne alimenta il mito. Grazie alla cura di Maria Careri e Walter Siti, questa nuova edizione di "Petrolio" si arricchisce di brani inediti, di documenti d'epoca e di originali ipotesi interpretative capaci di rinnovare il dibattito su un'opera che, a trent'anni dalla sua prima pubblicazione, non smette di affascinare e interrogare i lettori.
Protetta dalle mura di una casa nascosta dal rampicante, Edna aspetta un segno. Da sempre sogna il giorno in cui potrà mantenere la parola data. L'unico a farle compagnia è Emil, un pappagallo dalle grandi ali blu. Non le è mai servito altro. Fino a quando una notizia la costringe a uscire dall'ombra e a mettersi in viaggio. È arrivato il momento di tener fede a una promessa a lungo disattesa. Una promessa che lega il suo destino a quello dell'amico Jacob, che non vede da quando erano bambini. Da quando, come migliaia di coetanei, furono costretti ad affrontare un terribile viaggio a piedi attraverso le montagne per raggiungere le fattorie dell'Alta Svevia ed essere venduti nei mercati del bestiame. Scappati dalla povertà, credevano di trovare prati verdi e tavole imbandite, e invece non ebbero che duro lavoro e un tozzo di pane. Li chiamavano «bambini di Svevia». In quel presente così infausto, Edna scoprì una luce: Jacob. La loro amicizia è viva nel suo cuore, così come i fantasmi di cui non ha mai parlato. Ma ora che ha ritrovato Jacob, è tempo di saldare il suo debito e di raccontare all'amico d'infanzia l'unica verità in grado di salvarli. Per riuscirci, Edna deve tornare dove tutto ha avuto inizio per capire se è possibile perdonarsi e ricominciare. Lungo antiche strade romane e sentieri dei pellegrini, ogni passo condurrà Edna a riscoprire la sorpresa della vita, ma al contempo la avvicinerà a un passato minaccioso. Perché anche la fiaba più bella nasconde una cupa, insidiosa verità.
Da decenni le interviste di Gigi Marzullo sono un simbolo della programmazione Rai della notte. E anche della serata, da quando Marzullo è ospite a "Che tempo che fa". Il volume intende celebrare questo pezzo di storia della tv pubblica con una raccolta delle più belle interviste di Marzullo, a personaggi come Richard Gere, Monica Vitti, Woddy Allen....
«Ci sono estati chiuse come scatole, sigillate. Sono estati che trascorri in una stanza, in ufficio, o su un letto d'ospedale, in una cella, in uno spazio delimitato da pareti che ti sono ostili. A volte è il lavoro che ti costringe alla clausura, altre volte la malattia, tua o di un tuo caro, oppure la necessità di concentrarti per originare un'opera, o è la depressione che ti impedisce di uscire. Sei rinchiuso in un buio che non se ne va nemmeno quando spalanchi le finestre. Sei al centro della stanza ma è come se non ci fossi. Capitano estati così. È da quel buio che nasce il desiderio incontenibile del cammino. Non è desiderio di andare in ferie dopo un anno di lavoro. Chi è al centro del buio non ha bisogno di ferie, non sa che farsene. Né di spiagge, di hotel, di baite, di centri storici, di musei. Chi sta in quel buio vuole di più. Vuole solamente una cosa: il cammino». Luigi Nacci, originale cantore della 'viandanza', della vita come cammino, si interroga sul valore che ha in questi tempi concitati e iperconnessi la pratica ancestrale e stravolgente del viaggio a piedi.
