
"La Barbagia d'inverno dunque. Per un barbaricino l'inverno è quasi una condizione naturale. Certo per chi è abituato a pensare alla Sardegna "smeraldizzata", alla Sardegna come regione monostagionale, può sembrare una stranezza pensare alla montagna, al clima alpino, al freddo secco, alla neve. Eppure basta voltarsi dal mare alla terra e si possono vedere le montagne che si gettano nell'acqua. Dentro a quelle montagne abita la sostanza di un territorio molto folklorizzato, ma ancora sconosciuto nella sostanza. Il territorio barbaricino rifiuta, direi quasi geneticamente, il concetto di "divertimentificio", la costa barbaricina rifiuta la condizione di "Caraibi del Mediterraneo", che tanto piace ai tour operators improvvisati e ai turisti da gossip. Chi navigasse da Posada ad Arbatax lo capirebbe al volo. Chi cioè passasse per mare dalla costa gallurese, quella dove è sempre estate, a quella barbaricina dove le stagioni si alternano, vedrebbe a occhio nudo la differenza. È proprio l'inverno che dà alla Barbagia quella profondità di territorio vivo, che differenzia il viaggiatore dal vacanziere. Perché come l'estate sostanzia il mare, l'inverno sostanzia i monti a Nuoro, in Barbagia, d'inverno. Se veniste da queste parti, dunque, dove sono nato io, dovreste affrontare il tratto più straordinario dell'intera strada statale 131, dal mare fino all'interno, salendo appena sareste gratificati nella vista e nell'olfatto. Da Olbia a Nuoro tutto profuma".
"Almeno un quarto dei paesi italiani è gravemente malato. È una malattia nuovissima. Di cosa si tratta? Di desolazione. Per secoli o forse millenni i paesi sono stati poveri ma, anche se modesta, la vita che si svolgeva un tempo era piena. Ogni persona stava nel suo paese come un pesce dentro al lago. Adesso pare che tutti stiano in un secchio rotto. Si vive con poca acqua e con la sensazione che nessuno sappia come conservare la poca che rimane. Chi visita i paesi d'estate o la domenica ne cattura un'impressione del tutto illusoria: il piacere del silenzio, del buon cibo, aria buona. Tutto questo è solo una facciata, una realtà apparente che nasconde un'inerzia acida, un tempo vissuto senza letizia. D'altra parte, "uno arriva e ferma la macchina in piazza. Guarda qualcuno vicino al bar o sulle panchine. Guarda una vecchia che va a fare la spesa, un cane disteso al sole, guarda porte chiuse, guarda la propria macchina e capisce che lo strumento per la fuga è a portata di mano. Basta una mezz'oretta di curve e si torna al mondo gremito, il mondo che si muove." Se i sani scappano lontano, nel paese restano i malati. Può essere depressione, può essere disagio, può essere la smania velleitaria fai nulla e di non poter arrivare da nessuna parte.
In questo grande romanzo, tra i più importanti della letteratura francese, Victor Hugo riversa gran parte della sua esperienza umana e sociale, per costruire una storia di fatica, esilio, amore e povertà. Un'epopea della miseria e un imponente affresco d'epoca che, nella Parigi dell'800, vede protagonisti alcuni indimenticabili personaggi, come Jean Valjean, la solare Cosette, Fantine, il cupo ispettore Javert: anti-eroi ricchi di luci e ombre, capaci di gesti scellerati ma anche di azioni generose e commoventi. Una storia dal ritmo incalzante, magistrale e irripetibile per l'autenticità delle emozioni e per la complessità della trama narrativa.
