Che c'entra J.R.R. Tolkien, professore a Oxford e autore del celebre Il Signore degli Anelli e di altre note saghe di sapore neopagano, con la Bibbia? Non è uno scrittore di libri fantasy? E se dietro le sue opere dalle tonalità fiabesche ci fossero modelli di riscrittura biblica e, addirittura, di catechesi da utilizzare nella pastorale giovanile, e non solo? Specie per gli habitués delle pagine bibliche, non di rado coinvolti nel circolo dell'abitudine che rende anche la Bibbia testo apparentemente già noto e acquisito, Tolkien riserva interessanti sorprese, ma "Dobbiamo pulire le nostre finestre, in modo che le cose viste con chiarezza possano essere liberate dalla tediosa opacità del banale".
La cultura postmoderna, con il suo relativismo, appare agli antipodi del messaggio cristiano. Esistono dunque culture impermeabili per essenza al Vangelo? L’autore, che si dice «profondamente segnato dalla visione del Concilio Vaticano II», è convinto di no. E lo spiega appoggiandosi anche a un filosofo della postmodernità come Jacques Derrida, da cui trae intuizioni feconde per la stessa teologia sulla Trinità. Il suo argomentare, peraltro, non è meramente accademico. Padre Sivalon è un missionario, e l’interesse al postmoderno nasce dalla sua esperienza africana: là ha scoperto che «Dio è presente in tutte le culture». In esse siamo ormai abituati a scorgere i «semi del Verbo»; il postmoderno, però, con il suo carico di «incertezza» ci pare minacciare la «metafisica» che riteniamo indispensabile alla fede cristiana. E se l’incertezza fosse invece un dono? Se fosse il terreno su cui la fede fiorisce?... È proprio l’incertezza che meglio accoglie l'Amore che si svuota da sé.
In collaborazione con la rivista Missione Oggi.
"Semplicemente cristiano" è una lettura essenziale per chiunque voglia considerare i veri fondamenti - il cuore - della fede cristiana e la trasformazione che essa consente in ogni area della vita personale e sociale, nonché una lettura sulla rilevanza del cristianesimo per il mondo contemporaneo.
"Ha veramente senso lavorare? Esiste una dignità del lavoro, del lavoratore? È possibile esprimerla nelle strutture normali della vita aziendale? È possibile esprimerla in rapporto alle nuove tecnologie, là dove le cose si svolgono senza problemi drammatici?". Queste e altre sono le domande legate alla tematica del lavoro che, nel corso del suo ministero episcopale, il cardinal Martini si è posto e a cui ha voluto fornire delle risposte. Sono problematiche ancor oggi di grande attualità, considerata la grave crisi economica e sociale che dobbiamo affrontare, come se ci trovassimo nel bel mezzo di una tempesta; ma per non lasciarci sopraffare, ci ricorda Martini, "in tempi difficili come questi che stiamo vivendo [...] mi sembra utile fare un momento di pausa e metterci in ascolto della Parola evangelica". Le riflessioni del cardinale sono introdotte e commentate da due autorevoli esperti dei nostri giorni: don Walter Magnoni, teologo morale e responsabile del Servizio per la pastorale sociale e il di Milano, e il professor Alberto Quadrio Curzio, professore emerito e già Preside di facoltà dell'Università Cattolica, noto economista e collaboratore del cardinal Martini.
Sul tema del cattolicesimo e del concilio Vaticano II il volume raccoglie gli interventi di due personalità eminenti: un filosofo e un vescovo, entrambi membri dell'Académie française. I vangeli - osserva il prof. Michel Serres non escono dalla mano di accreditati sapienti e si rivolgono ai poveri riportando ingenue parabole, ma in modo così semplice, limpido e autentico che oggi sembra quasi impossibile scrivere nello stesso modo. Eppure, l'afflato universale delle pagine evangeliche e l'originale esperimento "autobiografico" degli Atti degli apostoli indicano la matrice, la radice, la forma originaria di un linguaggio che può liberare l'autenticità della scrittura sottraendola alle "formattazioni" tecniche e specialistiche del lessico accademico e di quello dei media. La stessa eredità del concilio Vaticano II (1962-1965), cioè lo sforzo di far dialogare la grande tradizione cristiana con il mondo contemporaneo, richiede di interrogarsi sul significato del "parlare di Dio" e "parlare a Dio" in un tempo di incertezza, di disincanto e di inquietudine, osserva mons. Claude Dagens. In questo contesto non si possono trascurare gli aspetti più paradossali e contraddittori dell'evangelizzazione: l'assunzione della solitudine, la solidarietà da esprimere, la fraternità da condividere, l'interrogativo sull'enigma del male - al tempo stesso sovraesposto e rimosso - e la possibilità di rinascita attraverso il mistero di Dio.
Il volume raccoglie gli scritti del celebre filosofo, teologo e scienziato russo, appartenenti al periodo giovanile (1904-1917) durante il quale egli ha vissuto importanti esperienze di sofferta ricerca esistenziale e di intensa formazione spirituale. Seguendo il flusso poetico del pensiero, il lettore viene condotto gradualmente alla scoperta dei tratti costitutivi dell'autentica ascetica cristiana e della sua sempre attuale eredità sapienziale, alimentate dalle letture bibliche e dall'assidua frequentazione della tradizione patristica, monastica e liturgica della Chiesa ortodossa.
