
Nate nel 1984 dagli incontri radiofonici con il giornalista e poeta argentino Osvaldo Ferrari, queste Conversazioni vertono sui più diversi argomenti culturali e, dietro l'apparente divagare, offrono una testimonianza degli interessi e dell'intelligenza di uno dei protagonisti del Novecento. Un autoritratto di Borges più arguto, capace di un discorrere piano ma all'occasione vibrato, legato in tutta la sua trama dal filo dello humor; nelle sue parole brilla uno stile ironico, non di rado caustico, paradossale, talora provocatorio, sempre anticonformista e nemico dei luoghi comuni.
Il culto delle antiche letterature germaniche non solo ha illuminato la vecchiaia di Borges, il suo "occaso", com'egli stesso dichiara nel 1976, ma è circolato capillarmente in tutta la sua opera, nutrendo la riflessione sulla poesia e sul suo destino. Nessuno come Borges avrebbe dunque potuto accompagnarci con tanta sapienza e leggerezza lungo il vertiginoso percorso che da Ulfila, temerario traduttore della Bibbia in visigoto, e dal "Beowulf" conduce ai "Nibelunghi", ai rapidi ed energici poeti dell'Edda, alle minuziose e realistiche saghe islandesi, alle kenningar dei poeti scaldi, sino all'"ingegnosamente ingenuo" "Heimskringla" di Snorri Sturluson, la coscienza del Nord, il quale organizzò i vecchi miti dispersi "con affetto e ironia". E anche in questo libro, che è una storia letteraria e insieme un'affabile antologia e un fascinoso racconto, Borges non cela l'epicentro della sua passione: gli Islandesi, che invano scoprirono l'America e l'arte del romanzo - destino singolare, e in tutto simile ai sogni.
Per molti lettori di questi ultimi decenni "L'Aleph" è il libro dove scoprirono non solo un nuovo grande scrittore, ma un nuovo modo di essere della letteratura. Fu una specie di folgorazione, che poi si trasmise a tutta l'opera di Borges. Intanto, i titoli di alcuni di questi racconti (da "Lo Zahir" a "Deutsches Requiem", da "La ricerca di Averroè" a "L'immortale") entravano nella geografia mentale dei lettori come luoghi da sempre familiari e misteriosi.
"Un giorno il mio amico Carlos Frias, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frias insisté, dicendo: Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo. Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero El hacedor". Così Borges racconta la genesi di questo libro, uno zibaldone con 23 brani in prosa composti fra il '34 e il '59 e 31 poesie, per lo più recenti.
L'opera apparve a Buenos Aires nel 1926, secondo libro di saggi dopo "Inquisizioni" (1925), e insieme a quest'ultimo e all'"Idioma degli argentini" (1928) fu ripudiato, tornando ufficialmente in circolazione solo dopo la morte del suo autore. Basta leggere l'ardente proclama con cui prende avvio per rendersi conto delle ragioni di quell'abiura: "Ormai Buenos Aires, più che una città, è un Paese e occorre trovare la poesia e la musica e la pittura e la religione e la metafisica adatte alla sua grandezza". Libro delle furie, dunque, tracotante di audacia e di speranza, l'opera regola i conti con la coeva cultura argentina ("La nostra realtà vitale è grandiosa e la nostra realtà pensata miserabile"), attacca spavaldamente la pigra immobilità della lingua letteraria e l'ingannevole prestigio delle parole che compongono i versi, celebra la pampa e il sobborgo ("li sento aprirsi come ferite e mi dolgono allo stesso modo").
