
Negli ultimi decenni la nozione di "arte bizantina" si è ampliata al punto da divenire un contenitore il più possibile elastico nel quale far confluire esperienze le più diverse, dalle Isole Britanniche alla Nubia, dalla Spagna alla Georgia e all'Armenia. In realtà la gran parte di questi territori, in contatto con l'Impero bizantino a vario titolo e in momenti diversi ma non continuativamente, ha presto sviluppato una fisionomia artistica molto caratteristica e il contributo di Bisanzio non è normalmente più ravvisabile se non al livello di un remoto sostrato di tradizione. Questo studio si propone di ricondurre tale problematica entro i suoi limiti più naturali, identificando come "arte bizantina" esclusivamente quella prodotta nei territori governati dall'imperatore d'Oriente o in altre aree ove sia dimostrabile la presenza di maestranze provenienti da quei territori o dalla Capitale. Pur senza eccessive rigidezze, infatti, Costantinopoli, e la sua produzione architettonica e artistica senza pari che ha esercitato per secoli la sua influenza sull'intero Mediterraneo, è posta al centro della trattazione il cui punto di approdo è il 29 maggio 1453, quando la caduta della città pone un termine brusco a una vicenda più che millenaria.
Per i viaggiatori che si fermavano sul bordo della strada a sbirciare i fiori o che allungavano il collo dai finestrini del treno per scorgere un angolo dello stagno, il giardino di Monet a Giverny era una visione paradisiaca. "Un Paradiso dove, all'ombra di alcuni alberi, i fiori variopinti giocano sul prato illuminati dal sole che filtra a chiazze tra le fronde mosse dalla brezza" scrisse un giornalista. Eppure quel luogo ameno era lo stesso in cui Monet, lottando con le sue tele, contemplava quello che il suo primo critico definì "il nulla insondabile": le ninfee - "silenti e misteriose più di ogni altro fiore" - ossessione decennale di un artista che inseguiva il sogno della forma e del colore fin quasi all'autodistruzione. "Ho intrapreso qualcosa di impossibile. Non dormo più per colpa loro", confessò Monet al suo amico Georges Clemenceau. Ma dietro ogni fiore c'è forse una donna? Una donna inaccessibile, proibita? Ross King ricostruisce lo scenario che fa da sfondo al "folle incantamento" di Monet e alla realizzazione di questi dipinti sfuggenti e misteriosi, in cui - forse più che in ogni altra opera dell'impressionismo - possiamo scorgere la scintilla della modernità.
Dire qualcosa di nuovo su Michelangelo, dopo la vastissima bibliografia accumulata su di lui, appare fantasia o temerarietà. Eppure questo avviene oggi con la pubblicazione presso l’editrice vaticana del libro di Stefano De Fiores, La Madonna in Michelangelo. Nuova interpretazione teologico-culturale. Il volume si inserisce nella serie dei libri che la LEV dedica al rapporto tra arte e religione e si presenta cartonato e ricca di molte illustrazioni.
Dopo aver contestualizzato la produzione mariana del Genio di Caprese nell’orizzonte dell’umanesimo e rinascimento, l’autore offre due autentiche e inedite scoperte: l’interpretazione femminista ante litteram, data da Michelangelo agli antenati dipinti nella volta della Sistina, e la nuova interpretazione del cambiamento operato dall’artista nella Madonna del Giudizio universale: da una Madre che intercede a una fedele discepola che riflette l’atteggiamento del Figlio. Tre personaggi della cultura e dell’interpretazione artistica si sono fatti garanti della serietà dell’opera di De Fiores. Il direttore generale del Ministero dei beni culturali Dott. Maurizio Fallace, il Prof. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, e infine S.E. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la cultura il quale annota: «Certo è che Michelangelo – come ben osserva De Fiores – non si accontenta di loro e, accanto ai 40 antenati maschi, introduce ben 27 donne ad essi collegate nelle Sacre Scritture, rivelando una “novità rivoluzionaria pro muliere”, destinata a far risplendere quell’unicum assoluto che è Maria posta nel cuore della parete centrale, ossia nell’affresco supremo».
Dunque un’opera che si innesta nella tradizione mariologica ma che con perspicacia coglie delle novità assolute nell’ambito degli studi su Michelangelo e le propone al lettore in un volume ricco di immagini, in una veste grafica pulita ed accattivante, in un linguaggio chiaro di chi conosce bene la materia ma è capace anche di trasmetterla agli altri.
Stefano De Fiores è considerato uno dei rappresentanti più qualificati della mariologia contemporanea. Ordinario emerito di Mariologia Sistematica alla Pontificia Università Gregoriana, insegna varie discipline mariologiche alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum. Conta al suo attivo l’organizzazione di 20 convegni mariani nazionali e di 26 Colloqui internazionali di mariologia. È socio fondatore e presidente dell’Associazione mariologica interdisciplinare italiana. Ha al suo attivo 36 opere mariologiche e “La Madonna in Michelangelo” è la prima opera che pubblica con la Libreria Editrice Vaticana.
