
È il 4 aprile 1945. Quel bambino sta trasportando una sedia tra le macerie della città liberata dai nazifascisti ed è diretto al comando alleato, dove lo attende suo padre - dal cognome vagamente sospetto, Covacich - sottoposto i un interrogatorio. E quella sedia potrebbe scagionarlo. Sempre Trieste, 5 agosto 1972. I terroristi di Settembre Vero hanno fatto saltare due cisterne di petrolio. Un bambino, Vlauro Covacich, tra le gambe di suo padre (il bambino che trascinava la sedia ventisette anni prima nella Trieste liberata), contemplando le colonne di fumo dalle alture carsiche sopra la città, chiede: "Papà, sento in guera?" Mauro Covacich torna nella sua Trieste, con un libro dal ritmo incalzante, avventuroso romanzo della propria formazione, scritto con la precisione chirurgica di un analista di guerra e animato dalla curiosità di un reporter. "La città interiore" è la cartografia del cuore di uno scrittore inguaribilmente triestino; è il compiuto labirinto di una città, di un uomo, della Storia, che il lettore percorre con lo stesso senso di inquieta meraviglia che accompagnava quel bambino del 1945 e quello del 1972; un labirinto di deviazioni e ritorni inaspettati, da cui si esce con il desiderio di rientrarci.
Nel 1943, nell'Italia occupata dai nazisti, uno studente in Legge sloveno Rudi - getta la divisa e si rifugia sui monti. Preso il treno per andare verso la sua città natale, incappa in un commando di tedeschi a cui sfugge miracolosamente trovando rifugio in campagna. È qui che viene accolto dalla diciottenne Vida, una ragazza sognante, pervasa da ideali forse ingenui ma profondi e da un desiderio irresistibile di andarsene, di cambiare l'orizzonte della sua vita. Rudi si sente molto attratto da lei, ma non tollera il fatto che Vida rinneghi la propria slovenità. Il senso di inferiorità culturale che la ragazza esprime con le sue scelte lo irrita profondamente e lo spinge a riaffermare, per contrasto, le proprie radici, rievocando episodi e aneddoti che hanno segnato la sua vita e quella della comunità slovena in Italia dopo la fine della Grande Guerra e l'avvento del fascismo. A confondere ancor di più sensazioni e sentimenti sopraggiunge una ragazza che Rudi aveva conosciuto in treno: Majda, una staffetta partigiana, incaricata di portarlo da suo fratello. Rudi entra così in contatto con la lotta armata. Ma è questa lotta, dalla cui fascinazione non riesce a liberarsi, che lo condanna all'isolamento. La sua vita non può concedersi all'amore, tutti i ruoli imposti dalla Storia non possono essere dismessi, ad ogni costo.
"Ho bisogno di parlarle di una cosa seria". Una voce di donna, al cellulare. Max Gilardi non conosce Lidia Morandi, ma è spaventata, così le promette che l'indomani sarà da lei. Non farà in tempo a parlarle: al suo arrivo Lidia è già morta, uccisa da sette coltellate nel suo stesso appartamento. Senza averla mai vista da viva, Gilardi sarà costretto a conoscerla tramite il suo passato, attraversato da grandi successi e uomini potenti, ma anche da tragedie crudeli e inspiegabili. Tra vicini impiccioni, architetti sfuggenti e giovani donne belle e misteriose, il caso si snoda tra colpi di scena, intrighi di quartiere e confessioni. E ancora una volta, sarà la sua Napoli il teatro delle indagini. "La cliente sconosciuta" inaugura una nuova serie di romanzi dal respiro più serrato, che raccontano alcuni casi risolti con straordinaria intuizione, competenza e impegno professionale da Max Gilardi, personaggio già amato da un vasto pubblico di lettori. Di scena esclusivamente vicende in cui episodi tratti dalla cronaca si intrecciano con la fantasia, il gusto e la scrittura avvolgente di Elda Lanza.
