Il libro ricostruisce come i Padri della Chiesa hanno pensato la Trinità (la relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo) e la Rivelazione cristiana in base ai concetti della metafisica greca. In gioco è il rapporto tra cristianesimo ed ellenismo: un tema quanto mai dibattuto, e qui analizzato con rigore e chiarezza. - Il libro è anche un'affascinante ricostruzione della storia del concetto di spirito (pneuma), dal suo significato filosofico (ragione, anima) a quello teologico cristiano, diventando nome della terza Persona divina. Da tale storia emerge anche una nuova prospettiva sullo spirito dell'uomo e sul suo rapporto con il corpo e il mondo. - Le controversie teologiche tra patristica greca e latina sono esposte e chiarificate in modo nuovo.
Centrale nell'analisi di questo Commento del Crisostomo è l'interpretazione e il senso da dare alla sofferenza di Giobbe. Il Crisostomo esclude che si possa leggere in chiave retributiva. Egli è infatti al di sopra di qualsiasi peccato per il quale Dio avrebbe potuto punirlo. Quindi, per mezzo della figura di Giobbe, il padre antiocheno esprime una forma di pedagogia divina attraverso la quale tutti devono apprendere dalla sofferenza di Giobbe. Accanto al tema dell'edificazione, e come intrecciate ad esso, ricorrono nel commento biblico altre questioni alle quali il Padre della Chiesa si sforza di rispondere, come la presenza del male, la prosperità dell'empio, il distacco dai beni, il pericolo delle ricchezze, l'educazione dei giovani.
Testo critico greco e a fronte traduzione italiana. È la prima traduzione italiana condotta sul testo critico greco.
Il trattato La natura dell’uomo è il primo testo, di ambiente cristiano, che affronta sistematicamente il tema dell’uomo in tutti i suoi aspetti: proprietà psichiche, fisiche, sensoriali, etiche. Nemesio fa una rassegna delle opinioni espresse da pensatori pagani sui vari problemi e li mette a confronto con la rivelazione cristiana, mostrando come la riflessione puramente razionale dei filosofi pre-cristiani porti a conclusioni insufficienti e contraddittorie, ma non inconciliabili con le verità della fede. Nemesio discute e confuta anche le tesi di pensatori che si sono allontanati dall’ortodossia cristiana, come Apollinare di Laodicea, Eunomio di Cizico e Origene. Della natura dell’uomo ebbe una larga popolarità nel mondo bizantino e nell’Oriente cristiano, come appare dall’elevato numero di manoscritti che ce lo trasmettono e dalle numerose traduzioni orientali che ci sono pervenute (armena, araba, georgiana) o di cui abbiamo notizia (siriaca). È conosciuto anche nell’Occidente cristiano, grazie alle traduzioni latine di Alfano, vescovo di Salerno del XI sec., e di Burgundione di Pisa del XII sec., a cui seguirono in periodo rinascimentale nuove versioni. Oggi il trattato di Nemesio è molto studiato e rivalutato in ragione di aspetti interessanti e attuali di quest’opera, considerata da sempre soprattutto una importante fonte di storia della filosofia.
Nemesio di Emesa - Sappiamo pochissimo di Nemesio, vescovo di Emesa in Siria. Dai dati interni possiamo concludere che aveva buone competenze di filosofia e di medicina e che scrisse l'Opera nei primi decenni del V sec. Il De natura hominis fu ampiamente utilizzato da pensatori e teologi cristiani quali Massimo Confessore e Giovanni Damasceno. Spesso traduzioni e manoscritti attribuiscono il trattato a Gregorio di Nissa. Perciò grandi autori della Scolastica, come Pietro Lombardo, Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, citano tesi di Nemesio, ma sempre sotto il nome di Gregorio.
