
La kantiana Deduzione trascendentale delle categorie si può considerare come uno dei luoghi classici della filosofia di ogni epoca: quell'esigenza di 'fondazione' radicale che è la caratteristica peculiare dell'atteggiamento filosofico trova infatti in queste pagine della Critica della Ragion Pura una delle sue espressioni più alte e più limpide. Né minore importanza la Deduzione riveste dal punto di vista storico, come documento della particolare prospettiva del suo autore, dovendosi vedere in essa il punto dell'opera di Kant più idoneo a mettere in luce la potenza dell'impostazione criticistica ma anche i suoi nodi irrisolti e le sue intrinseche aporie. Il presente lavoro intende in effetti mostrare - anche attraverso la discussione di alcune interpretazioni storicamente importanti - che, dato il presupposto di fondo che caratterizza tutta la gnoseologia kantiana lasciando la sua impronta specialmente sull'Estetica trascendentale, il problema cui la Deduzione è chiamata a dare risposta si presenta a rigore insolubile; mentre, se si cerca di prescindere da tale presupposto, il luogo della Critica nel quale Kant si avvicina maggiormente all'obiettivo che si era prefisso è, semmai, la Confutazione dell'Idealismo. Anche in questo caso, tuttavia, la soluzione raggiunta non è esente da alcune rilevanti limitazioni che lo stesso Kant mostra peraltro di avere ben presenti, in alcuni passi non sempre adeguatamente ricordati che vengono illustrati in questo libro.
Sotto il profilo metodologico Bontadini ha sempre affermato la fondamentale validità dell'idealismo, ed anzi ha considerato tale affermazione come il punto di partenza obbligato per qualsiasi tentativo di riproporre in epoca contemporanea il nucleo di verità contenuto nella metafisica classica. D'altra parte, poiché l'idealismo stesso tende a misconoscere la natura genuinamente metodologica del proprio contributo e a configurarsi come un sistema metafisico di immanenza, il confronto critico che il sostenitore della metafisica classica istituisce con la filosofia idealistica ha al tempo stesso l'intento di condurre quest'ultima verso la sua piena autenticazione.
"Non siamo realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità" leggiamo già alle prime righe di questo libro. E subito sappiamo di trovarci di fronte a qualcuno che non si identifica né con l'uomo, né con la specie, né con una causa qualsivoglia, e neppure con se stesso. Pubblicato nel 1964, questo testo mostra con evidenza come il pensiero dell'autore fosse proiettato in avanti, verso temi che oggi appaiono ancora più urgenti. Si parla dell'albero della vita, della civiltà, dello scetticismo, della barbarie, della gloria, della malattia come in una sequenza di meditazioni segretamente collegate.