È una rara notte di temporali, in Sardegna, quando arriva il mostro. La ragazza era riuscita a fuggire, ma lui, il suo rapitore e aguzzino, l'ha inseguita e l'ha uccisa, incurante del fatto che a pochi metri di distanza ci fosse una pattuglia della polizia. Per questo, subito arrestato, il mostro viene portato immediatamente in carcere. Lì, ad attenderlo, c'è un mondo chiuso fra mura spesse e sbarre di ferro alle finestre. Lì, soprattutto, c'è Sante. E l'arrivo di quell'assassino è forse l'occasione di redimersi che Sante attende da tutta la vita. Sante ha un segreto, una colpa da espiare, un passato da cui scappare. Eppure, Sante è in prigione per sua stessa volontà. Perché lui non è un carcerato, ma una guardia. La sua è una condanna autoinflitta. Ma quella notte tutto cambia. Può un peccato cancellarne un altro? Perché quel mostro è ricco e protetto. Ha agganci altolocati. Se la caverà, dice a Sante l'avvocato della madre della vittima. L'assassino ne uscirà, a meno che Sante non intervenga. E lo uccida. L'avvocato promette a Sante un alibi, una copertura, una via d'uscita e soprattutto tanti soldi. Uccidere è la cosa giusta? Si chiede Sante. Ma il giorno dopo, nulla di tutto ciò ha più importanza. Perché il mostro è stato ucciso e tutti i sospetti cadono proprio su di lui, su Sante. Che, da quel momento, non ha altra scelta che la fuga... E la ricerca della verità. Un conflitto morale che ci porta a chiederci: noi cosa faremmo? E una verità che emerge poco a poco in un quadro sempre più sconvolgente.
A Lukones, in una villa isolata, una madre e un figlio si fronteggiano. Lui, don Gonzalo, che le dicerie vogliono iracondo, vorace, crudele e avarissimo, è divorato da un male oscuro, quello che «si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita». Lei, la Signora, è ridotta da una desolata vecchiezza e dal lutto per la morte dell'altro figlio (il «suo sangue più bello!») a una spettrale sopravvivenza. Li unisce un amore sconfinato, li separa un viluppo di gelosia, senso di colpa, rancore, dolore - preludio al più atroce degli epiloghi. Intorno a loro una casa dissennata, feticcio narcissico ed epicentro di ogni nevrosi, estremo rifugio e tomba, e un'immaginaria terra sudamericana identica alla nostra Brianza, vessata dai Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche ? che a tutti vorrebbero imporre la loro violenta protezione ?, assediata da robinie e banzavóis, disseminata di strampalate ville, popolata di «calibani gutturaloidi» che come miserabili Proci dilapidano le attenzioni della Signora. E che Gonzalo vorrebbe cancellare, insieme al barcollante feudo e a tutte le «figurazioni non valide». Perché il «male invisibile» da cui è affetto lo condanna a distinguerle e negarle, quelle «parvenze»: a respingere la «cara normalità», la turpe contingenza del mondo. Anche a prezzo di negare se stesso, anche a prezzo della più dura cognizione, quella che consegna alla solitudine e alla «rapina del dolore».
A Lukones, in una villa isolata, una madre e un figlio si fronteggiano. Lui, don Gonzalo, che le dicerie vogliono iracondo, vorace, crudele e avarissimo, è divorato da un male oscuro, quello che «si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita». Lei, la Signora, è ridotta da una desolata vecchiezza e dal lutto per la morte dell'altro figlio (il «suo sangue più bello!») a una spettrale sopravvivenza. Li unisce un amore sconfinato, li separa un viluppo di gelosia, senso di colpa, rancore, dolore - preludio al più atroce degli epiloghi. Intorno a loro una casa dissennata, feticcio narcissico ed epicentro di ogni nevrosi, estremo rifugio e tomba, e un'immaginaria terra sudamericana identica alla nostra Brianza, vessata dai Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche ? che a tutti vorrebbero imporre la loro violenta protezione ?, assediata da robinie e banzavóis, disseminata di strampalate ville, popolata di «calibani gutturaloidi» che come miserabili Proci dilapidano le attenzioni della Signora. E che Gonzalo vorrebbe cancellare, insieme al barcollante feudo e a tutte le «figurazioni non valide». Perché il «male invisibile» da cui è affetto lo condanna a distinguerle e negarle, quelle «parvenze»: a respingere la «cara normalità», la turpe contingenza del mondo. Anche a prezzo di negare se stesso, anche a prezzo della più dura cognizione, quella che consegna alla solitudine e alla «rapina del dolore».