Secondo una leggenda, un dio dell'Indostan chiese a un altro dio di cedergli una delle sue 14.516 mogli. «Prenditi quella che trovi libera» fu la benevola risposta. Ma in tutti i 14.516 palazzi la moglie giaceva col suo signore, che «si era sdoppiato 14.516 volte» affinché ciascuna credesse di essere la favorita. La fonte di questo «racconto breve e straordinario», un libro apparso a Goa nel 1887, è in realtà illusoria. E grazie a Bioy Casares sappiamo come sono andate le cose: «Domani compro il libro dove l'ho letta» gli aveva detto Borges riferendosi alla leggenda. E Bioy: «No, raccontiamola noi e attribuiamola a un autore qualsiasi» - nella fattispecie, un gesuita portoghese. Così, con estro sfrenato e giocoso, hanno lavorato i due appassionati antologisti: ritagliando brani da una sbalorditiva molteplicità di opere (dal taoista Trattato del Vuoto Perfetto a Max Jacob), ricorrendo ad amene falsificazioni, inventando spudorati lemmi bibliografici e apocrifi: come le Memorie di un bibliotecario di Francisco Acevedo, alias Borges, o la magnifica Storia dei due re e dei due labirinti, sempre di Borges malgrado la depistante attribuzione. Senza peritarsi di manipolare le fonti: in un'iscrizione che evoca la verginità di Iside, un semplice «(finora)» aggiunge al referto di Plutarco una maliziosa connotazione: «nessun mortale (finora) ha sollevato il mio velo». Ma l'obiettivo è uno solo: mostrare come un'antologia di vertiginosa varietà possa racchiudere «l'essenziale di ciò che è narrazione» - vale a dire uno dei grandi piaceri che la letteratura può offrire.
Immane Atlantide sommersa, le quasi duemila pagine dei Textos recobrados - recuperati e radunati dopo la scomparsa di Borges - rivelano le molteplici linee di forza di una riflessione critica di sconcertante novità. Rispetto ai fervori iconoclasti degli anni Venti (documentati in Il prisma e lo specchio, 2009), si colgono qui, già a partire dai primi anni Trenta, una tonalità e nuclei di pensiero e di interesse del tutto inediti: l'inconsistenza dell'io, giacché una persona «non è altro che ... la serie incoerente e discontinua dei suoi stati di coscienza» e «la sostanza di cui siamo fatti è il tempo o la fugacità»; la letteratura poliziesca, che riesce a conciliare «lo strano appetito d'avventura e lo strano appetito di legalità»; le immagini dell'incubo, «la tigre e l'angelo nero del nostro sonno», disseminate nella letteratura da Wordsworth a Kafka; il gaucho, «amato territorio del ricordo» e «materia di nostalgia»; il tramonto del concetto di testo definitivo, che «appartiene alla superstizione e alla stanchezza»; la rivelazione che Buenos Aires, un tempo oggetto di caparbie trasfigurazioni poetiche, può essere descritta solo «per allusioni e simboli». Ma quel che più affascina è la perfetta architettura di questi scritti, capaci, quale che sia l'argomento prescelto, di espandere il nostro orizzonte (talora con un semplice inciso: «Nel mondo immaginato da Walpole, come in quello degli gnostici siriani e in quello di Hollywood, c'è una guerra continua tra le forze del male e quelle del bene») e di ravvivare il dialogo fra due interlocutori che «lo scorrere del tempo avvicina e allontana, ma non separa»: il testo e il lettore.
Un grande e attualissimo ritratto di donna, con l'irrequietezza delle sue passioni umane e intellettuali, con la delicatezza dei suoi dubbi, con il coraggio dei suoi ardori.
Nella Padrona rivive la Roma del Seicento, con i suoi intrighi e i suoi segreti, si muovono grandissimi artisti e personaggi come Caravaggio e Galileo, mentre si scopre la storia personale di una donna sui generis.
È il maggio del 1605, il cardinale Camillo Borghese è appena diventato papa con il nome di Paolo V, per lo Stato Pontificio e per la sua capitale si apre uno dei periodi di più intenso e rigoglioso sviluppo, quasi una rivincita, non solo spirituale ma anche culturale, dopo gli anni difficili della Controriforma.
La Città eterna si pone sempre più come il grande teatro diplomatico europeo mentre prende le mosse uno straordinario rimodellamento urbanistico con memorabili opere architettoniche ed artistiche, come la nuova facciata della basilica di San Pietro, che ancora oggi segnano Roma in maniera inconfondibile.
Su questo sfondo Alessandra Borghese - che di Paolo V è una discendente - disegna, attingendoli dalle intense pagine di un diario intimo, i tratti della sua protagonista: una donna di nobili natali che, ferita per l'inspiegabile abbandono del padre e sconvolta da una prima esperienza sentimentale, decide di prostituirsi, quasi a cercare una vendetta per il dolore subito. Per anni agisce nella più torbida ed oscura trasgressività, nella penombra dei palazzi del potere. Indossa una maschera e recita il ruolo della Padrona, impartendo dolore e umiliazione agli uomini che incontra, e ricevendone in cambio una sorta di venerazione. Nella casa-palazzo della "Signora" - crocevia del potere e degli intrighi romani - la nostra misteriosa protagonista trafigge e calpesta gli uomini potenti, divenendo ben presto la donna più desiderata.
