
"Sono nata a Roma, in una villetta rosa, dietro piazza Cola di Rienzo, a circa trecento metri dalla casa dove vivo tuttora. Mentre nascevo, nella camera volava insistentemente un moscone. Mio padre, Federico Wertmüller, nonostante fosse uno spirito laico, non portato alla parapsicologia, pensò che un oggetto di dubbia consistenza e di dubbia provenienza come l'anima di un defunto si fosse materializzato in quell'insetto, e che si trattasse di suo suocero, il cavalier Arcangelo Santamaria Maurizio, morto lo stesso mese, in attesa di trasmigrare nella nuova Arcangelina (cioè la sottoscritta), non appena fosse stata deposta nella culla con un dito in bocca e un ciuffetto di capelli arruffati." Non poteva che cominciare così, all'insegna di un ricordo bizzarro quanto surreale, la vita di Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich, per tutti Lina Wertmüller. Esagitata e rompiscatole fin da bambina, ma già con una grande carica di simpatia, scopre giovanissima la passione per il teatro e in poco tempo, dopo essersi iscritta all'Accademia di Pietro Scharoff e aver collaborato con i migliori registi teatrali, da Giorgio De Lullo alla mitica coppia Garinei&Giovannini, diventa un vero e proprio "topolino da palcoscenico", allestendo scenografie, scrivendo copioni, pièce, commedie musicali. Sarà però il cinema a conquistarla e a renderla famosa in tutto il mondo.
Un'autobiografia in cui Lina Wertmüller racconta se stessa. Insieme alla Roma del dopoguerra, ai primi passi nel teatro dei burattini in giro per il mondo, all'incontro con Fellini e la Dolce vita, all'invenzione di un cinema tutto suo, tanto originale da meritarsi la candidatura all'Oscar con "Pasqualino Settebellezze". Uno sguardo sull'Italia attraverso la macchina da presa di una maestra del cinema italiano. Il CD allegato contiene 32 canzoni interpretate dall'autrice.
Questo romanzo è una rievocazione del grande musicista nel periodo che precede la creazione dell'"Otello". L'azione si concentra in pochi mesi, nella suggestiva cornice della Venezia di fine Ottocento, che Wagner aveva eletto a palcoscenico dei suoi trionfi. Werfel immagina che Verdi vi si rechi in incognito a studiare il rivale, convinto che la propria vena creativa sia esaurita. Il conflitto tra i due musicisti diventa la chiave interpretativa del romanzo fino a quando Verdi, riacquistata la consapevolezza della propria arte e della propria indipendenza spirituale, si recherà ad incontrare il grande nemico-amico e apprenderà della sua morte.
Vincenzo Messina ricostruisce la storia di questo gruppo di talenti musicali. I loro esordi, i quarant'anni nei locali dell'Avana, l'incontro con la famiglia Cooder e poi con Wenders. L'antropologo Miguel Barnet e la musicologa Maria Teresa Linares raccontano la storia della musica a Cuba, la sua importanza sociale e religiosa, gli strumenti, i luoghi e le persone. Al volume è allegata la videocassetta dell'omonimo film di Wim Wenders.
Un volume fotografico che racconta la genesi del progetto legato alla realizzazione del docufilm Francesco. Un uomo di parola (2018), dalla regia di Wim Wenders e da una idea di mons. Dario Edoardo Viganò. «Potremmo definire Papa Francesco. Un uomo di parola un intenso e poetico dialogo tra il Papa e ciascuno di noi, - scrive mons. Viganò nell'Introduzione al testo - costituito dai momenti più significativi del suo pontificato, dalle scene girate appositamente per il film e da immagini evocative dei luoghi e della vita del santo di Assisi. Un incontro, quello di Wim Wenders (e del suo cinema) e di papa Francesco (e del suo ministero), che è tessuto in una sceneggiatura simile al «mormorio di un vento leggero» (cfr. 1 Re 19,12), con una regia che fa dell'incontro tra papa Francesco e lo spettatore la linea portante. Nel film di Wim Wenders papa Bergoglio è, in una sorta di paradosso, "protagonista non attore": il Papa è anzitutto sguardo e parola, luoghi dell'incontro e della relazione con ciascuno di noi, cui sussurra, con la pacatezza del proprio narrare, la Chiesa, quella che lui - ha annunziato all'inizio del suo pontificato - vorrebbe «povera per i poveri». È il racconto di lui, trovato quasi «alla fine del mondo», che vive l'obbedienza allo Spirito per fare le scelte che aiutano lui e tutti noi a essere discepoli buoni del Vangelo».