Impetuoso, lieve, sconvolgente: è il vento che soffia senza requie sulle pendici del Rossarco, leggendaria, enigmatica altura a pochi chilometri dal mar Jonio. Il vento scuote gli olivi secolari e gli arbusti odorosi, ulula nel buio, canta di un antico segreto sepolto e fa danzare le foglie come ricordi dimenticati. Proprio i ricordi condivisi sulla "collina del vento" costituiscono le radici profonde della famiglia Arcuri, che da generazioni considera il Rossarco non solo luogo sacro delle origini, ma anche simbolo di una terra vitale che non si arrende e tempio all'aria aperta di una dirittura etica forte quanto una fede. Così, quando il celebre archeologo trentino Paolo Orsi sale sulla collina alla ricerca della mitica città di Krimisa e la campagna di scavi si tinge di giallo, gli Arcuri cominciano a scontrarsi con l'invidia violenta degli uomini, la prepotenza del latifondista locale e le intimidazioni mafiose. Testimone fin da bambino di questa straordinaria resistenza ai soprusi è Michelangelo Arcuri, che molti anni dopo diventerà il custode della collina e dei suoi inconfessabili segreti. Ma spetterà a Rino, il più giovane degli Arcuri, di onorare una promessa fatta al padre e ricostruire pezzo per pezzo un secolo di storia familiare che s'intreccia con la grande storia d'Italia, dal primo conflitto mondiale agli anni cupi del fascismo, dalla liberazione alla rinascita di un'intera nazione nel sogno di un benessere illusorio.
Impetuoso, lieve, sconvolgente: è il vento che soffia senza requie sulle pendici del Rossarco, leggendaria, enigmatica altura a pochi chilometri dal mar Jonio. Il vento scuote gli olivi secolari e gli arbusti odorosi, ulula nel buio, canta di un antico segreto sepolto e fa danzare le foglie come ricordi dimenticati. Proprio i ricordi condivisi sulla "collina del vento" costituiscono le radici profonde della famiglia Arcuri, che da generazioni considera il Rossarco non solo luogo sacro delle origini, ma anche simbolo di una terra vitale che non si arrende e tempio all'aria aperta di una dirittura etica forte quanto una fede. Così, quando il celebre archeologo trentino Paolo Orsi sale sulla collina alla ricerca della mitica città di Krimisa e la campagna di scavi si tinge di giallo, gli Arcuri cominciano a scontrarsi con l'invidia violenta degli uomini, la prepotenza del latifondista locale e le intimidazioni mafiose. Testimone fin da bambino di questa straordinaria resistenza ai soprusi è Michelangelo Arcuri, che molti anni dopo diventerà il custode della collina e dei suoi inconfessabili segreti. Ma spetterà a Rino, il più giovane degli Arcuri, di onorare una promessa fatta al padre e ricostruire pezzo per pezzo un secolo di storia familiare che s'intreccia con la grande storia d'Italia, dal primo conflitto mondiale agli anni cupi del fascismo, dalla liberazione alla rinascita di un'intera nazione nel sogno di un benessere illusorio
La natura dei racconti è tale che è possibile narrare cose antiche in modo nuovo e usare parole antiche per eventi recenti.
