
Negli Annali Tacito racconta che l'imperatore Tiberio fu costretto dalle circostanze, contro il suo volere, a diventare un tiranno per porre fine definitivamente a discordie e guerre civili. Secoli dopo, all'inizio dell'età moderna, sembrò ripetersi una storia simile quando in tutta Europa le repubbliche cedettero il passo al principato. Così, la ricostruzione di Tacito, da poco riscoperto, divenne il modello sul quale i filosofi moderni imbastirono la loro riflessione intorno al tema della tirannide. Savonarola e Machiavelli, Guicciardini e Bodin, Shakespeare e Spinoza ne mostrarono però i limiti. I due poli di questo confronto ideale furono Tacito e Spinoza poiché proposero due concezioni opposte del potere e, di conseguenza, due posizioni antitetiche nei confronti del governo di uno solo: se per Tacito era una necessità ineluttabile, per Spinoza era un male da evitare a tutti i costi. È significativo, però, che unanime fu l'interpretazione della tirannide: un potere opaco, 'velato', dai contorni e dalle finalità occulte. Un potere che oggi sembra tornare a stendere la propria ombra sulla nostra società.
La filosofia tomista è una delle filosofie storicamente più dominanti e diffuse. Pertanto, lo studio della storia della filosofia è impensabile senza averne una conoscenza sistematica e dettagliata. La caratteristica fondamentale della filosofia tomista, che l'ha resa così popolare e presente, è il realismo metodico che tematizza filosoficamente l'esperienza del senso comune, mentre la caratteristica che desta attrazione intellettuale permanente si radica nelle intuizioni speculative sulla trascendenza, a cui è diretta la sua metafisica dell'essere. Pertanto, la secolare tradizione della filosofia cristiana ha giustamente conferito alla filosofia tomista il titolo di philosophia perennis-filosofia perenne. Il libro ne contiene una presentazione sistematica delle seguenti tematiche filosofiche: introduzione alla filosofia, filosofia della conoscenza, metafisica, filosofia della natura, antropologia filosofica, filosofia di Dio ed etica.
La metafisica si distingue dalle scienze particolari anche per il legame speciale che mantiene nei confronti della propria tradizione. Questa non riveste, infatti, semplicemente un interesse storico-documentario, ma svolge un ruolo di primaria importanza nell'affrontare e risolvere questioni speculative. Allo stesso tempo, tuttavia, la metafisica è caratterizzata da un impulso antitradizionale che si esprime in quella tendenza, tipica di ogni filosofia prima, a "ricominciare da capo". A fronte di questa intima tensione, sorge la domanda che guida questo testo: qual è l'autentico significato metafisico della tradizione? Muovendo dall'analisi del ruolo che la tradizione assume nell'ambito del movimento neotomistico, il presente lavoro articola una risposta di carattere generale: la tradizione che determina la metafisica è la divina Tradizione. Essa assume, in particolare, un carattere che può essere definito come "profetico". In questo modo la metafisica si manifesta, da un lato come una disciplina che rinvia ad una fonte di sapere che la trascende e dall'altro come la depositaria, non tanto di una dottrina, ma di un principio che esige di essere continuamente riappropriato.
Nella Chiesa di San Marco a Firenze, sono raccolte le spoglie di alcuni dei più grandi uomini che nel corso di 500 anni hanno dedicato opere e parole decisive sul valore della Persona. Nel testo se ne ricorda due: Pico della Mirandola e Giorgio La Pira. Il primo, nella sua "Orazione sulla dignità dell'uomo", esalta la visione di un uomo collocato "al centro del mondo", "né celeste né terreno, né mortale né immortale", "investito dell'onore di decidere liberamente". Nel 1944 il secondo, durante la fuga per sottrarsi a un ordine di cattura della polizia fascista, inizia una riflessione sulla condizione dell'uomo del suo tempo, muovendo da una Weltanschauung capace di dare risposta agli interrogativi sui problemi essenziali della realtà e della Storia. Da quelle radici nasce l'idea di Persona, da affermare, oggi, come fonte e sintesi dei criteri di valutazione dell'umano. Senza alcun rilievo giusnaturalistico e senza alcuna riduzione identitaria, ma con una tecnica basata su un'oggettività ideale e giuridica espressa da due fattori: il Pluralismo, sociale e politico, e un'azione ordinante della dimensione sempre nuova dell'esistenza.