"A me non piacciono, i film. Mi piace farli". Una delle battute più celebri di Orson Welles sembrerebbe un paradosso, se si considera che di film propriamente intesi questo puro genio ne ha girato uno solo, a 24 anni, nel 1939, e che da quel momento fino alla sua morte i film li ha più che altro raccontati, immaginati, cominciati, interrotti, perduti, ritrovati - o se li è fatti massacrare. Ma per chi conosce bene la sua storia il paradosso è un altro, e cioè che proprio quella specie di fantasticheria permanente in 35 millimetri, che Welles sottoponeva a chiunque avesse voglia di ascoltarlo, ha finito nell'immaginario di tutti per diventare il cinema - una sostanza quasi alchemica che i film in sala contengono spesso solo in tracce. Per tutti gli altri, che magari di Welles conoscono solo l'immagine, o il frammento di una delle innumerevoli leggende da lui stesso messe in circolo, queste conversazioni settimanali con Harry Jaglom a un tavolo del Ma Maison di Los Angeles costituiscono la migliore introduzione possibile a una biografia per definizione più grande del vero, raccontata quasi dalla stessa voce che aveva tanti anni prima reso celebre, alla radio, il suo protagonista.
Un testo inedito ovunque, trascurato, quasi dimenticato negli archivi Lilly dell'Indiana University e riemerso solo grazie a un labile indizio bibliografico, che ha segnato un punto d'incontro tra due straordinari artisti del Ventesimo secolo. Siamo nel pieno della seconda guerra mondiale, Orson Welles è in crisi, ormai relegato ai margini della grande cinematografia. Ma il suo cervello continua a lavorare, e il progetto per un film tratto da questa storia incantata che l'ha folgorato sta per prendere forma. Addirittura pensa a una collaborazione con Walt Disney, per effettuare alcune sequenze a cartoni animati. Non vanno d'accordo, due geni sono troppi, e alla fine Welles rinuncia alla realizzazione del film. Ci rimane questa occasione di rilettura in chiave cinematografica, ancorché inattuata, di una storia che ormai appartiene a ogni generazione. Prefazione di Enrico Ghezzi.
"L'inferno del maggiore Lager, del Lager per antonomasia è disegnato nella sua estensione e profondità, le sue istallazioni descritte con rigore catastale, l'iter del detenuto minuziosamente tracciato, dalla sosta sulla banchina ferroviaria al forno crematorio. Ma il passato è solo una delle dimensioni dell'oratorio di Weiss: l'altra, meno avvertibile per la sua stessa mobilità e ambiguità, è quella del presente, del modo in cui quel passato è rivissuto, atteggiato. All'evocazione dei fatti compiuta dagli scampati, corrispondono le interpretazioni, le prese di posizione degli imputati e di molti «testimoni», che depongono a piede libero. Questo aspetto dell'Istruttoria, se anche meno emozionante, ha una forza di rivelazione, anzi di denuncia, stupefacente".
"Venezia salva" esprime, in poesia, la condanna del primato della forza nella società di ogni tempo. Trae ispirazione da una novella storica seicentesca che narra il fallito complotto ordito dalla Spagna contro Venezia. La bellezza della città, riflessa nello sguardo innocente di Violetta, muove a compassione il capo militare dei congiurati, Jaffier, che denuncia il complotto cercando invano di salvare la vita dei compagni. Questa edizione di "Venezia Salva" si presenta come una novità in quanto la nuova traduzione è accompagnata da un ricco apparato critico. In esso, avvalendosi di preziose informazioni presenti nel Fondo Simone Weil della Biblioteca Nazionale di Parigi, si ripercorre il retroterra teorico della tragedia e si ricostruisce, attraverso un'ampia documentazione storica, il tormentato percorso compiuto dall'autrice a partire dal momento in cui legge la novella storica dell'Abbé de Saint-Réal e dà inizio alla lunga gestazione del testo.