I racconti del padre, che dopo l'8 settembre fu deportato dai nazisti nel campo di concentramento di Luckenwalde. L'infanzia a Lucca e una famiglia che lo ha educato a essere felice con poco e a rispettare la dignità di ogni singola persona, dai più umili ai più altolocati. Gli anni trascorsi in seminario, l'incontro frenetico con i pensatori cristiani e il fascino del divino. Lo studio - mai interrotto - della filosofia e dell'economia, uno studio che permea ogni cosa. Il volontariato, l'assistenza ai ragazzi invalidi, e i tanti lavori: porta spese, cameriere, organizzatore culturale; poi l'incontro con Fedele Confalonieri di cui diviene assistente, l'incarico di scrivere il primo programma politico di Forza Italia, gli anni da assessore alla Sicurezza a Milano. Oggi che è un conduttore tv - oltre che docente universitario di Etica ed economia -, Paolo Del Debbio si racconta per la prima volta in quella che non è un'autobiografia, ma una riflessione a cuore aperto sul mondo, sugli altri e infine su se stesso. In queste pagine Del Debbio si rivela un pensatore poliedrico e insieme un uomo semplice, attraversato - come tutti - da passioni, contraddizioni e difficoltà, ma fedele a valori saldissimi. La sua storia personale è la storia di un lungo viaggio senza sosta, senza vie di fuga, senza scorciatoie, in cui l'amore per Dio convive con l'amore per le donne e la passione per le idee cattoliche e liberali si incontra con la passione per la gente comune. Un percorso in cui l'importante non è superare traguardi, ma imparare qualcosa ogni volta: fino a diventare se stesso.
«La parcella della prima operazione che mi procurerà sarà tutta per lei... In seguito, a ogni paziente che mi manderà, faremo a metà...»: questo aveva detto Mandalin, rinomato chirurgo e proprietario di una clinica di lusso. E quando il dottor Bergelon aveva dirottato sulla clinica la prima partoriente, Mandalin li aveva invitati a cena, lui e la moglie, nella sua bella casa dei quartieri alti, dove Bergelon aveva bevuto troppo, come Mandalin del resto, e poi tutto era andato storto, la partoriente era morta, e anche il bambino... Risultato: adesso il vedovo minacciava di ucciderlo - non Mandalin, ma lui, Bergelon! Eppure, ciò che spingerà il giovane medico a infrangere le regole di una tranquilla, e in definitiva soddisfacente, esistenza provinciale non sarà la paura di morire, né saranno le apprensioni di quella moglie rassegnata e piagnucolosa, ma un «lancinante bisogno di cambiamento», come la sensazione di avere addosso un vestito troppo stretto. «In lui» scrive Simenon «c'era una sorta di trepidazione, di ansia, una speranza, un'attesa, la voglia di fare un gesto - ma quale? -, di aprire non una porta, ma una strada, un mondo, una prospettiva nuova...». Come molti personaggi di Simenon, anche il dottor Bergelon ci proverà, a non accettare il suo destino, a togliersi di dosso quel vestito troppo stretto...
Nel 1951 il cinico, caustico, cattolico Evelyn Waugh rimette piede in Terra Santa, eterno terreno minato, e ha il coraggio di dire la sua, come solo lui sapeva fare - con devozione, curiosità e meraviglia per lo splendore dei luoghi -, su una piaga mai sanata in ogni animo, credente o non credente.
Di ritorno da un viaggio di lavoro, Jack Morgan, proprietario e direttore dell'agenzia Private Investigations, trova nella sua villa di Malibu la più raccapricciante delle sorprese: distesa sul suo letto c'è una donna, con il maglione intriso di sangue. La scoperta si fa ancora più agghiacciante quando Morgan capisce di trovarsi di fronte al cadavere di Colleen Molloy, la sua ex amante; che aveva tentato di suicidarsi qualche mese prima, quando fra loro era tutto finito. Ma in questo caso non si tratta di un suicidio: Colleen è stata assassinata da un meticoloso professionista, in grado di far ricadere tutti i sospetti proprio su Jack Morgan, il cui legame con la vittima fornirebbe più di un movente per l'omicidio. Proprio per questo motivo il Los Angeles Police Department lo individua come il sospettato numero uno. La sua vita, da quel momento, precipita in un girone infernale. E proprio mentre è impegnato a indagare personalmente sul caso per poter dimostrare la propria innocenza, in preda all'ansia ma anche al dolore per la morte di Colleen, Morgan viene contattato da un'avvenente donna d'affari alle prese con una serie di omicidi che si sono verificati nei suoi lussuosi hotel...
