
Isola d'Elba, 1544. I corsari turchi, al comando di Khayr al-Din detto Barbarossa, sbarcano nottetempo su una spiaggia accanto a Longone - l'odierna Porto Azzurro - dove Lucero e sua sorella Angiolina si preparano alla pesca dei calamari. Lucero viene ferito, Angiolina rapita. Il mondo si apre, la storia comincia. Lucero, guidato da un indomabile sentimento di vendetta, si trasforma - anche grazie all'incontro con il capitano Rodrigo, compagno e mentore - in un "duellante imbattibile" e in un soldato di ventura. Angiolina entra nel talamo del Signore di Algeri: cambia nome in Aisha, dà un figlio al sovrano della città-stato corsara, e ne diventa la Favorita. Ignari l'uno dell'altra, l'Elbano errante e Aisha, la "puttana cristiana", fanno mulinare spade, macchinazioni, sogni e avventure dentro il teatro del mondo. Per mari e per terre, Lucero si muove come se la sua vita fosse una continua frontiera, come se fosse travolto dalla fantasia di un Ariosto, fra la sua isola e Bologna, Firenze, Siviglia, Napoli, Malta, l'Ungheria, Venezia e, al di là dell'Oceano, la Nueva España, il Messico flagellato dai Conquistadores. Quando si arruola nei Tercios, la fanteria ispanica, incrocia il poco più che ventenne Miguel de Cervantes Saavedra, futuro autore del "Don Chisciotte": forti del comune amore per i romanzi cavallereschi, avviano un'amicizia suggellata dalla partecipazione alla "battaglia delle battaglie", a Lepanto. Giunge intanto notizia di Angiolina, viva, ad Algeri. È passata una vita, anzi sono passate molte vite, ma il finale è ancora tutto da scrivere. Pino Cacucci mette in moto una grande macchina narrativa che macina peripezie, storia, poesia, navi, armi, amori, condottieri, concubine, veleni, fedi religiose, battaglie, massacri e sentimenti, dipingendo un complesso affresco del secolo che chiamiamo "Rinascimento". Come non mai si avverte la gioia sensuale del racconto, l'avvicendarsi maestoso di fantasia e realtà, di voci e personaggi. Tutto diventa sfida al tempo e - sintesi dello spirito del romanzo - avventura.
Per un intero secolo, da quando, Giosuè Carducci ne patrocinò la prima edizione a stampa, lo «Zibaldone di pensieri» di Giacomo Leopardi è assurto a simbolo del "frammento" per eccellenza. Quello che è da tutti considerato un capolavoro assoluto di prosa letteraria, è stato presentato da una lunga tradizione come un'opera volutamente asistematica, un flusso di pensieri senza ordine. A distanza di oltre un secolo da quella prima edizione carducciana, il meticoloso e acuto lavoro critico-filologico di Fabiana Cacciapuoti ha portato alla luce l'idea di una grande opera per "trattati". Un testo dotato di precise chiavi di lettura, organizzabile - se non compiutamente organizzato - a partire da ben definiti fuochi tematici. Un suo progetto di riordino e indicizzazione degli appunti sarà effettivamente messo in atto, attraverso un rigoroso sistema di voci e di numeri, redatto su differenti schedine (conservate presso la Biblioteca nazionale di Napoli). Sono, in particolare, sette paginette scarne ma decisive a evidenziare i differenti percorsi tematici. Proprio seguendo quelle pagine, sono stati qui "rimontati" tutti i brani leopardiani, ricostruendo così nella sua compiutezza il tendenziale suo "sistema". Questa nuova edizione tematica dello «Zibaldone di pensieri» viene ora proposta in un volume unico, con l'indicazione di tutte le indicizzazioni via via appuntate da Leopardi. Una riaggregazione dei materiali leopardiani che ne cambia la chiave di lettura. Con un preludio di Antonio Prete.
Ha scritto Gianfranco Contini, uno dei massimi critici del Novecento: "Almeno l'"Adalgisa", le "Novelle" o "Accoppiamenti giudiziosi" e il "Pasticciaio" appartengono al canone delle letture indispensabili per un italiano aggiornato all'arte del suo tempo". Che "Accoppiamenti giudiziosi" figuri in questo canone, a scapito persine della "Cognizione del dolore", non stupisce: i diciannove, temerari 'racconti' radunati da Gadda nel 1963 attraversano l'intera sua attività di narratore, e ne offrono la più autentica essenza. Tanto più che Gadda non ha esitato a includervi frammenti di romanzi, quasi a segnalare che questo libro è anche una insostituibile autoantologia. Dove spiccano i frutti urticanti dei suoi furori contro la "città della saggezza moraleggiante ... e stentatamente grammaticante " - fiammate di odio che gli facevano dire: "Vorrei essere il Robespierre della borghesia milanese: ma non ne vale la pena". La satira, di irresistibile comicità, divampa come un rogo, riducendo in cenere moralismo benpensante, logica di casta, incrollabili certezze e virtù, e mettendo in fuga dame imperiose e impettite contro i "calamitosi tempi", professori stolidi e reboanti, apoplettici commendatori "mecenatoidi" serissimi e operosi professionisti che nella famiglia e nel lavoro trovano le "soddisfazioni" più alte, industriali ossessionati dalla salvaguardia della loro "propria privata privatissima personale proprietà".