La divinizzazione dell'uomo è una delle tematiche che suscitano interesse nel panorama teologico odierno. I Padri Cappadoci ne parlarono già diffusamente arricchendo lo sfondo culturale, storico e teologico del IV secolo. Basilio di Cesarea, concludendo la presentazione della storia della salvezza dal punto di vista divino, nelle sue Regulae fusius tractatae afferma: «[a Dio] non è bastato restituire semplicemente alla vita quanti erano morti, ma ha anche fatto loro dono della dignità divina».
Il volume - primo di una serie dedicata alla riedizione delle più importanti Opere di Ildefonso Schuster -, corredato da saggi di Inos Biffi, Mariano Dell’Omo e Anna Maria Fedeli, raccoglie i principali scritti del cardinal Schuster su Ambrogio vescovo di Milano, pastore, teologo, committente di edifici sacri. In queste pagine si rispecchia in pieno il monaco benedettino, poi abate, infine arcivescovo della diocesi ambrosiana, che fino agli ultimi giorni della sua vita non solo professò una totale devozione al suo gigantesco predecessore sant’Ambrogio, ma ne studiò con impegno la dottrina, l’opera pastorale, e in special modo le memorie archeologiche milanesi, “per una più illuminata stima - com’egli stesso scrisse nel 1940 - del nostro spirituale patrimonio ambrosiano”. Oltre a numerosi saggi, appaiono nuovamente stampate anche due monografie fondamentali per valutare gli interessi storici, liturgici, artistici e archeologici del cardinale Schuster nei riguardi della città e della Chiesa ambrosiana: “Sant’Ambrogio vescovo di Milano. Note storiche”, Milano 1940, e “Sant’Ambrogio e le più antiche basiliche milanesi. Note di archeologia cristiana”, Milano 1940. L’occasione di questi due lavori fu il XVI centenario della nascita di Ambrogio, nel quale l’arcivescovo Schuster colse l’opportunità di rivalutare - come ancora egli stesso sottolineava nel 1941 - non solo il “tradizionale sant’Ambrogio”, cioè il pastore instancabile e il puro difensore dei diritti di Dio di fronte a quelli di Cesare, ma anche il “sant’Ambrogio artista: costruttore di basiliche e di battisteri; ideatore di quadri, che poi bellamente illustra coi suoi distici e colla sua lira cristiana”. L’attenzione di Schuster per la storia archeologica di Milano, capitale imperiale e cristiana, non è che l’ultimo anello di un impegno per gli studi di archeologia che Schuster sin da giovanissimo nutrì, attratto dal fascino della civiltà paleocristiana così ben visibile a Roma, dalla quale egli attingeva in pari misura - come da una pura sorgente - ispirazione, esempio ed impulso alla sua fede e alla sua cultura.
Sono qui raccolti gli atti del convegno realizzato a Bologna il 2-3 dicembre 2014, nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Storia della Teologia della FTER (Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna) e del GIROTA (Gruppo Italiano di Ricerca su Origene e la Tradizione Alessandrina). Non si tratta di un bilancio della ricerca in corso, né di una sintesi a carattere manualistico, ma di una serie di approfondimenti su figure e momenti nodali di una possibile “storia dello Spirito santo”, che spaziano dalla letteratura biblica – sia in lingua ebraica che greca – alle testimonianze protocristiane canoniche ed extracanoniche, alla riflessione dei primi secoli in Oriente e Occidente, tenuto conto delle testimonianze iconografiche coeve. Due excursus indagano anche nell’ambito della tradizione islamica e della teologia cristiana contemporanea.
Contributi di M. Settembrini, F. Calabi, M. Marcheselli, M. Simonetti, F. Pieri, L. Perrone, G. Maspero, C. Gianotto, E. Norelli, F. Ruggiero, C. Burini De Lorenzi, G. Bendinelli, R. Zanotto, D. Righi, D. Gianotti.