Si può scrivere la storia vera di una donna che non è mai esistita? La risposta è sì: lo hanno fatto le centodiciannove voci di donne realmente esistite che si alternano in questo romanzo in un montaggio sapiente, che trascina ed emoziona. Donne del Novecento italiano diverse per età, inclinazioni, livello d'istruzione, estrazione sociale, che hanno lasciato lettere, diari, memorie private. Scrivere, per loro, ha significato soprattutto portare in salvo se stesse. «Un corteo di donne che cercano, per una di loro, il posto in un universo maschile». Il primo romanzo della collana Unici è un libro sulle donne diverso da tutti gli altri. Il suo gesto rivoluzionario è questo: al posto di parlare dell'oggi resta avvinghiato alle radici, al Novecento, e fa parlare i documenti senza aggiungere un commento. Accosta delle voci vere e lascia fare a loro. La protagonista di "Nonostante tutte" si chiama Nina ma potrebbe chiamarsi con oltre cento nomi differenti. La sua storia è immaginaria, il suo racconto no: è affidato alle parole di chi ha lasciato una traccia di sé in una pagina fuggita all'oblio. È attraverso questi frammenti di voci, scelti dall'autore tra migliaia e poi assemblati come tessere di un mosaico, che la protagonista di questo romanzo prende vita. Come se quelle centodiciannove donne si passassero in una staffetta senza fine il testimone e la parola per raccontare un'unica storia con un brillio diverso. L'infanzia incantata e spaccata, il desiderio di una vita differente, il sesso, il lavoro, il matrimonio, la maternità, la malattia, l'amicizia, l'impegno civile, la vecchiaia... Esperienze individuali irriducibili, certo, eppure collettive. Per questo il romanzo dalla struttura originalissima a cui dà vita Filippo Maria Battaglia può dirsi anche un romanzo politico. L'emozione nasce da lì: nel vedere, nel sentire, ciò che è simile e ciò che invece resta legato a una vita, a quella vita. Nell'accostare le storie alla Storia, senza mai rinunciare alle zone d'ombra. Perché le parole possono essere anche cicatrici e «a questo - dice Nina - devono servirmi le mie, a ricordare».
Come si sopravvive allo strappo, alla perdita delle radici? Cosa resta, come ci si inventa di nuovo? Katarína torna da Praga a Bratislava per trascorrere il Natale insieme alla famiglia. Alle vecchie incomprensioni con la madre, si aggiunge la difficoltà di giustificare l'assenza del marito Eugen. Ma in quei pochi giorni ritrova anche le vecchie compagne di università, soprattutto Viera, che si è trasferita in Italia grazie a una borsa di studio e torna sempre più malvolentieri in Slovacchia. Le due amiche si riavvicinano, si raccontano l'un l'altra gli strappi, le ferite - Viera con Barbara, che era stata la loro insegnante di italiano, Katarína con Eugen, che l'ha abbandonata due mesi prima con un biglietto sul tavolo della cucina. Katarína ripercorre il rapporto con lui, dal primo incontro al matrimonio forse troppo precoce, con le tante difficoltà di integrarsi a Praga, fino al dolore, di cui ancora non riesce a parlare. E tra i ricordi emergono frammenti della vita a Bratislava sotto il governo comunista: l'abolizione delle festività cattoliche, la censura, le code per la carne e per qualsiasi cosa. Con "divorzio di velluto" si intende la separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca, che nel romanzo riverbera quelle tra Katarína e il marito Eugen, tra Viera e un paese per lei troppo stretto... È una storia di assenze che pesano, di tradimenti, di desideri temuti e mai pronunciati, di strappi che chiedono nuove risorse per essere ricomposti, di sradicamento e di rinascita - una ricerca di sé della protagonista e del suo paese, entrambi orfani di un passato solido.