Ci fu un'epoca in cui, se si incontravano altri esseri, non si sapeva con certezza se erano animali o dèi o signori di una specie o demoni o antenati. O semplicemente uomini. Un giorno, che durò molte migliaia di anni, Homo fece qualcosa che nessun altro ancora aveva tentato. Cominciò a imitare quegli stessi animali che lo perseguitavano: i predatori. E diventò cacciatore. Fu un processo lungo, sconvolgente e rapinoso, che lasciò tracce e cicatrici nei riti e nei miti, oltre che nei comportamenti, mescolandosi con qualcosa che nella Grecia antica fu chiamato "il divino", tò theîon, diverso ma presupposto dal sacro e dal santo e precedente perfino agli dèi. Numerose culture, distanti nello spazio e nel tempo, associarono alcune di queste vicende, drammatiche ed erotiche, a una certa zona del cielo, fra Sirio e Orione: il luogo del Cacciatore Celeste. Le sue storie sono intrecciate in questo libro e si diramano in molteplici direzioni, dal Paleolitico alla macchina di Turing, passando attraverso la Grecia antica e l'Egitto ed esplorando le connessioni latenti all'interno di uno stesso, non circoscrivibile territorio: la mente.
Molto infastidiva Sciascia l'essere considerato un «mafiologo»: «Sono semplicemente uno che è nato, è vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone» diceva. Così come lo infastidiva quell'«intuizione di letterato» che, nel migliore dei casi, gli veniva attribuita allorché scagliava taglienti ed eretiche verità contro il «folclore tenebroso» in cui venivano di solito assunti i fatti di mafia. Tirare il collo alla retorica e alla mistificazione, questo gli premeva. E regolarmente i suoi articoli scatenavano furenti polemiche - se non l'accusa, infamante, di fare «il gioco della mafia». Sicché non gli restava che citare l'amato Savinio: «avverto gli imbecilli che le loro proteste cadranno ai piedi della mia gelida indifferenza». Il fatto è - come dimostrano gli interventi qui radunati, fra cui quello sui 'professionisti dell'antimafia' - che Sciascia è lo scrittore italiano cui più che a ogni altro si attaglia l'aggettivo «scomodo»: che prenda posizione sulla morte di Calvi o sull'assassinio del generale Dalla Chiesa o sul caso Tortora o sul maxiprocesso di Palermo e sulle testimonianze di Buscetta e Contorno o, infine, sul rischio che l'antimafia si trasformi in strumento di potere, non potremo che riconoscere fino a che a punto sia rimasto fedele alla definizione che nel 1977 dava dell'intellettuale: «uno che esercita nella società civile ... la funzione di capire i fatti, di interpretarli, di coglierne le implicazioni anche remote e di scorgerne le conseguenze possibili. La funzione, insomma, che l'intelligenza, unita a una somma di conoscenze e mossa - principalmente e insopprimibilmente -dall'amore alla verità, gli consentono di svolgere».
Il volume, curato da Maurizio Cucchi, ripercorre la produzione poetica italiana ottocentesca, da Vincenzo Monti a Giovanni Berchet, da Niccolò Tommaseo a Emilio Praga, da Arrigo Boito a Edmondo De Amicis, da Arturo Graf a Pompeo Bettini. Riproduzione a richiesta dell'edizione: Garzanti, 1978 (I Grandi libri 212)
Una nuova edizione rigorosamente condotta sui manoscritti, che restituisce – per la prima volta in un unico volume – tutte le poesie di Antonia Pozzi. Può essere così ricostruito nella sua completezza e autenticità il percorso di un’autrice non riconosciuta in vita, ma da alcuni decenni oggetto di una straordinaria riscoperta su un piano internazionale. Le sue Parole – nutrite di una solida cultura e intensamente elaborate sul piano formale, tuttavia lontane dai canoni letterari degli anni Trenta – dicono con passione vibrante, linguaggio limpido e vivezza di immagini la bellezza e il dolore del mondo, il dramma dell’individuo e quello, più vasto, dell’umanità. Per questo esse giungono con sorprendente forza al cuore del nostro presente.
