"La Via del Nome Supremo" è il cuore della meditazione profonda, comune a molte tradizioni religiose. Lo scopo di queste pagine è quello di offrire a chiunque lo desideri un semplice metodo di meditazione per rimanere in silenzio alla presenza di Dio. La meditazione del Nome Supremo può essere praticata da tutti, non richiede posizioni corporee particolari. L'autore ha messo per iscritto la sua esperienza di pratica della meditazione profonda, sia come allievo che come insegnante di corsi di Meditazione e Autoconoscenza, prendendo ispirazione dai corsi tenuti del suo maestro Mariano Ballester.
L'amore di Dio, l'amore in famiglia, l'amore per la comunità e al mondo: sono i tre pilastri di una "piccola regola" di vita e preghiera familiare che la Fraternità san Carlo ha messo insieme per offrirla a tutte le famiglie che in questi tempi di incertezza si domandano come vivere la loro appartenenza alla Chiesa, come esprime la gioia della fede e come trasmetterla ai figli, come declinare le proprie giornate, tra lavoro e cura dei figli, con uno sguardo di senso e di sequela di Cristo. Queste pagine presentano proprio la "piccola regola", fatta di consigli e piste di riflessione da utilizzare in famiglia, nel proprio quotidiano. Niente di difficile: si tratta di dar spazio a un saluto, uno scambio con Dio attraverso la preghiera nel corso della giornata, e poi di fare del proprio agire in famiglia una testimonianza di rispetto verso l'altro; di lode costante alla bellezza della vita, di attenzione all'educazione dei piccoli. Infine, la regola propone alcune possibilità di servizio, attenzione, cura anche all'interno della propria comunità, nel proprio lavoro quotidiano, nell'apertura della casa all'insegna della fraternità e della solidarietà, quando non addirittura di cammino missionario.
In questo volume, si prende in esame il tema del perdono cristiano, esaminato nel suo rapporto con la violenza e con la misericordia.
Nella realtà odierna, la violenza (da sempre presente nella storia umana come strumento immediato di soluzione dei conflitti, sia nei rapporti interpersonali come nello scenario politico internazionale) è amplificata dalla globalizzazione dell’informazione e dalla cosiddetta cultura di morte ed è accettata e spesso giustificata, producendo un numero sempre maggiore di vittime distrutte nella loro identità e dignità, a causa di una tendenza a considerare la persona umana solo uno strumento per raggiungere i propri scopi.
In un contesto simile, il contenuto semantico del termine “perdono” (per-dono) inteso come “azione di dono gratuito all'altro”, sembra perduto definitivamente.
Occorre proporre una cultura diversa, fondata su presupposti antropologici e filosofici che facciano riferimento ad una dimensione alternativa a quella materialistico-antropocentrica e partano piuttosto da una visione che trova nella Trascendenza la possibilità di spiegare anche le motivazioni e gli scopi dell’agire umano.
Dalla prefazione Pierbattista Card. PIZZABALLA
Paolo GENTILI, coniugato e padre di sette figli, laureato in Medicina, specialista in Psichiatria, psicoterapeuta. È stato professore associato di Psicologia clinica della Facoltà di Medicina presso l’Università «Sapienza» di Roma e docente incaricato presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia; attualmente è professore invitato di Psicologia pastorale presso lo Studium Theologicum Galilaeae, in Israele, dove è in missione con sua moglie. Ha alle spalle lunghi anni di esperienza come catechista, psicoterapeuta e operatore pastorale in aiuto alle famiglie.
Una sintesi completa della dottrina cristiana - che cosa credere, come vivere e come pregare nel modo in cui Cristo ci ha insegnato - scritta per il nostro tempo da un successore vivente degli apostoli. Con autorità episcopale e zelo pastorale, il vescovo Athanasius Schneider offre una nuova e audace articolazione delle verità senza tempo della Chiesa Cattolica, offrendo in una forma semplice e comprensibile tutta la ricchezza dell'insegnamento tramandato attraverso la tradizione. Con il metodo della domanda e risposta, il fedele è condotto ad affrontare i fondamenti di fede, ma anche le questioni contemporanee. Una guida affidabile e un classico per il cristiano di oggi e soprattutto di domani.
La gioia è una cosa seria, è importante per la nostra vita e per la nostra vocazione a vivere con verità e pienezza. Tuttavia, non dobbiamo cercare una gioia disincarnata, come se fossimo angeli, ma una gioia in cui il nostro cuore trovi una soddisfazione che, per così dire, risuoni anche nel nostro corpo, nel nostro pensiero, nelle nostre parole e nei nostri sentimenti. Ma quand'è che siamo veramente felici? Fondamentalmente quando si trova un tesoro, una cosa preziosa che il cuore percepisce preferibile a tutto. Capire che la gioia è legata al tesoro, e che l'unico tesoro che garantisce la gioia è cristo, è la cosa più importante da riconoscere nella vita.