La presente pubblicazione propone una rilettura delle opere di Renato Guttuso, attraverso gli occhi attenti di Mons. Crispino Valenziano (insigne teologo e critico d'arte) che apre nuovi scenari nella critica guttusiana. L'autore propone infatti nel testo un'esegesi biblica che accompagna l'analisi dei dipinti di ispirazione religiosa del pittore siciliano, proponendo non solo una nuova e preziosa chiave di lettura, ma aiutando a sfatare interpretazioni inesatte. Il volume, arricchito da diverse riproduzioni a colori, risulta di particolare interesse sia per gli storici e critici d'arte, sia per i non specialisti che, grazie a queste pagine, possono approfondire la conoscenza di uno dei più grandi artisti del Novecento italiano.
Nel volume sono raccolti gli Atti del Congresso Internazionale "Chiesa e Cultura: 50 anni dopo l'Istruzione Musicam Sacram", che si è tenuto in Vaticano il 3-5 marzo 2017 e che ha rappresentato un'occasione di riflessione culturale sullo stato della musica - compresa la musica sacra - nel mondo di oggi. Diciotto autori, guidati dal cardinale Gianfranco Ravasi, tracciano la storia dell'incontro della Chiesa con il mondo della musica e delineano nuove priorità attraverso il dialogo e la condivisione di esperienze. Oltre a un opportuno recupero del patrimonio musicale della Chiesa e al desiderio di una proposta musicale costruttiva per il culto cristiano nella diversità delle culture, il volume dà voce alle sfide e ai desideri costanti di compositori e musicisti, direttori ed educatori, musicologi e teologi che operano con le loro diverse comunità. Il panorama degli interessi musicali qui espressi orienta lo sguardo della Chiesa verso nuove prospettive in un orizzonte di grande rilievo culturale, spirituale e pastorale.
Paola Giovetti, la più nota giornalista e scrittrice specializzata in tematiche esoteriche e spirituali da diversi decenni esplora con occhio attento il mondo dei misteri.
Nel suo ultimo libro propone al lettore una rassegna di personaggi, situazioni, esperienze e incontri di ogni tipo.
Medium, sensitivi, protagonisti di vicende insolite e umanamente coinvolgenti, studiosi, ricercatori, associazioni, istituti di ricerca in Italia e all’estero, e molto altro ancora.
Tematiche di confine che riguardano le nostre ancora inesplorate potenzialità, la nostra creatività, il senso della nostra esistenza, il nostro destino ultimo.
Quali immagini ha visto Dante? Su quali di esse si è soffermato a pensare? Che ruolo hanno avuto nella scrittura della Commedia? In questo volume, Laura Pasquini ci guida come in un ideale viaggio (Firenze, Roma, Padova, Ravenna, Venezia) attraverso le opere che hanno agito sulla principale creazione dantesca. Mosaici, affreschi, sculture, di cui Dante non parla direttamente, ma che di certo hanno catturato la sua attenzione, finendo per concorrere in vario modo alla costruzione dell'immagine poetica. Talvolta presenza emersa dalla memoria, talvolta riconoscibile spunto figurativo consapevolmente amplificato. Ne risulta un libro fitto di richiami testuali e di prospettive inedite su quello che dovette essere l'immaginario dell'Alighieri; un libro ricco di suggestioni e di scoperte affascinanti (in particolare sul suo soggiorno romano in occasione del Giubileo del 1300) corredato di un denso e prezioso apparato iconografico.
Agli albori del XV secolo, in un'abbazia benedettina di Padova, fu rinvenuta una teca contenente i resti mortali dello storico romano Tito Livio. La scoperta fu accolta con lo stesso entusiasmo riservato alle reliquie di un santo cristiano e servì a stabilire una serie di modelli e pratiche rivelatisi durevoli. Il volume racconta le storie degli antiquari rinascimentali, i quali trasformarono i resti materiali del mondo antico in fonte d'ispirazione per studiosi e artisti, esempi per le decorazioni di palazzi e chiese, oggetti di culto e luoghi di pellegrinaggio. Gli autori accompagnano il lettore all'interno di scantinati, caverne e cisterne, spiegando come venivano intrapresi gli scavi e facendo luce sui metodi che gli antiquari - nonché gli alchimisti e gli artigiani da loro consultati - utilizzavano per interpretare le loro scoperte. Ne emerge non tanto una storia delle origini dell'archeologia moderna o della storia dell'arte, quanto un resoconto del modo in cui le abilità artigianali e le competenze tecniche dell'Età moderna furono utilizzate per creare nuove conoscenze sul passato e ispirare nuove forme di arte, erudizione e devozione nel presente.