Marta è una tarma che divora libri, si ciba di cultura e vive a Napoli nella libreria di Claudio, il "Leggilibri". È curiosa, sensibile, profonda e ama giocare con la fantasia immaginando un mondo tutto suo dove ogni cosa è un sogno. E così, tra un Piccolo principe narrato nelle Cronache marziane e Moby Dick che adora nuotare in un Oceano mare sotto una Eva luna alta nel cielo, si ritrova a volare Sulle ali delle aquile sotto lo sguardo indagatore di Sherlock Holmes. Ma a un tratto il sogno svanisce e Marta è costretta ad affrontare il mondo esterno e a cominciare così un Viaggio al termine della notte, dove incontrerà la madre perduta e scoprirà il sapore amaro della vita. Un romanzo che parla di ecologia, cultura, storia e Napoli, una travolgente avventura in un mondo di insetti. Una storia di emozioni che vivono e animano i cuori di noi umani, come i libri ci hanno sempre insegnato.
È un fulgido maggio, che a Maigret ricorda la prima comunione e l'infanzia. Quasi una premonizione. Perché non appena comincia a indagare sull'assassinio del conte Armand de Saint-Hilaire, illustre ex ambasciatore ucciso con quattro colpi di revolver nel suo studio in rue Saint-Dominique, il commissario ha davvero l'impressione di regredire pericolosamente all'infanzia, quando a Saint-Fiacre la contessa appariva, a lui, figlio dell'intendente del castello, nobile, elegante e irraggiungibile come l'eroina di un romanzo popolare. Insigni diplomatici, funzionari beffardi e pieni di sicumera, quartieri eleganti, residenze squisitamente armoniose. Proprio l'ambiente in cui Maigret si sente più a suo agio, non c'è che dire. E la fase di impregnazione con cui s'inaugura ogni sua inchiesta è questa volta più che mai fatta di esitazione, impaccio, timidezza. E poi tutti sembrano irreali, sfocati, inconsistenti, quasi appartenessero a un mondo svanito: il conte, Isi - la principessa cui ha dovuto rinunciare ma che ha continuato ad amare, da lontano, con incrollabile tenacia, per cinquant'anni, come se fosse una creatura eterea e soprannaturale -, la devota governante Jaquette, che ha lo sguardo fisso di certi uccelli, il gelido nipote Alain. L'unico dato reale sono i quattro colpi di pistola che l'assassino ha sparato con ferocia. Un caso frustrante, un delitto privo di una spiegazione plausibile. Condurre a termine l'inchiesta, per Maigret, è come acchiappare una nuvola. O il passato.
Pubblicato a puntate su una rivista femminile nipponica nel 1966, "Abito da sera" (Yakailuku) è un'opera atipica nel panorama della produzione dello scrittore giapponese, solitamente incentrata sui temi alti ed eroici. Rimasto finora inedito in Italia, il testo costituisce una feroce, irresistibile satira dell'alta borghesia giapponese nel dopoguerra, prona ai desideri degli occidentali, stregata dal fascino di modelli di vita viziati e dimentica dell'antica, nobile tradizione del paese dei samurai.
Somma voce poetica della lirica italiana - e non solo - nel Novecento, Eugenio Montale è stato anche un prosatore raffinato ed elegante. In questo volume sono raccolti i suoi scritti narrativi, quelli che egli stesso chiamava i libri di "fantasia e d'invenzione", dai quali emerge l'immagine di un Montale viaggiatore, elzevirista e ritrattista, osservatore sempre acuto e curioso della realtà che lo circondava. Le "Prose narrative" ci permettono quindi di cogliere un aspetto meno noto del grande scrittore, componendo di lui un'immagine più sfaccettata e completa e conoscendo meglio il suo mondo. Il volume contiene anche un saggio di Cesare Segre e uno scritto di Emilio Cecchi.