"Sotto il guasto viene l'aggiusto": è la rassegnata, quanto efficace, filosofia di vita adottata da un popolino abituato a trarre vantaggio anche dalla cattiva sorte. Come avviene agli orfani di famiglie povere di una città del Sud, accolti, e "felicemente reclusi", in un istituto che si assume il ruolo di risollevare il loro destino, di migliorarlo rispetto alle aspettative del loro ceto. Nelle vicende di una scolaresca chiusa in collegio si riverberano le dinamiche psicologiche e sociali di una società emarginata, ancora in grave ritardo rispetto al boom economico che si appresta ad avvolgere l'Italia. Nel racconto di Giacomo Annibaldis, la memoria ritesse la vita di bambini sfortunati, i "figli dei morti", ai quali tuttavia sarà offerta una chance rispetto ai loro compagni e parenti: storia di un'infanzia del tutto inusuale, intrecciata con l'ordito di una cultura mediterranea dai riverberi arcaici.
Attraverso l’amicizia tra due ragazze il ritratto di una generazione sul finire degli anni Sessanta nel corso di tre anni di scuola. Una educazione sentimentale e politica, una scoperta del mondo visto dalla periferia della città industriale popolata di immigrati, un manifesto dell’adolescenza dove fra Kerouac e Dylan Thomas, Linus e Bob Dylan ironia e dolore si mescolano, e fa irruzione la vita vera. La compagna Natalia è un racconto lieve e insieme profondo che coinvolge e commuove. "Questo romanzo è e resterà unico. Perché è scritto con passione, profondità, ironia, rigore, dolcezza, e con uno sguardo sobrio e intenso, poetico e politico sul mondo." Lella Costa Fine degli anni Sessanta, periferia torinese, una ragazzina, terminate le scuole medie, viene iscritta dai genitori a una scuola sperimentale per segretarie d’azienda, ospitata in un più grande istituto per periti tecnici, esclusivamente maschile e maschilista. Ogni giorno quando arriva in classe trova seduta al suo banco, tranquilla e concentrata, una ragazza diversa dalle altre. È la compagna Natalia, perfetta, forse per questo lei e le compagne tendono "ad evitarla pur essendo, tutte, fortemente attratte dalla sua aura" – appena poteva leggeva un libro bianco con delle righe rosse e i titoli neri, quasi fosse un vessillo.
Avete mai sognato di partecipare al Campionato Mondiale di pallastrada, organizzato dal Grande Bastardo, protettore degli orfani di tutto il mondo? Memorino, Lucifero e Alì sì, molte volte, e per realizzare il loro sogno architettano una fuga dall'orfanotrofio dei Celestini. Subito don Biffero, il priore Zopilote, don Bracco e il giornalista Fimicoli, in coppia con il fotografo Rosalino, si lanciano all'inseguimento. Tutto intorno, una folla di personaggi bizzarri, stravaganti e coloratissimi nella tradizione del miglior Benni: il fetente di Gladonia, i pittori pazzi Pelicorti, il professor Eraclitus e persino una coppia di gemelli magici campioni di pallastrada. Ma su questa variegata compagine aleggia un'oscura e crudele profezia, che appare sui muri di un palazzo e che sembra destinata a spazzare via tutto e tutti. È impossibile prevedere cosa succederà. Età di lettura: da 13 anni.
Nuove avventure, nuovi personaggi, vecchi e nuovi amori affollano le pagine del terzo e ultimo capitolo della trilogia di Tretronchi, immaginario borgo della pedemontana veneta. Le oscure trame di Odoacre avranno la meglio su don Ulisse e i suoi amici? La Compagnia dei Giacomini riuscirà a mettere in scena il Canto di Natale? Tra segreti svelati e tragedie sfiorate, il racconto volge verso un lieto fine, in cui molti personaggi saranno profondamente cambiati. E nulla sarà più come prima.
Biografia dell'autore
Umberto Folena (Firenze, 1956), giornalista, è stato per oltre trent’anni inviato speciale e caporedattore del quotidiano «Avvenire». È autore di oltre venti tra biografie e saggi e dei romanzi La Notte in cui Carletto non cantò e Ritorno a Tretronchi, di cui La Compagnia dei Giacomini è prosecuzione e compimento. Da sei anni vive in un piccolo borgo della pedemontana veneta.

