L'esperienza vissuta dalle comunità cristiane nel tempo della pandemia ha suscitato una serie di pensieri che travalicano i confini della stretta emergenza.
Uno specifico ambito di riflessione è quello riguardante la dimensione sacramentale della fede e, in particolare, la prassi penitenziale. Proprio la prassi "eccezionale" attuata in quel frangente da alcune diocesi italiane ha rappresentato una preziosa opportunità per sondare nuovi percorsi, riaprendo la riflessione e rilanciano il dibattito ecclesiale.
La "terza forma" della penitenza, quella che prevede una dimensione comunitaria nella celebrazione (senza confessione individuale), viene qui messa a fuoco da studiose e studiosi di diverse discipline. Quella forma celebrativa, da considerarsi fino ad oggi straordinaria, li provoca a riflettere sulla riconciliazione nel suo complesso.
I saggi pubblicati in questo volume - completati da una sezione a carattere documentale - offrono una pluralità di riletture e una ricchezza di prospettive teologico-pastorali sul tema, nell'intento di contribuire a un sapiente rinnovo dei riti e della sensibilità di fede che li innerva.
I contributi riprendono una serie di istanze sul sacramento della riconciliazione che, nonostante gli sforzi dei decenni della riforma conciliare, sono rimaste "in sospeso". E reclamano oggi con urgenza una riflessione che sia coraggiosa.
«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c'è stata al Giro d'Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l'esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l'attimo nel quale ti si svela l'evidenza di quell'apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un'evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita - quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli - si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori.
La speranza è la grande assente dalla cultura odierna. Essa infatti rimanda essenzialmente a ciò che non è in nostro potere, alla fede, come ricorda giustamente la lettera agli Ebrei. Nello stesso tempo non se ne può fare a meno perché è indispensabile per vivere. Il libro indaga il significato e le caratteristiche di questa "piccola fanciulla impertinente" (Péguy), piccola ma ostinata nel ricordare cosa davvero conti per vivere una vita piena, degna di essere vissuta.
Dubbi (sul proprio essere e divenire) richieste di speranza, domande si «salvezza» oggi più di ieri (pandemia e guerra ci stanno sul collo) fanno capolino. Il senso cristiano della salvezza pare dimenticato; i cristiani stessi sembrano non capirlo più. Ma cosa significa salvarsi, trovare salvezza, essere salvati? Solo libertà da sofferenze, morte, schiavitù, contraddizioni, dal male? Chiede salvezza anche la «natura» e il cormo intero, ce ne rendiamo conto? Com’è che la salvezza che la chiesa annuncia e celebra pare non convincere o essere inefficace (decisiva)? Gesù («il Signore salva») l’ha data e fatta fino all’estremo e senza contraddizioni. E ci ha costituiti (come chiesa, comunità, fraternità) per implementarla nelle storie e nella storia. Un’alba di Pasqua (risurrezione) che la chiesa non solo non sa più dire, ma esita a celebrare e anche testimoniare? Ascoltare, valutare e scoprire che cosa sta succedendo su queste radicali questioni, inquietudini e domande è lo scopo di questo fascicolo. Le speranze terapeutiche e autosoteriche eccitano narcisisti, ma straziano gli oppressi e le vittime: salvezze fai dai te che non riescono. Diverse dalla salvezza cristiana che è, si dà ed è reale se conforme a Cristo.
I testi qui raccolti, composti tra il 1930 e il 1944, sarebbero dovuti confluire in un volume, rimasto finora inedito, a cui l'autore lavorò fino a pochi mesi prima di morire. Attraverso sei meditazioni e sei commenti ai salmi, Romano Guardini avvicina le Scritture a partire dalle domande che sorgono dall'esperienza di vita dell'uomo contemporaneo. Gli scritti sono attraversati in filigrana da un interrogativo comune: come può l'uomo conoscere Dio e relazionarsi con Lui? Egli è inconoscibile, delicato come «il sussurro di una brezza leggera», disposto ad andare alla ricerca di chi si allontana; ci conosce fino al più intimo pensiero e traccia per noi una via misteriosa. Queste pagine sul Dio della vita, «scritte in anni di violenza, di guerra, di ingiustizia», sono «testimonianza di fede e invito alla fiducia». Parole di speranza che, allora come oggi, aiutano ad affrontare alla luce del messaggio cristiano le difficoltà della vita e le vicende tragiche della storia.