Apparso nel 1959, questo saggio segna la svolta in Ricoeur dalla fenomenologia all'ermeneutica e rappresenta la cellula originaria di Finitudine e colpa, l'opera che consacrerà Ricoeur tra i maestri della filosofia contemporanea. Una svolta che avveniva attraverso il confronto con la fenomenologia della religione di Mircea Eliade, la psicoanalisi di Freud e Jung, gli studi sull'immaginazione poetica di Gaston Bachelard e la teologia della demitologizzazione di Bultmann. Il risultato è un'ermeneutica che, da un lato, giustifica il simbolo - sia esso religioso o culturale - in quanto "fonte non filosofica" della filosofia, dall'altro mostra come i simboli - i nomi dal senso molteplice attraverso i quali gli uomini hanno tentato di decifrare gli enigmi della vita - siano a pieno diritto cosa stessa del pensiero. Un'ermeneutica oggi più che mai attuale, in un tempo dove il ritorno del sacro e dei suoi simboli assume il volto violento degli idoli: «non avremo mai finito di distruggere gli idoli, al fine di lasciare parlare i simboli».
È ragionevole credere nell'aldilà? Non solo non è una questione oziosa, ma c'è anzi un'illustre tradizione filosofica in proposito. Kant si chiedeva «in che cosa possiamo ragionevolmente sperare?» e sosteneva che la vita eterna è una faccenda che riguarda la filosofia prima ancora che la religione. Jaspers parlava della necessità di una «fede filosofica» in grado di fare un po' di luce sulla questione del nulla e anche di quelle potenze oscure che abitano le profondità dell'umano. D'altra parte la riflessione sull'immortalità dell'anima è stata da Socrate consegnata a Platone, da questi a Plotino e poi al neoplatonismo, fino alla mistica speculativa, all'idealismo e infine all'ontologia. Oggi, di questo tema, sembrano essersi perse le tracce. Partendo da quello che hanno scritto questi e altri grandi pensatori, Givone sposta ben presto il discorso all'oggi, per chiedersi come una questione apparentemente sorpassata - l'aldilà, la vita dopo la morte - incredibilmente resti attuale: in molti continuano infatti a strizzarle l'occhio, come non rassegnandosi all'idea di archiviarla del tutto. E così, raccontando anche il momento del commiato a Sergio Staino, cui molti amici dichiaratamente atei auguravano in Palazzo Vecchio a Firenze «buon viaggio», Givone ci consegna un libro che tratta il grande tema della vita dopo la morte restando però saldamente ancorato alla vita stessa, proprio quella che ci tocca vivere in un'epoca disincantata e ignara di qualsiasi trascendenza.
Nell'introduzione a Insight: uno studio del comprendere umano, Bernard J.F. Lonergan parla delle "sorprendenti stranezze" che capitano a chi comprende veramente il significato dell'atto di insight. Il presente lavoro testimonia proprio questa esperienza che Richard Liddy ha fatto nella sua vita, negli anni Sessanta, mentre era impegnato a comprendere a fondo Insight. Liddy è stato studente di Lonergan, a Roma, durante il Concilio Vaticano II (1962- 1965) e, in queste pagine, racconta il suo incontro con il teologo canadese e con la sua opera. Menziona anche i ricordi di altri studenti di Lonergan e di persone che hanno testimoniato le "sorprendenti stranezze" suscitate dalla lettura di Insight.
Ciò che costituisce il maggior pregio dell'opera di Corrado Gnerre è la presentazione, sintetica ed efficace, dell'Illuminismo, come epoca storica e come categoria concettuale, per arrivare ad una comprensione in profondità del fenomeno che squarcia il velo di tanti miti e luoghi comuni.
La tesi dell'autore che la filosofia come causa del fatto storico debba intendersi non solo come pura formulazione teoretica, bensì anche come pensiero incarnato, cioè come pensiero che, vissuto, causa un tipo di esistenza particolare, anche contraddittoria con le sue premesse. In questo senso, le pagine che seguono debbono essere lette come contributo ad una "teoria integrale", intendendo con questo termine una storia in cui possa essere compresa buona parte dell'umano: il pensiero dell'uomo, la sua esistenza, il suo agire politico.
L'opera è significativa espressione di una nuova storiografia che nasce sulle rovine della cultura moderna e riscopre i principi perennemente fecondi del pensiero cristiano.