Se la nascita e lo sviluppo del pensiero cristiano delle origini sono segnati dall’incontro con la filosofia greca, un protagonista di questo incontro, nel periodo fra il II e il III secolo, è Origene di Alessandria (185- 253 d.C.), il più autorevole teologo ed esegeta cristiano prima di Agostino. - Il libro mostra, con attenzione anche agli aspetti linguistici, come Origine si serva del pensiero antico, soprattutto del platonismo, per interpretare le Sacre Scritture e alimentare la riflessione sui contenuti della rivelazione. Una interpretazione che ha segnato la storia della teologia cristiana, occidentale e orientale. - Un libro, insieme di storia della filosofia e storia del cristianesimo, che apre nuove piste di ricerca.
"La Guerra giudaica", scritto prima in aramaico poi in greco, narra uno degli eventi più drammatici della storia universale, ambientato in quegli stessi luoghi in cui pochi decenni prima aveva predicato Gesù Cristo. La prima parte del libro è dedicata ai delitti che funestarono la famiglia di Erode. Ma il cuore dell'opera è la lotta del piccolo popolo ebreo contro le legioni di Vespasiano e di Tito: esempi di coraggio disperato, di straordinaria astuzia guerriera e di folle fanatismo rivoluzionario si susseguono davanti ai nostri occhi, fino al momento in cui il Tempio, simbolo della tradizione ebraica, viene avvolto dalle fiamme di un incendio inestinguibile. Un'appendice al testo propone i frammenti di un'antica versione russa della Guerra giudaica, dove appare la figura di Gesù Cristo.
Presentazione di mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento. Direzione editoriale: don Giuseppe Calderone. Editing: Adalgisa Sclafani, Annalisa Gianfortone.
La lettera a Proba, come dice chiaramente il titolo, è una lettera e non un trattato sulla preghiera; la costruzione del testo è legata ad un fatto occasionale e perciò non contiene una riflessione sistematica. Tuttavia quello che poteva essere un limite si rivela una ricchezza; emergono, infatti, delle dimensioni che sono essenziali per ogni situazione di vita e per ogni tipo di preghiera. Si potrebbero così riassumere: La ricerca della vita beata; La centralità del desiderio; La preghiera ha bisogno di 'regole'. Nella lettera a Proba ci sono anche utilissime indicazioni circa i modi e i tempi della preghiera.
I concetti teologici, o in senso lato religiosi, sono spesso diventati nel corso del tempo categorie politiche, costituendo l'ossatura di quella "teologia politica" che Carl Schmitt aveva delineato, dentro la quale categorie politiche non sono altro che categorie religiose secolarizzate. In età antica poteva peraltro succedere che i fatti religiosi fossero interpretati e declinati secondo categorie politiche, come Erik Peterson ha esemplarmente mostrato nel suo Monoteismo come problema politico. I due procedimenti non sono però in contrapposizione: la società antica era nelle sue basi religiosa e quindi ogni idea o istituzione fondamentali nascevano dalla religione o venivano filtrate attraverso essa, anche la categoria o le istituzioni politiche che a noi sembrano ad essa estranee. Di queste interferenze è un esempio particolarmente significativo il termine latino praerogativa, di cui il volume ripercorre la storia tra le prime manifestazioni scritte e i secoli del tardoantico.
Distinti dai poveri "veri", i poveri "santi" hanno mantenuto per secoli nel cristianesimo lo status di élite. Questi asceti, maestri e preti sono vissuti ricevendo un supporto materiale dai loro seguaci, in cambio di un aiuto immateriale incommensurabile: insegnamenti, preghiere e benedizioni. Offrire loro un sostegno, infatti, come offrirlo ai poveri reali, era un modo per accumulare un tesoro in cielo. Fin dalla nascita del monachesimo cristiano in Egitto e in Siria, i cristiani hanno dibattuto aspramente se i monaci dovessero lavorare per vivere o se, come i buddhisti, potessero vivere facendo l'elemosina. Peter Brown descrive la storia di questa polemica, le tensioni insospettate tra i poveri veri e i poveri santi, le contraddizioni all'interno del cristianesimo dei primi secoli riguardo al valore del lavoro, della ricchezza e della carità.