Questa edizione della Divina Commedia (a cura di Nino Giordano, Felice Errera e Fabrizio Maestrini), è una traduzione parola per parola, verso per verso dell’opera dantesca, pensata appositamente per gli studenti e l’adozione nelle scuole di istruzione secondaria. Il testo è completato da note esplicative che aiutano il lettore a contestualizzare e giustificare le scelte stilistiche, sintattiche ma anche contenutistiche dell’opera.
In cofanetto vengono riproposti i tre volumi dell'epopea di Alessandro Magno raccontata da Valerio Massimo Manfredi: "Il figlio del sogno", "Le sabbie di Amon" e "Il confine del mondo".
La vicenda si svolge in Italia verso la metà degli anni trenta. Una serie di inspiegabili esplosioni si verificano in un laboratorio scientifico in cui si svolgono ricerche biologiche di natura indecifrabile cui si accompagna la successiva sparizione di tre scienziati. Di fatto, i tre scienziati sono stati rapiti dagli uomini di un altro pianeta con il probabile intento di studiare la Terra e i terrestri. Nei tre anni di permanenza nel pianeta si sviluppa il difficile tentativo di stabilire un rapporto con una civiltà tanto diversa. Così, la "scoperta della Terra" non è soltanto quella degli extraterrestri ma anche quella dei rapiti, costretti a un continuo confronto tra la loro esperienza e le forme di vita e di espressione con cui sono entrati a contatto. Questo turbinare di vicende rappresenta l'altra faccia della "scoperta della Terra". Questo non è un tradizionale romanzo di fantascienza, ma la storia di un complesso di vicende narrate in alternanza tra i due pianeti come in un gioco di specchi.
DESCRIZIONE: 1911-1964. Gli undici tomi di questo ciclo narrativo (romanzi e raccolte di racconti) sono ambientati in Cirenaica, la provincia orientale della Libia, dal 1911 – quando quella terra era una trascurata provincia dell’impero ottomano – al 1964 – allorché le scoperte di ricchi giacimenti petroliferi alterarono radicalmente la vita del paese. Le vicende politiche furono per lungo tempo drammatiche, la resistenza libica non fu liquidata che vent’anni dopo lo sbarco del corpo di spedizione italiano, si ebbe poi una pausa negli anni Trenta, ma già nel 1940 le armi ripresero la scena, non più un moderno corpo di spedizione coloniale contro la legittima resistenza dei nativi, ma il noto scontro di Grandi Potenze europee. Venne poi grazie alle Nazioni Unite la proclamazione di indipendenza del paese, era il 1951.
In questa cornice, che varia da un decennio all’altro, e quindi da un tomo all’altro del ciclo narrativo, si colloca un gran numero di vicende individuali, con personaggi dell’una e dell’altra parte, che hanno un tratto comune: di non esaurirsi nel moto collettivo – qualunque colore abbia in quel momento –, con una propria, segreta scena mentale, dove la storia giunge talvolta solo come lontano brontolio, ma che periodicamente si risolve in una tempesta, e dove la morte, con maniacale perseveranza, fa a gara con la perversità umana, che inventa guerre, stragi, deportazioni, colpi di mano. Si assiste così a una gamma di odissee individuali, ogni personaggio compie un viaggio nel regno dell’Altro, il nativo incontra l’Europa e il mondo moderno, l’europeo il mondo tradizionale. Sempre pesante il condizionamento della drammatica vita collettiva, che toglie al personaggio buona parte della libertà di artefice della propria storia, operando, la vicenda collettiva, come destino: per questa via, il Fato rimane signore della scena, qualunque sia la strada presa dal singolo.
COMMENTO: Edizione economica dell'evento letterario insignito del Premio Bagutta 2007. Il ciclo di romanzi dedicati all'avventura coloniale italiana in Africa: il deserto, la guerra, la decolonizzazione. Romanzi e racconti storici che sono anche delle narrazioni, per scrittura e atmosfere, uniche nel panorama letterario italiano ed europeo. Con un'introduzione di Pietro Gibellini.
L'Autore a detta dei critici (Citati, Magris, Barghellini Amidei, Galimberti) è una rivelazione nella letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato con successo per Garzanti, Mondadori, Scheiwiller. Presso la Morcelliana: Conversazioni in Piazza Sant'Anselmo e altri scritti. Per un ritratto di Cristina Campo (2002).

