
Assaf è un sedicenne timido e impacciato cui viene affidato un compito singolare: ritrovare il proprietario di un cane abbandonato seguendolo per le strade di Gerusalemme. Correndo dietro all'animale, Assaf viene condotto di fronte a inquietanti personaggi, attraverso i quali ricompone i tasselli di un drammatico puzzle: la vicenda di Tamar, una ragazza solitaria e ribelle, fuggita da casa per andare a salvare il fratello, giovane tossicodipendente finito nella rete di una banda di malfattori. "Qualcuno con cui correre" è il ritratto di due adolescenti che si cercano, che forse si amano, che soffrono ma combattono con generosità per qualcosa che è dentro di loro.
Nel romanzo il protagonista si occupa esclusivamente delle sue ossessioni, delle fobie degli amici/alter ego che gli fanno da coro tragico (o comico). Nell'occasione il problema è quello di ritrovare una donna scomparsa. Il giovane si mette sulle sue tracce, spostandosi a caso in una Milano labirintica in cui si riflettono i miti e gli incubi degli anni ottanta. Lazzaro continua a imbattersi in se stesso e nei suoi fantasmi: perditempo assortiti, consulenti psichiatriche, ninfomani, bugiarde patologiche, squadre di assassini su pattini a rotelle, babbi natali omicidi, specchi deformanti di un'unica realtà: la sua.
Il romanzo è una grande favola storica che ha per sfondo lo scenario operaio del porto di Genova e quello primitivo di un isola del Pacifico. Giacomo è uno stranito sacerdote, inviato come missionario nel Pacifico. A Moku Iti, sotto il suo nero vulcano, Giacomo impara la febbrile indolenza di un popolo che - lui lo sa bene - non ha bisogno della sua religione. La figlia di re John, Lucy, gli cresce accanto, bella, forte, avviata ad un destino di regina bambina. Giacomo e Lucy si dicono, muti, le parole indecifrabili che fanno da ponte fra due civiltà, fra due storie, fra due mondi, l'uno e l'altro minacciati dalla fine, ma entrambi depositari di un'ultima ricchezza, di un'ultima folgorante, disadorna verità.
"È la vita di una donna sui cinquant'anni, in crisi dopo un divorzio e la morte della figlia. Incidentalmente scopre la fotografia di un vecchio amore dell'adolescenza fino ad allora ritenuto morto. Nella sua fuga in avanti, decide di scoprire cosa ne è stato di quel fidanzato. E questo la porta fino al Sahara, fino ai campi per rifugiati saharawi." Così Luis Leante riassume uno degli aspetti narrativamente più significativi del romanzo. Giganteggia la figura della protagonista Montse Cambra, colta in un momento delicato della sua esistenza e rapita dalla memoria di un passato mai morto. Il viaggio nel deserto è costellato di avventure, di incontri, tra rifugi di fortuna, oasi e scontri con culture diverse.
Nel 1975, dopo una guerra di liberazione, l'Angola cessa di essere una colonia portoghese e conquista formalmente l'indipendenza. Ryszard Kapuscinski, che nella sua carriera di reporter ha seguito ben ventisette rivoluzioni, era là anche questa volta. Sono ormai trascorsi molti anni, e a prima vista ci si potrebbe domandare che senso abbia riproporre avvenimenti così lontani. A parte il fatto che quella guerra, anche se pochi lo sanno, non è ancora finita, un libro di Kapuscinski, oltre che una cronaca delle battaglie e dei fatti politici, offre la descrizione di un mondo diverso dal nostro. Intrappolato nell'assedio di Luanda, l'autore narra quello che succede in tempo di guerra in una "città chiusa", dalla quale tutti scappano come topi da una nave che affonda: prima i portoghesi con i loro beni e masserizie, poi i negozianti, la polizia, i tassisti, i barbieri, la nettezza urbana e, infine, anche i cani.
Settembre inoltrato. Un uomo e una donna, in una notte fonda prossima all'alba, si incontrano per caso sulla spiaggia di un lago. Non si conoscono e non sanno di essere lì per la stessa ragione: farla finita. Giulio ha fatto un'ultima puntata al casinò. Sandra ha perduto un figlio. Lui, "cinico incompleto", creditore immaginario incapace di un rapporto diretto con la realtà, vince le iniziali resistenze lasciandosi affascinare dal dolore concreto di quella donna che ride per spaventare la paura e definisce l'amore "una cosa semplice". Complice la notte, il luogo si popola di altre presenze precarie e Giulio e Sandra hanno poche ore per raccontarsi qualcosa delle loro vite e, forse, per cambiare idea. Scritto in "bianco e nero", con incisività drammatica e senso del grottesco, il romanzo mette in scena un'umanità dolente che si incrocia in un luogo quasi metafisico, in attesa dell'alba, in attesa che qualcosa si rompa, che qualcosa succeda. E che infatti succede.
