
La sfida di questo saggio è percorrere la vicenda del pensiero filosofico considerandolo come lo snodarsi di un racconto che ha qualcosa da dire a tutti. Non dunque un'esposizione erudita e analitica dei diversi sistemi di filosofia considerati come tasselli di una disciplina specialistica, ma il tentativo di individuare per ciascun autore il fulcro della sua proposta, quella parola attorno a cui le sue riflessioni si sono affaticate e che egli ci ha voluto trasmettere. Così facendo, la filosofia diviene il fluire variegato di grandi prospettive di senso, capaci ciascuna ancora oggi di interpellarci. Essa è un racconto a più voci a noi rivolto. Ma perché ciò avvenga, chi ne dà conto e chi vi si accosta devono sentirsi partecipi di questa drammaturgia complessiva, in cui ognuno è chiamato a osare a sua volta una propria personale prospettiva.
I greci hanno contribuito in modo sostanziale a formulare un linguaggio della mente e a svilupparne i concetti. Le nozioni greche di mente e identità umana - che da Omero e Platone giungono fino a Epitteto e Plotino - toccano questioni di interesse ricorrente e universale, riguardano il modo in cui descriviamo le nostre esperienze, reali o potenziali, e il modo in cui ci confrontiamo, o dovremmo confrontarci, con il mondo e con noi stessi. Cosa ci accade quando moriamo? Gli esseri umani sono mortali o hanno la possibilità di conseguire l'immortalità? Come sono legate la mente, l'anima e il corpo? Siamo responsabili per la nostra felicità? Perché si è giunti a pensare che la vita migliore è una vita governata dalla ragione, con i desideri e le emozioni subordinate al suo comando? Che cosa ha significato pensare all'intelletto umano nei termini di una facoltà divina? Anthony Long si chiede quando e come queste questioni siano emerse nella Grecia antica, e dimostra quanto i modelli di mente ereditati dai pensatori greci siano ancora efficaci nel cogliere e illuminare la nostra comprensione di noi stessi e delle nostre aspirazioni.
Chiedersi che cos'è l'uomo è diventato difficile in un'epoca come la nostra, caratterizzata da una visione scientista del mondo. La scienza moderna si è, infatti, proposta di considerare ogni realtà naturale semplicemente come oggetto per poter così sottomettere ogni cosa al potere dell'uomo. Ma dopo aver tolto alla natura ogni somiglianza con l'umano, lo scientismo pretende di dire all'uomo che anche lui non è altro che una parte di quella stessa natura: "Così parlare di sé come di un uomo finisce per apparire all'uomo stesso come una caduta nell'antropomorfismo". In questa situazione Robert Spaemann vuole tornare a porre la domanda sull'uomo rifiutando il riduzionismo scientista ma senza accontentarsi neppure di un'antropologia filosofica che ne ignori semplicemente la sfida. La chiave di un'antropologia adeguata sta per Spaemann in un'idea di natura che ne colga il carattere teleologico e in un'idea di ragione che non dimentichi il rapporto che c'è tra questa e la natura. Sono queste le idee sviluppate nei quattro saggi che costituiscono il presente volume. Dopo aver riflettuto nel primo saggio sul modo in cui la nozione di natura umana può sfuggire al sempre risorgente dualismo di "natura" e "spirito", l'autore nel secondo saggio rivolge la sua attenzione alla teoria dell'evoluzione. Confrontarsi con questo tema appare infatti necessario per un'antropologia che accetta il dialogo con la scienza.
Nel leggere il titolo e sottotitolo di questo libro, forse qualcuno potrebbe sorprendersi che concetti così astratti come "identità" e "relazione" abbiano a che fare non solo con una realtà concreta e singolare come la corporeità umana, ma soprattutto con ciò di cui essa è condizione, ovvero l'Io, sorgente degli atti umani che rivelano persona. Il saggio vuole descrivere proprio il rapporto fra queste realtà, apparentemente così lontane le une dalle altre, perché - e questa è la tesi centrale - l'origine ed il destino della libertà umana si trova nella relazione con altre persone. A partire da questa tesi l'autore traccia una storia filosofica dell'identità in tre tappe fondamentali: la visione dell'identità come corporeità razionale, che corrisponderebbe al principio d'individualizzazione della metafisica classica ovvero alla materia signata quantitate; la visione moderna dell'identità come autocoscienza; e, infine, la visione post-moderna del rifiuto dell'identità e della sua sostituzione con le differenze. La tesi proposta in questo saggio tiene conto della verità parziale contenuta in questi modi di concepire l'identità. Secondo l'autore, l'identità non è costituita solo da corporeità, autocoscienza, ma anche dalle differenze, specialmente dall'alterità, anzi essa è presente in ognuna delle sue relazioni. Psicologia, neuroscienze e sociologia sono alcune delle discipline da cui si prende spunto nel tentativo di confermare la validità di questa tesi.