Di giorno legge, studia, scrive e si occupa di opere di bene. Di notte invece incontra i suoi clienti, lasciando spazio a quella parte della sua anima marchiata dal dolore.
Ma in lei convive un'altra parte, quella di una donna che si è sempre interrogata e non si è mai arresa. Sarà proprio quella parte di anima a portare la Padrona a riscoprire l'immensità dell'amore vero e a spingerla ad intraprendere un percorso di redenzione che la condurrà a mutare radicalmente e a incrociare di nuovo l'uomo che più di ogni altro ha segnato la sua esistenza.
I Felici, una famiglia, ma anche un'identità in cammino. E un luogo d'incontro di tanti interrogativi sul senso della comunità, sul modo di vivere la fede, sul dovere dell'impegno civile e sul peso della responsabilità, sul perché del male e sulla legittimità di tornare a sogni "dalla pelle dura". Alexander Dubcek che si racconta in una visita inverosimile e il "Rossini" che fugge; la "torinese" con le sue sorprendenti battute e la sua ricerca senza fine; Sabato Felici, il vecchio combattente contro malattie e ingiustizie, preso dalle sue memorie e immerso nelle sue carte; la priora Letizia che si fa chiamare la Minore; Borges che appare in sogno nella notte di Baires; e soprattutto, gli ex ragazzi della Piana e i sentieri percorsi dalle loro vite e dalle loro speranze, tra successi effimeri e "sconfitte degne di risurrezione". Nel caleidoscopio dei colori che il romanzo teologico di Borgognoni di continuo compone e ricompone, in un crescendo di tensione che è insieme narrativa, religiosa e politica, il verde chiaro degli occhi di Evel sembra mescolarsi con il verde di uno scassatissimo Maggiolino, il rosso di uno straccio che sa di Resistenza e di giustizia sociale richiama quello di una scritta murale che parla di risurrezione, la luce della candida tunica di Marco pare fondersi con il bianco della barba del padre di Evel, complice un abbraccio lungo e muto.
Il libro è tratto da una tragedia realmente accaduta quarant’anni fa, quando una violentissima tromba d’aria uccise trentacinque persone, ne ferì un centinaio e provocò gravi danni nel territorio veneziano. L’autore basa la sua opera sulle vere testimonianze dei superstiti e sugli articoli di giornali dell’epoca, mescolando vicende reali con racconti di fantasia. La tragedia è ricostruita intrecciando le vicende di una famiglia di turisti tedeschi (frutto della fantasia dell’autore) e quelle reali dei soccorritori sottolineando da entrambe le parti le esperienze, le tragedie personali e le sensazioni vissute dalle vittime della catastrofe.
Letteratura di intrattenimento per curiosi e appassionati di storia del territorio.
Isola di Nordkoster, 1987. Ha paura, Ove. Ha solo nove anni, eppure ha capito benissimo cosa sta succedendo laggiù, sulla spiaggia: tre persone vestite di nero hanno sepolto una donna sotto la sabbia, lasciando fuori soltanto la testa. E presto la marea salirà... Il piccolo Ove non può stare a guardare: quando gli sconosciuti lasciano la donna al suo destino, lui corre a chiamare aiuto. Ma è troppo tardi. Stoccolma, 2011. Ha coraggio, Olivia. Ha solo ventiquattro anni, eppure è pronta a tutto pur di scoprire la verità su quanto accaduto a Nordkoster. Per lei, quel vecchio caso irrisolto è molto più di un incarico affidatole dall'Accademia di polizia. Sarà perché ci aveva lavorato suo padre, ex agente morto quattro anni prima. Sarà perché la vittima, la cui identità è rimasta un mistero, aveva più o meno la sua età. Sarà perché il responsabile delle indagini, Tom Stilton, è misteriosamente scomparso nel nulla. Sarà perché, non appena Olivia inizia a fare domande sul delitto di Nordkoster, i pochi testimoni si chiudono in un silenzio ostinato. Sono passati ventiquattro anni da quella notte maledetta, tuttavia lei ha l'impressione che la marea abbia cancellato ogni cosa, tranne il desiderio di vendetta. Come se qualcuno fosse ancora in agguato, nell'ombra, e spiasse ogni sua mossa...