Gino Mastruzzi è un investigatore privato per modo di dire. Di tanto in tanto gli viene affidato un caso da risolvere, ma le sue indagini finiscono sempre con lo scoprire una realtà che non si può risolvere. Si tratta della realtà metropolitana dell'emarginazione e del razzismo, delle sacche di povertà e della malavita dentro la cornice di una città civile e opulenta come Bologna. Piuttosto che investigatore, Mastruzzi è una sorta di assistente sociale, ha molti amici tra vagabondi e immigrati, mendicanti e disoccupati. Insieme a loro lotta quotidianamente, non vince mai, ma conserva l'unico bene per lui prezioso: la dignità.
Ventinove episodi, racconti in forma di capitoli, variamente intrecciati tra loro, ambientati nella provincia dell'ex Ddr, all'indomani della caduta del Muro. Vi si narrano piccoli, apparentemente insignificanti, episodi di vita quotidiana, che costituiscono spesso momenti di snodo nelle esistenze dei protagonisti, senza che però essi ne abbiano vera consapevolezza. Storie minimali, periferiche, banali di persone qualunque che cercano di sopravvivere in un mondo trasformato. Come l'ex dirigente di partito messo in disparte dopo l'89 o la giornalista i cui articoli sono sempre meno importanti delle inserzioni pubblicitarie di cui il direttore è a caccia. O come Martin, che non fa in tempo a finire il dottorato di ricerca all'università perché dopo la caduta del Muro sono cambiati tutti i professori e i nuovi si portano i loro allievi, con conseguenze a catena per lui drammatiche: tanto che per campare finisce a fare un umiliante lavoro di promozione vestito da sub, con tanto di muta, pinne, maschera e boccaglio, per la catena Nordsee, finché non decide di andarsene arrancando sotto la pioggia nel suo costume.
Ambientato in Abissinia nei primi anni della conquista italiana, "Le perdute tracce degli dei" mette in scena non solo il clima della dominazione fascista - la volgarità degli occupanti, la composita, variegata società dei dominatori italiani che popola Addis Abeba, le resistenze della popolazione locale, spesso legate ad antiche tradizioni e a secolari credenze - ma anche il misterioso retroterra culturale e religioso di un paese poco conosciuto che i rozzi dominatori, che giudicano quel retroterra semplicisticamente "barbarie", non riescono ad afferrare.
Quattordici scrittori di generazioni diverse - da Antonio Scurati ad Andrea Camilleri, da Nicola Lagioia a Giuseppe Genna, da Laura Pariani a Sebastiano Vassalli - affrontano la storia d'Italia, dall'Ottocento fino ai nostri giorni. Si immedesimano nelle grandi figure, da Garibaldi ad Agnelli, o nei destini individuali, una studentessa del Sessantotto, un soldato che rientra in patria al termine della guerra, una moglie picchiata con ferocia alla fine degli anni Settanta. Immaginano i grandi eventi - le Cinque giornate di Milano, la battaglia di Montecassino, la tragedia di Ustica, il caso Moro - con impegno e gusto letterario, coraggio e discrezione. Per narrare e rivelare i sentimenti collettivi, i cambiamenti epocali, i sogni e gli amari risvegli di una nazione che ha ancora tutto da raccontare. I momenti che hanno segnato la nascita e lo sviluppo dell'Italia moderna sono stati raramente rappresentati nelle pagine di romanzi e racconti. Lo stesso vale per le personalità che hanno attraversato le vicende della politica, dell'economia, della cultura, e per le circostanze contraddittorie e dolorose del recente passato. Eppure la letteratura ha sempre saputo scrutare nel profondo della realtà, nel mistero degli eventi e degli individui, descrivendo epoche e avvenimenti con una sensibilità e una verità che a volte appare irraggiungibile per gli storici o per il cronista.
Padre Latour, vescovo missionario, sorretto da una fede fortificata dalla finezza dello spirito, si ritrova, quando cade la metà del XIX secolo, in New Mexico per evangelizzare le genti che lo abitano da sempre, indios e pellerossa. Incantato dalla maestosità del paesaggio, padre Latour viaggia ininterrottamente per lo sterminato paese, annotando scrupolosamente le sue impressioni e il suo stupore dinanzi all'armonia dei popoli in cui di volta in volta si imbatte. Alla cronaca dei viaggi si alternano gli incontri col fedele vicario, padre Vaillant, a cui lo lega un affetto casto e struggente fin dai tempi del seminario, nella nativa Alvernia. Sono numerosi i personaggi che entrano nella vicenda umana di padre Latour, dallo scout Kit Carson al capo navajo Eusabio, protagonisti di vicende tra il western e la leggenda, ognuno di loro offrendo al vescovo motivo di confronto e riflessione. Ma è la scoperta della naturale corrispondenza con la terra del New Mexico, con i suoi paesaggi aurorali, la percezione del vento secco e leggero che soffia dalle finestre, la fragranza del sole caldo, dell'artemisia e del trifoglio odoroso, le vaste praterie erbose, a mantenerlo saldo nella fede e devoto agli ideali di gioventù.