Varsavia, 1942. Un giovane ebreo fugge dal ghetto, inseguito dai tedeschi. A salvarlo da morte sicura è un anonimo libraio,solitario ed ombroso,che gli offre riparo nella sua casa e bottega. Entrambi gli uomini sono destinati ad alti incarichi nel piano salvifico di Dio: il fanciullo diverrà il monaco sapiente e fedele che sfiderà il Nemico;l’anziano sarà chiamato al sacrificio per proteggere la vita del giovane eletto.Prologo de Il Nemico,un romanzo appassionante e bellissimo,che racconta come è possibile opporre all’attacco del Male un unico ma inesorabile gesto di amore, tale da riscattare una vita di dolore e ignavia e da far fiorire la speranza nel mondo.
“Michael O'Brien è l’Andréi Tarkovski della letteratura” ( Guglielmo Spirito )
“Questo libro si muove come un thriller, un dramma dell’umanità, ma è un vero romanzo delle idee”
(Michael Potemra,National Review)
A 16 anni, Kevin ha preso l'arco con cui si esercitava da tempo e ha ucciso sistematicamente, nella palestra della scuola che frequentava, sette compagni e l'insegnante di algebra. Uccidere, nella sua logica distorta, era il mezzo per uscire dalla massa indistinta e diventare protagonista. E ora lo è, nel carcere minorile in cui è rinchiuso, temuto e rispettato dagli altri giovani reclusi. A raccontarcelo è la madre, Eva Katchadourian, newyorkese di successo, in una serie di lettere al marito assente. Attraverso le sue parole si snoda la storia della famiglia e dei suoi componenti: Eva, con il suo rapporto ambivalente nei confronti della maternità, il marito Frank, sempre pronto a giustificare il figlio in totale contrasto con lei, e lo stesso Kevin, un piccolo genio del male da quando ha aperto gli occhi sul mondo. Lettera dopo lettera, è un susseguirsi di fatti e di episodi che scavano nella vita familiare e ci restituiscono un quadro lacerante, sofferto, filtrato dalla lucida intelligenza e dalla profonda umanità di Eva, che non smette di chiedersi se non sia anche sua, e del rapporto di malcelata ostilità con il figlio, la colpa di quanto è successo.
Camila, cilena di nascita e rifugiata da anni negli Stati Uniti, è una reporter. Ha appena perso il figlio, è disperata, in crisi con il marito e incapace di chiedere l'aiuto della madre perché nutre nei suoi confronti un devastante senso di inferiorità. Malgrado tutto, accetta di fare un reportage in Messico. Qui, in una sperduta cittadina i cui abitanti sostengono il ribelle zapatista Marcos, incontra Reina de Barcelona. La vicenda di questa donna coraggiosa susciterà in Camila riflessioni e confronti e la incoraggerà a riavvicinarsi alla madre e al marito.
"Camilleri è il cronista - sottolinea S. S. Nigro - il favolista e il mitografo della comunità vigatese. Racconta di Minica e di suo marito. Della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla, accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno: in un paesaggio arcigno, blandito dal vicino mare e dalla luce". Siamo in Sicilia, tra Vigata e Castelvetrano negli ultimi anni del fascismo. Lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa fare il casellante è un privilegio non da poco: una casa, il pozzo, uno stipendio sicuro, ma la zona, alla vigilia dello sbarco alleato, si va animando di un via vai di militari e i fascisti, quasi presagendo la fine imminente, si fanno più sfrontati. A Nino Zarcuto, "trentino, beddro picciotto" è toccato un casello stretto tra la spiaggia e la linea ferrata. Si è sposato con Minica e aspettano, finalmente, un figlio. Il lavoro è poco, quindi c'è tempo per l'orto e per andare ogni tanto in paese dove Nino, appassionato di mandolino, può anche dilettarsi con l'amico Totò in qualche serenata improvvisata. Poi una notte, mentre Nino è in carcere, colpevole di avere ridotto le canzoni fasciste a marce e mazurche con chitarra e mandolino, un evento sconvolgente travolge la vita di Minica. Un romanzo in cui mito e storia si intrecciano in quello che Camilleri definisce il secondo romanzo - dopo "Maruzza Musumeci" di una "trilogia della metamorfosi".