Se ascoltassimo il bambino che è in noi, la sua fantasia ci tirerebbe fuori da tutti i guai. "Io mi chiamo Mina e mi piacciono molte cose: i denti di leone, il tonno in scatola, i libri, la ricotta, le lucciole e soprattutto i draghi, e le fiamme che escono dalla loro bocca. I draghi nessuno li uccide, sono fortissimi, e per questo io mi sento una di loro, infatti la prima volta che ho visto Lorenzo non mi sono neanche spaventata. Lui era infuriato, urlava forte e mi ha lanciato un'occhiataccia. Ma io lo so che era solo molto arrabbiato, come me. Stare qui non ci piace per niente e questo è stato un ottimo motivo per diventare amici. Insieme facciamo sul serio. Siamo davvero due brutti ceffi e di fronte a noi se la danno tutti a gambe, perfino la paura. Contro di lei usiamo l'immaginazione, che ci fa vincere sempre. Che ci fa sentire forti e coraggiosi. E di coraggio ne abbiamo bisogno, per mettere a punto il nostro piano segreto. Un piano di fuga coi fiocchi. Perché io e Lorenzo dobbiamo scappare. Andarcene via dall'ospedale dentro cui viviamo ormai da troppo tempo e raggiungere il mondo fuori. Perché quando rivedremo il cielo ogni cosa cambierà. Perché quando siamo insieme non ci batte nessuno." Ci sono esordi che risuonano per molto tempo nel cuore di chi li legge. È così per "La bambina sputafuoco", venduto in tutt'Europa. Noi siamo Mina quando ascoltiamo il bambino che abbiamo dentro. Quando lasciamo che la fantasia ci faccia da guida. Quando ci fidiamo di un'amicizia vera, che non ci fa sentire soli. Tratto dall'esperienza dell'autrice, questo romanzo insegna come il potere dell'immaginazione possa tirarci sempre fuori dai guai.
Gwendy Peterson è tornata, e l'esito della battaglia tra Bene e Male è nelle sue mani. Quando Gwendy Peterson aveva dodici anni, uno sconosciuto chiamato Richard Farris le consegnò una misteriosa scatola di mogano, da custodire con cura. Quell'oggetto dispensava dolcetti e vecchie monete, ma era molto pericoloso: premere uno dei suoi sette bottoni colorati poteva portare morte e distruzione. La scatola dei bottoni è ricomparsa a più riprese nella vita di Gwendy: diventata una scrittrice di successo e una figura politica in ascesa, ha dovuto di nuovo fare i conti con la tentazione costituita da quell'oggetto inquietante. Ora è il 2026, Gwendy Peterson ha sessantaquattro anni e a breve sarà il primo senatore in carica degli Stati Uniti a viaggiare su un razzo fino a una stazione spaziale. Il suo incarico, sulla carta, consiste nel monitoraggio climatico. Ma a nessuno sfugge la valigetta bianca con sopra la scritta materiale top secret che tiene ben stretta a sé. Il vero motivo del suo viaggio è lì dentro: una scatola di mogano che, ancora una volta, Gwendy deve proteggere a ogni costo dalle oscure forze del male che cercano di impossessarsene. È giunto il momento di portare a compimento la sua missione più importante e più segreta: salvare il mondo. E, forse, tutti i mondi possibili. Stephen King e Richard Chizmar firmano l'atto finale della trilogia iniziata con "La scatola dei bottoni di Gwendy" e "La piuma magica di Gwendy", un'avventura che tocca alcuni dei luoghi più iconici dell'immaginario kinghiano, da Castle Rock a Derry, e ne espande i confini oltre il pianeta terra.