Alle 5 del mattino del 2 ottobre 1960, Holly Golightly cammina per la Quinta Strada in una New York deserta, con gli occhiali da sole scuri e un abito di Givenchy destinato a diventare leggendario: è così che inizia Colazione da Tiffany ed è con questa scena che si apre una nuova era per la società americana. Sam Wasson racconta la nascita, la realizzazione e le conseguenze film. Svela le avventure rocambolesche che sceneggiatore, regista, attori e produttori hanno dovuto affrontare per portare a termine una lavorazione piena di imprevisti; i trucchi messi in atto per passare illesi tra le maglie della censura e le intuizioni geniali che hanno permesso al film di superare un'accoglienza diffidente, di fare breccia nei cuori degli spettatori e di diventare un vero classico. Tutto parte dalla storia di una giovane comparsa che diventa un'icona di stile: Audrey Hepburn, con la sua grazia, riesce a guadagnarsi la fiducia di un pubblico eterogeneo e a conquistare mariti, mogli, genitori e figli. Nel momento in cui la società si sente soffocata nei vecchi panni del primo dopoguerra e scalpita aspettando un cambiamento, Audrey e Colazione da Tiffany propongono un cinema diverso, una moda nuova e uno stile di vita libero da polverosi moralismi. L'autore ripercorre la storia del film, i retroscena più significativi ma anche le sfumature più segrete.
Andy Warhol è l'artista più famoso e riconoscibile del Novecento. Questo libro, uscito nel 1975, è un classico istantaneo. Vi troviamo, in forma di dialogo, di aforisma, di monologo interiore, di narrazione, tutto il suo pensiero sull'arte, il tempo, la vita, i soldi, il mondo. "Certe volte la gente lascia che lo stesso problema la renda infelice per anni, quando basterebbe dire: 'E allora?'. 'Mia madre non mi amava.' E allora? 'Mio marito non mi vuole scopare.' E allora? 'Ho successo, ma sono solo.' E allora? Non so come ho fatto a cavarmela per tanti anni prima di imparare questo trucco, ma una volta imparato non lo si scorda più." "Spazio vuoto è uno spazio non sprecato. Spazio sprecato è ogni spazio che contiene dell'arte. Poiché continuo a fare un po' d'arte, produco ancora rifiuti che la gente mette negli spazi che, a parer mio, dovrebbero rimanere vuoti. Io stesso non seguo la mia filosofia, perché neppure io riesco a svuotare i miei spazi. Non è la mia filosofia che mi tradisce, sono io che tradisco lei."
Meraviglia dell'arte italiana, la pala d'altare con cui il Caravaggio si inchina alla solidarietà umana offre a chi la osserva un innovativo punto di vista sulle opere di misericordia, pietra fondante di qualsiasi fede. Attraverso lo sguardo del fiero custode del prezioso dipinto, si snoda il viaggio insolito di Terence Ward nelle "Sette Opere di Misericordia". In questo capolavoro è contenuto un messaggio visionario. Traboccante di suspense, colore e contrasti, la narrazione si avventura - seguendo il Caravaggio - attraverso il succedersi di gesti come l'offerta di cibo a chi ha fame, di acqua a chi ha sete, di vesti a chi ne è privo, di un tetto a chi non lo ha, di cure a chi è infermo, di attenzione a chi si trova in prigione e di sepoltura a chi muore. Con disinvoltura il narratore si sposta in verticale tra gli strati sociali di Napoli e tra passato e presente, passando dai circoli aristocratici ai quartieri popolari nel mondo del custode. Nel continuo fondersi di un elemento dentro l'altro, la storia va a coincidere con il resoconto personale, la memoria storica con il reportage giornalistico. Nell'arco di questi racconti paralleli si vedono, da una parte, lo sforzo febbrile dell'artista mentre trasferisce sulla tela la propria visione e, dall'altra, la faticosa esistenza del custode che si fonde con il messaggio di misericordia, ed è qui che avviene il passaggio dall'estraneità alla Grazia.