I luoghi non sono né un semplice paesaggio esteriore, né un mero palcoscenico sul cui sfondo va in scena la nostra esistenza. Noi siamo inevitabilmente abitatori dello spazio e del tempo: in tal modo siamo chiamati ad abitare il senso e - impresa ancor più ardua - ad abitare noi stessi. Come spiega Emanuele Borsotti, noi veniamo all'esistenza abitando: esistiamo abitando e abitiamo esistendo. Innestati in Cristo, scopriamo poi con stupore che l'Eterno - entrato nel tempo - si è fatto circoscrivibile in un punto della storia e della geografia umana, si è fatto corpo di carne, per venire ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Così il Dio immenso e infinito si fa "luogo" per l'umano e con l'umano; e noi abitiamo luoghi ed edifichiamo spazi, alla ricerca di una traccia del divino, di un segno tangibile , di uno sfioramento di una Presenza che sempre s-confina. E, mentre abitiamo, avvertiamo che ogni casa, ogni dimora, ogni riparo è sempre penultimo e provvisorio. Se, infatti, il verbo "abitare" ci insegna a coniugare anche il verbo "amare" in tutti i modi e tutti i tempi, con Michel Serres possiamo confermare che «l'amore non ha casa». Pagine intense sulla nostra cartografia interiore: per imparare a leggerla e per incontrare progressivamente noi stessi e Dio.
Dall'esperienza del Gruppo vedovile della parrocchia San Francesco di Lecco - un gruppo di donne dai 45 agli 86 anni - nasce questo prezioso libretto, diviso in due parti. La prima è formata dagli "appunti" degli incontri del Gruppo: sono testi ricchi di intimità e di speranza. La seconda è un "piccolo salterio vedovile", con brani di Salmi accostati a brevi ma dense riflessioni. Uno strumento offerto a tutte le realtà simili e alle comunità che vogliano avviare un'esperienza del genere, ma anche a coloro che, pur non facendo parte di gruppi, vivono la condizione di vedovanza, per trovare parole di conforto e speranza.
"Dilexit nos", quarta Enciclica di Francesco, ripercorre tradizione e attualità del pensiero "sull'amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo", invitando a rinnovare la sua autentica devozione per non dimenticare la tenerezza della fede, la gioia di mettersi al servizio e il fervore della missione: perché il Cuore di Gesù ci spinge ad amare e ci invia ai fratelli Per esprimere l'amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l'importanza del cuore.
Il pregio di queste riflessioni è quello di saper coniugare la presentazione teologica, a partire dalla Sacra Scrittura, con il linguaggio della poesia, privilegiando pertanto il simbolo, le immagini che da sempre sono state una via efficace per proporre i contenuti della Fede, rispettando quel Mistero della vita di Dio e della Sua presenza nella creazione e nelle storia, che supera sempre la capacita espressiva della parola umana.
Faccio tardi questa sera" racconta l'esperienza dell'autore, impegnato in un servizio di volontariato alla stazione, dove incontra regolarmente i senzatetto assieme alla moglie e al gruppo degli "Amici del venerdì". La narrazione, illuminata dalla luce del Vangelo di Luca, descrive come questi incontri si trasformino da semplici atti di servizio a occasione per tessere relazioni preziose e significative. L'opera descrive la vita alla stazione come un crocevia storie e di sofferenze, un confine invisibile tra l'indifferenza della città e la realtà dura della strada. Ogni incontro con i senzatetto si vela però un'opportunità unica di vedere il Signore nei volti dei emarginati.
Il racconto tiene il Vangelo di Luca come chiave interpretativa essenziale per comprendere la dignità e il valore di ogni persona incontrata. Attraverso le sue pagine, l'opera lucana parla di amore, misericordia e speranza, offrendo nuova prospettiva su cosa significhi realmente vivere una vita salvati. Gli incontri, inizialmente vissuti come un dovere, si trasformano allora in momenti di crescita personale e spirituale, aiutando l'autore a vedere oltre il confine del pregiudizio e dell'indifferenza;
Un libro, questo di monsignor Molinari, che non solo raccoglie una serie di interventi su temi biblici e non, ma che soprattutto testimonia - se pure ve ne fosse bisogno - dell'attenzione che il vescovo emerito di L'Aquila ha avuto, per tutto il corso della sua vita di pastore e di lettore attento e curioso, nei confronti della cultura tout court. Parole di Dio e parole umane si intrecciano in questo percorso, alla ricerca di luoghi di senso e di incrocio tra l'offerta di salvezza che dalla Bibbia giunge all'uomo e la risposta umana, talvolta titubante, talvolta affaticata, ma sempre presente. Poeti come Pavese, romanzieri come Chesterton, teologi come Bultmann... vengono ripresi e restituiti al lettore in maniera originale e profonda, diventando "sentieri" in cui ritroviamo la freschezza della nostra umanità redenta e in ricerca.
Che lingua parlavano Adamo ed Eva tra loro due, e con il Creatore, quando vivevano nell'Eden? Impossibile rispondere a una simile domanda, eppure è una domanda vertiginosa, portentosa, perché basta porsela con attenzione ed ecco dischiudersi davanti a noi come un antico canto delle delizie, che tanto più interpella il nostro tempo, attirato invece dalle seduzioni di una lingua negativa: un gergo dell'odio, un turpiloquio della malvagità.