Supplizi capitali, deportazioni spietate, ovattati isolamenti. In questo corso, uno dei più importanti del suo insegnamento al Collège de France, Michel Foucault si interroga sul significato delle punizioni che l'Europa, nel corso dei secoli, ha predisposto per chi trasgrediva la legge e incorreva nelle sue sanzioni. Per la prima volta possiamo toccare con mano la documentazione da cui Foucault ricaverà le sue celebri analisi sul potere sovrano, sul potere disciplinare e sul paradigma biopolitico. Ed ecco che il patibolo, le prigioni, i lavori forzati, le torture più feroci, l'isolamento più silenzioso diventano lo specchio di ciò che l'Europa è stata ed è diventata nel corso dei secoli. C'è stato il tempo della punizione spettacolare e granguignolesca e quello della pena silenziosa e sottratta agli sguardi, il tempo del potere che inscena la sua magnificenza e quello del potere che si nasconde, il tempo del potere che dà la morte e quello del potere che amministra minuziosamente la vita dei cittadini. In questo specchio straniante vediamo prendere forma decisioni epocali circa i rapporti tra soggetto e potere, legalità e illegalità, ordine e disordine. Sullo sfondo di queste pagine, un'ipotesi finora meno evidente nell'itinerario foucaultiano: che la guerra civile non costituisca affatto una condizione eccezionale per le nostre società, ma sia lo stato normale, la materia sottostante, la stoffa eterna di cui è fatto il potere.
Nei saggi raccolti in questo volume, Jürgen Habermas indica la via di una cultura che superi la polarizzazione inconciliabile tra laicità e religione per il tramite di un accertamento riflessivo dei confini, sia della fede sia della scienza. La convivenza, nella tolleranza e a parità di diritti, di comunità religiose inconciliabili nelle loro visioni del mondo, e di queste con la comunità dei non credenti, è possibile solo se tutti i membri della collettività sono disposti a considerarsi reciprocamente liberi ed eguali nella loro cittadinanza politica.
Nonostante la presenza di voci critiche, di resistenze anche interne alla Chiesa cattolica, la popolarità di papa Francesco è universale: amato dal popolo cristiano per il suo tratto di umanità comprensiva e per la sobrietà del suo stile di vita, è ammirato dagli ambienti "laici" come il Grande Riformatore della Chiesa, chiamato a realizzare una volta per tutte la modernizzazione auspicata dal Concilio Vaticano II. E tuttavia, sia l'entusiasmo dei fedeli che l'ammirazione dei "laici" appaiono affetti da una strana miopia, che sembra non accorgersi delle contraddizioni vistose del suo magistero. L'esaltazione della povertà come "porta del paradiso" si accompagna a una denuncia simultanea della povertà come male estremo, e a una indicazione dei "rimedi" che ricalca vecchi schemi terzomondisti, decisamente poco aggiornati. L'"eco-teologia" che si profila nell'enciclica, fondata sul valore assoluto dell'ambiente e della sua salvaguardia, appare poi così in sintonia con la carta dei valori tardomoderni e tardocapitalisti - la biodiversità come Patrimonio universale da custodire - da ridurre la prospettiva religiosa e spirituale a un semplice alleato nella guerra "santa" contro i mutamenti climatici e i guasti della modernizzazione. Nell'uno come nell'altro caso quella che si delinea è una radicale svolta post-cristiana, in cui il materialismo pratico e ateo delle nuove moltitudini non sembra costituire un problema.
"Invito a Platone" rappresenta la sintesi più completa degli studi compiuti da Giovanni Reale sul filosofo di Atene e sulla sua Accademia. L'analisi puntuale del pensiero platonico è condotta a partire dai testi; fra i vari capitoli trovano inoltre posto le sintesi dei maggiori dialoghi platonici, quale invito alla lettura integrale di questi scritti che sono il punto di partenza imprescindibile per la comprensione di Platone e di tutto il pensiero antico. Brevi schemi riassuntivi e approfondimenti su alcune delle questioni più rilevanti accompagnano e integrano la lettura. Le tavole fuori testo che arricchiscono il volume contengono le note e i commenti di Giovanni Reale ad alcune delle testimonianze archeologiche e artistiche più importanti di tutti i tempi. Introduzione di Roberto Radice.