Il vangelo ci dice di amare Dio con tutto noi stessi, con la totalità delle energie di cui disponiamo, nel complesso delle facoltà che ci costituiscono. Una teologia dell'io come quella proposta in questo volume si spiega sulla base di questo approccio globale all'essere umano. Interiorità, eros, desiderio, emozioni, piacere e dolore sono solo alcune delle voci interpellate per dispiegarla. Come in uno stereogramma, il quadro che ne emerge offre poco per volta una straordinaria profondità prospettica: lo spirituale non è più qualcosa da aggiungere all'essere umano dall'esterno, come ci ha abituato a pensare il linguaggio di una certa teologia che per troppo tempo ha opposto anima a corpo, materiale a immateriale, natura a sovranatura. Spirituale è la dinamica che permette all'essere umano di aprirsi oltre se stesso. Forse è giunta l'ora che la teologia si riappropri dell'io, per un approccio più integrale della stessa spiritualità alla persona umana.
Johann Sebastian Bach trova nella tradizione luterana un'intelligenza teologica e spirituale che orienta in modo profondo il suo lavoro di musicista: accompagnare i fedeli dalla lettura delle Scritture all'ascolto della Parola rafforzando il legame tra ascoltare e credere e valorizzando l'udito rispetto alla vista, poiché Dio si è nascosto allo sguardo e si è sottratto allo "spettacolo" e all'artificio. Mentre la composizione di cantate, passioni e oratori faceva parte degli obblighi di Bach in quanto cantore della chiesa di San Tommaso a Lipsia, i mottetti - come Gesù, mia gioia (1723), analizzato nel volume - erano frutto di commissioni per occasioni specifiche, in particolare i servizi liturgici per i defunti (in questo caso per la sposa di un alto funzionario delle poste). La gioia alla quale il brano fa riferimento è segnata contemporaneamente dalla presenza e dall'assenza dell'amata, fenditura in cui si forma il desiderio mentre il cuore si angoscia e sospira. In questo spazio si genera un autentico combattimento spirituale, che cerca il faticoso equilibrio tra l'intelligenza e il cuore e che consente a Bach di superare la contrapposizione tra pietismo e ortodossia.
Il volume, internazionale, offre una rilettura del Concilio, da un punto di vista non convenzionale: sostiene infatti che un momento importante della sua recezione sia la "teologia delle donne" e la prospettiva di genere, che consente di distinguere fra differenza e discriminazione (Perroni, Quasi un prologo). L'originalità dello scritto consiste in primo luogo nel fatto di porsi in "contrappunto" con il fortunato Convegno internazionale "Teologhe rileggono il Vaticano II" (Roma 4-6 ottobre 2012), riprendendone alcuni temi e alcune istanze, come dai partecipanti e da molti lettori è stato richiesto, ma rilanciandole, ampliandone, integrandole con altri e più sistematici contributi, così che si ha in mano un nuovo volume e non degli "Atti". In secondo luogo non si tratta di una rivisitazione storica, magari lamentosa e nostalgica, ma di uno sguardo positivo e fattivo verso il futuro, in cui accanto alle questioni aperte si stagliano prospettive e potenzialità. I nomi internazionali - europei e statunitensi - accanto a quelli delle più significative teologhe italiane, sono garanzia di serietà e completezza.
In questo testo del 1915, Franz Brentano riassume il cuore del suo pensiero teologico, e articola una serrata riflessione sulla necessità - logica e ontologica - dell'esistenza di Dio. Figura tra le più influenti della psicologia e della filosofia ottocentesca, maestro di Edmund Husserl e Sigmund Freud, Brentano afferma come sia assolutamente necessario ammettere un principio intelligente per spiegare il corso naturale degli eventi mondani. Solo questo principio, infatti, è in grado di inquadrare in una prospettiva finalistica la molteplicità del reale, in modo che ogni singolo accadimento riceva un senso in connessione con la totalità del creato. Anche le moderne teorie scientifiche, dall'evoluzionismo all'entropia, si fondano per Brentano su una visione teleologica della natura, l'unica che rende possibile una lettura coerente dell'esistenza. L'unica, inoltre, in grado di giustificare i suoi aspetti negativi all'interno della più ampia bontà del progetto divino. Il testo è preceduto da una breve lettera indirizzata a un corrispondente anonimo, che Brentano esorta a non cedere alle tentazioni dell'agnosticismo dinanzi alle difficoltà, sempre superabili, di sviluppare una visione razionale della vita.
"La Divina Commedia" rappresenta da sempre un punto d'incontro sublime tra Fede e Poesia. Ma la fecondità della penna poetica di Dante, la sua capacità di disegnare un universo onirico potente dalle mille sfaccettature non si possono comprendere se non si leggono alla luce del Catechismo e della dottrina Cattolica. In questo viaggio attraverso le terzine dantesche, l'autore mette in evidenza la perfetta corrispondenza tra verità cristiana e rielaborazione poetica, mostrando come il tesoro del Magistero cattolico si ritrovi interamente nella "Divina Commedia". Quasi un Compendio del Catechismo in versi, si potrebbe definire: prima ancora che poeta, Dante si rivela uomo di fede profonda, consapevole che la ricerca appassionata e sincera di Dio trova pieno compimento solo nel seno materno della Chiesa Cattolica.
Un agile saggio su un tema che è al cuore sia dell'emergenza educativa che della nuova evangelizzazione: la mancanza di adulti all'altezza della loro essenziale vocazione generativa.