Tradizionalmente si ritiene che ciò che siamo giustificati a credere dipenda solo da criteri di tipo conoscitivo, ovvero debba riguardare soltanto la qualità della nostra evidenza. Ma cosa succede quando le nostre credenze, pur sostenute da buone prove, rischiano di ledere gli altri, discriminandoli o facendo loro un torto? Alcuni filosofi e alcune filosofe hanno iniziato a chiedersi se sia giusto che anche le considerazioni morali influenzino i nostri doveri epistemici. In altre parole: quando le nostre credenze rischiano di fare male a qualcuno, l'etica ha il diritto di invadere il campo della filosofia della conoscenza e modificarne gli standard normativi? L'intersezione tra questioni morali e questioni epistemologiche è diventata così un ampio terreno da esplorare. Attraverso esempi di bruciante attualità, questo volume offre la prima indagine in lingua italiana sull'etica degli sconfinamenti normativi, fornendo una solida base teorica per chiunque sia interessato a comprendere meglio le intersezioni tra norme etiche e norme epistemiche. Dopo aver ricostruito le fondamenta dell'etica della credenza e la disputa tra evidenzialisti e pragmatisti, il volume discute criticamente le principali caratterizzazioni delle credenze che fanno male presenti sul mercato e propone una chiave di lettura originale e innovativa del conflitto tra norme morali e norme epistemiche.
A lungo subordinata alla morte quale cifra costitutiva dell'essere umano, la nascita si impone alla riflessione filosofica del Novecento e dell'età contemporanea come tema ineludibile. Per Hannah Arendt è l'inizio di un'avventura di libertà, per Martin Buber l'irruzione nel mondo di un Io radicalmente nuovo, unico e irripetibile, che si forma solo in relazione a un Tu. L'essere umano, ricorda María Zambrano, nasce incompleto e riceve in dono il tempo per portare a compimento ciò che in lui è soltanto abbozzato. Acconsentire alla vita, allora, è per Jean-Luc Marion rispondere a una chiamata che ci precede, a un dono di fiducia inestimabile. Ne risulta una "filosofia della nascita" nuova e, con rare eccezioni (quali Emil Cioran e Günther Anders), positiva. Il volume approfondisce il pensiero dei suoi maggiori esponenti e delle diverse correnti (fenomenologica, del pensiero dialogico, della differenza di genere...), in una «sinfonia con accenti e sfumature diversi», ma un punto fondamentale in comune: la nascita non è solo un evento passato, è una domanda di significato, che coinvolge in prima persona chi la pone e influenza l'orientamento di senso dell'intera esistenza.
Josep Maria Esquirol è il filosofo della prossimità. Contro il narcisismo e il solipsismo di questi nostri tempi disorientati e confusi, costruisce una riflessione sull'uomo e il mondo utilizzando, come gli è consueto, una metafora efficace: siamo tutti piccole verticalità che restano in piedi l'una grazie all'altra e nel calore della prossimità e della non-indifferenza riusciamo ad avvertire l'infinito che ci attraversa e a trovare la maniera di rispondergli generando legami e senso. Una cosa può avere un ruolo fondamentale nel coltivare questa attitudine alla risposta, nel sostenere ognuno nel proprio cammino verso una vita matura e feconda: è la scuola, intesa non solo come istituzione, ma, nel suo registro più ampio, come luogo in cui si allena l'attenzione alle cose del mondo e agli altri, un luogo dedicato all'insegnare e all'educare nel loro senso originario di indicare, mostrare e aiutare qualcuno a trovare in sé risorse e modi. È questa la 'scuola dell'anima', un'educazione alla cura che può esercitarsi nel luogo concreto di un edificio scolastico, ma che può anche durare tutta la vita, con la porta aperta per tutti e per ogni età. «Andare a scuola. Trovarvi qualcuno che ti aiuta a vedere che puoi, che sei origine. Prestare attenzione alle cose e cominciare a scorgere la profondità del mondo. Diventare manovale del mondo. Sostenere gli altri. Persistere e rispondere alla rivelazione del mondo e della vita. E trovare, così, la buona maniera di vivere».
Come un'onda. In dialogo con Angela Ales Bello ripercorre i momenti salienti dell'iter speculativo della filosofa romana, la quale ha fatto conoscere Edith Stein al pubblico italiano e ha contribuito a dare una nuova configurazione al pensiero di Edmund Husserl, aprendo nuove piste interpretative rimaste a lungo inesplorate: la questione della storia, il problema di Dio, le questioni etiche ed altre ancora. Il titolo mette in rilievo la peculiare modalità di pensiero della studiosa: come l'onda che giunge a riva, o che si infrange sulla costa, non è mai la stessa, così anche il pensiero di Angela Ales Bello, pur ritornando su temi già esplorati, mostra prospettive diverse da quelle precedentemente esaminate. E, così come nel moto ondoso le particelle ritornano sempre al punto di partenza, anche il pensiero di Angela Ales Bello rimane saldamente ancorato al fondo fenomenologico.