La pienezza dell'essere dell'uomo è nell'incontro dell'io con l'altro, nella condivisione della comune umanità. Legato all'io da uno rapporto di somiglianza e di prossimità e partecipe di uno stesso destino umano, l'altro non potrebbe mai essere o diventare un suo oppositore o un suo concorrente e tanto meno un suo nemico. L'altro è, soprattutto, il destino ultimo dell'io, il richiamo della sua massima responsabilità. Di questa comune responsabilità entrambi l'io e l'altro - sono nello stesso tempo i soggetti e i destinatari, i garanti e gli esecutori. I fili di un discorso sull'uomo e sul mondo sono dipanati e ritessuti sulla trama di un nuovo racconto sull'uomo, dove l'altro diventa la traccia della responsabilità dell'io. Non basta riconoscere all'altro la sua identità in rapporto all'io o affermarne la comune origine o la sua correlatività. È necessario disporre l'io e l'altro sullo stesso piano come due realtà plurali che si richiamano a vicenda e costituiscono l'espressione privilegiata dell'umano nel mondo. La responsabilità dell'io verso l'altro richiede che la responsabilità stessa si trasformi in azione con l'altro e per l'altro nell'assunzione della compassione come termine dell'azione stessa. Dono e perdono diventano, in questo contesto, i due paradigmi di una esistenza umana che fa del tempo presente lo spazio privilegiato del dono e nel perdono si riconcilia con un passato segnato dalla colpa e dall'offesa.
"La psicopatologia fenomenologica si colloca come una terza via di stampo largamente umanistico fra la psichiatria come disciplina organicista e la psicoanalisi." Nell'odierno clima culturale che caratterizza l'Occidente, prevale una nuova, raffinata forma di Positivismo, per cui le scienze umane e la psicologia in particolare sono assoggettate agli studi neuro-scientifici delle strutture cerebrali. Il libro di Angela Ales Bello, ispirandosi alla fenomenologia di Husserl e della sua discepola Edith Stein, si propone di fornire una base teorica di tipo antropologico alla psicologia. Fondamentale, a questo scopo, è il riferimento all'analisi esistenziale dello psichiatra svizzero Ludwig Binswanger, che si distingue sia dall'impostazione freudiana che da quella junghiana. In questo modo, diventa possibile elaborare una comprensione della persona umana alternativa all'approccio riduzionista e a quello puramente psicoanalitico.
Tra il dicembre 1854 e il maggio 1855 Kierkegaard pubblica sul quotidiano danese "La Patria" una serie di articoli, nei quali polemizza con la cristianità ufficiale e i suoi rappresentanti che pretendono di essere considerati autentici testimoni del Vangelo senza tuttavia rinunciare alla mondanità e ai benefici statali di cui godono. A questi articoli si aggiunge "Questo dev'essere detto; lo si dica dunque", un opuscolo che anticipa di un solo giorno l'uscita del primo numero de "L'istante", l'organo di stampa pensato dal filosofo per dare voce al proprio risentimento verso una situazione che non esita a definire "un prendersi gioco di Dio". In prima traduzione italiana, gli scritti con cui Kierkegaard compie l'estremo tentativo di suscitare nei suoi contemporanei la coscienza dell'infinita differenza qualitativa tra l'uomo e Dio. Introduzione di Alberto Siclari.
Nel cuore di una devastante crisi economica due eventi tragici venuti dall'esterno, come l'ondata immigratoria e il terrorismo islamico, hanno mutato radicalmente il profilo e il significato dello spazio che chiamiamo Europa. In presenza di un simile salto di paradigma, la riflessione filosofica è in condizione di esercitare la propria potenza inventiva piú di altri saperi. Ma solo se è capace di oltrepassare i propri confini lessicali, volgendo lo sguardo fuori di sé. È quanto, rompendo con il linguaggio delle filosofie della crisi primonovecentesca, hanno fatto alcune traiettorie di pensiero, tedesche, francesi e italiane, capaci di imporsi all'attenzione internazionale. Analizzati da questa prospettiva inedita, i grandi testi di Adorno e Derrida, di Foucault e Deleuze, ma anche quelli dei pensatori italiani piú recenti, ricevono una nuova luce. Dal loro rapporto e dalla loro tensione, ricostruita con straordinaria sensibilità teoretica da uno dei protagonisti della filosofia contemporanea, può nascere un pensiero all'altezza delle sfide cui è sottoposta oggi l'Europa. Teoria critica, filosofie della differenza, biopolitica costituiscono, nel loro confronto e nel loro attrito, scandagli decisivi per mettere a fuoco i tratti del nostro tempo e profilare i contorni di quanto ci aspetta.