La fragranza delicata dei fiori di ciliegio, il sole infuocato che finalmente si placa quando incontra il mare, un frutto di melograno abbandonato a terra tra le foglie gialle e scricchiolanti, il silenzio frastornante della prima neve che luccica sotto un raggio di pallida luna. Cento haiku per quattro stagioni più una, per accompagnarci attraverso lo scorrere di un anno che appare interminabile, e invece basta distrarsi ad ascoltare il passettio di un pettirosso sul tatami per accorgersi che se ne è già andato. Lasciandosi ispirare da una delle forme d'arte più affascinanti di sempre, Nicola Magrin interpreta e immagina con la sensibilità e il tratto inconfondibile che lo contraddistinguono il susseguirsi delle stagioni in un Giappone senza tempo, dando vita a un indimenticabile ritratto del Paese del Sol Levante. Un'armonia perfetta tra testo e immagini, che ci avvolge leggera come il profumo delle prime gocce di pioggia e decisa come il sapore dolce del sake.
In un libro dedicato alla rappresentazione la quasi totale assenza di riflessioni sulla prospettiva può apparire strana. Ma la maggior parte delle rappresentazioni grafiche non utilizzano la prospettiva, bensì il disegno frontale e obliquo: vale a dire le proiezioni parallele. Del resto l'Antichità ha raramente fatto uso degli scorci prospettici, anche per una scelta di chiarezza, semplicità e misurabilità. Dopo la straordinaria produzione illusionistica greco-romana - che dura meno di cinque secoli - per mille anni il mondo mediterraneo e quello cinese continuano a utilizzare solo la proiezione parallela, la cui trascrizione grafica è qui definita disegno obliquo.
Creare produce conoscenza, costruisce ambienti e trasforma vite. L'antropologia, l'archeologia, l'arte e l'architettura sono tutte modalità di creazione che, in questo libro Ingold mette in relazione. Superando la concezione dell'arte e dell'architettura come compendi di opere da analizzare in chiave antropologica o archeologica, Ingold ripensa l'atto di creazione come un processo in cui artefici e materiali sono in corrispondenza reciproca nella generazione della forma. 'Making' presenta una serie di considerazioni sul significato del creare cose, sui materiali e la forma, la natura del design, la percezione del paesaggio, la vita animata, la conoscenza personale e il lavoro manuale. Le riflessioni di Ingold attingono a esempi ed esperimenti che spaziano dall'industria litica preistorica all'architettura delle cattedrali medievali, dai tumuli circolari ai monumenti, dal volo degli aquiloni all'intreccio di corde, dal disegno alla scrittura.
Un viaggio attraverso i secoli, riccamente illustrato, alla scoperta non solo di capolavori imprescindibili, ma del legame più antico e profondo del mondo, la Natività, che allude, nella stessa misura, al mistero della vita di ognuno di noi e al rapporto dell'uomo con Dio. Dalle Natività e Annunciazioni disincarnate e divine, con il cielo infuso d'oro, dell'arte bizantina, Vittorio Sgarbi ci conduce attraverso la rivoluzione della pittura moderna, che ha rappresentato una natività sempre più terrena, sempre più vicina alla vita. Ma la conquista della verità per questo soggetto così misterioso e suggestivo non è stata lineare: la storia dell'arte indica ripensamenti e ritorni, cortocircuiti continui tra ideale e reale. Da Giotto a Simone Martini, da Piero della Francesca a Raffaello, da Michelangelo a Caravaggio e Rubens fino ad alcune suggestioni dell'Ottocento e Novecento, da Courbet a Segantini, a Pietro Gaudenzi, Vittorio Sgarbi non solo ci racconta l'arte da un punto di vista inedito, quello della Natività, ma mostra come essa abbia saputo individuare le infinite sfumature dell'atto più divino che l'essere umano può compiere: il dono della vita. Tra pittura, scultura, ma anche cinema e letteratura, questo viaggio, infine, ci lascia intravedere i mille, labirintici volti della femminilità, quali solo la grande arte può rappresentare. "La Natività è il principio di tutto. La sua sintesi è nella immagine della Madre che tiene in braccio il Bambino: essa non mostra il potere di Dio ma la semplicità degli affetti, in Giotto come in Pietro Lorenzetti, come in Vitale da Bologna, come in Giovanni Bellini, come in Bronzino, come in Caravaggio. Maria nell'atto della maternità non è una maestà lontana, in trono, che tiene in braccio un bambino che è già divino: è semplicemente, nella maggior parte delle rappresentazioni, una mamma con il figlio. Per questo la maternità di Maria non è un tema religioso ma un tema umano. Il soggetto è semplicemente la vita".