All'indomani del Concilio Vaticano II, ecco una presentazione del cristianesimo aggiornata che comunica con incisività tutti gli elementi fondanti per presentare la fede a credenti di altre religioni in vista di una condivisione efficace, sulla base dell'esperienza del Segretariato per i non cristiani come strumento. Attraverso tre focus - l'evento cristiano, la sapienza cristiana e la vita cristiana - vengono esplorati i temi fondamentali della fede. Il libro, che in questa nuova edizione ha una straordinaria attualità, ha avuto una diffusione enorme, in particolare in lingua inglese e francese, con più di venti traduzioni. Lo stile narrativo, la forte ispirazione biblica e la brevità lo rendono un testo fresco utile per una sintesi, per la formazione, per la comprensione della fede come speranza.
Le Lettere cristologiche di Atanasio, redatte tra 370 e 372, sono pietre miliari della storia della teologia. La Lettera a Massimo è un limpido sommario del pensiero atanasiano. L'unicità e lo scandalo dell'incarnazione e della croce assumono senso solo considerandone il fine: la salvezza. Solo Dio, non un altro uomo o una creatura, poteva salvare l'uomo, cioè divinizzarlo. E solo avendo un corpo umano, Cristo poteva offrirlo al Padre per tale fine. Con riferimento al culto, invece, la Lettera ad Adelfio afferma la distinzione e l'inscindibilità, in Cristo, di umanità e divinità. Infine, la Lettera a Epitteto, la più famosa delle tre, espone un catalogo di undici opinioni cristologiche dibattute e qui contestate da Atanasio, costituendo il punto più alto a cui si è spinta la sua cristologia. Testo originale a fronte.
Un'antropologia plasmata dal sapere delle scienze umane detta oggi la linea, in campo si accademico che politico. La teologia, collegandosi a quel discorso, può riscoprire l'istanza centrale che condivide con l'antropologia e che le è propria: ricordare agli uomini che cosa può significare essere in cammino verso una vita in pienezza. Questa è l’intuizione sviluppata da Jürgen Werbick: partendo dall'antropologia, egli interroga la teologia sistematica e la spinge a rileggere le sue dottrine, a rivederle se necessario, e a dare risposta a problematiche nuove. Allo stesso tempo, introduce criticamente nei discorsi antropologici le tradizioni di fede e le prospettive teologiche. Dunque Werbick non offre una antropologia in prospettiva teologica, ma una teologia in prospettiva antropologica: qui la teologia non dà anzitutto risposte, ma è l'istanza cui si avanzano richieste. La teologia sente che deve entrare nel dibattito antropologico, se poi esige che si presti attenzione alle cose che ha da dire. Il suo obiettivo deve essere quello di mostrare che può dare un suo contributo quando parla teologicamente di argomenti articolati antropologicamente.
Il mondo invoca costantemente la pace, che in questi tempi difficili sembra sempre più un miraggio. Ma il cristiano sa bene che la pace vera è dono di Cristo e che, per ottenerla, è necessario un cuore purificato e totalmente aperto all'amore salvifico del Figlio di Dio. Questo è l'insegnamento dei nostri padri nella fede: essi, infatti, non sono mai venuti meno alla loro fedeltà al signore, nemmeno durante le più violente persecuzioni. I Padri della Chiesa hanno esplorato in particolare la pace del cuore, cercandola e trovandola nella scrittura e nella tradizione della Chiesa. Questo libro propone di ripercorrere le loro orme, affinché possiamo anche noi cercare e infine trovare il riposo nel cuore dell'agnello immolato vincitore del Male.
Quando si tratta di pensare ad Abramo, sono come annichilito. In ogni momento mi accorgo di quel paradosso enorme che è il contenuto della vita di Abramo, in ogni momento vengo respinto indietro e il mio pensiero malgrado tutta la sua passione non può penetrarlo, non può giungere di un capello oltre. Tendo ogni muscolo per aguzzare la vista, istantaneamente divento paralitico. Nei suoi scritti Kierkegaard ritorna più volte sulla figura di Abramo. Il momento topico del sacrificio di Isacco attorno a cui ruota questo libro offerto al lettore italiano in una nuova traduzione basata sull'edizione critica danese, è per lui il respingimento della fidanzata Regine Olsen e, al tempo stesso, l'occasione per smontare la concezione hegeliana che confinava la fede a stadio primo e immediato della conoscenza umana. Con una serrata logica inferenziale che deve molto agli Stoici, Kierkegaard lavora ai confini della ragione, dunque al limite del paradosso, restituendo alla fede il suo statuto di passione eccedente.
"Sono un figlio di Sant'Agostino, agostiniano. Con voi sono cristiano e per voi vescovo", ha affermato Papa Leone XIV nel discorso pronunciato la sera dell'8 maggio 2025, dalla loggia della basilica vaticana in occasione della sua prima benedizione Urbi et Orbi a coronamento dell'elezione a 267° successore di Pietro citando una frase del grande filosofo e Dottore della Chiesa. Anche nell'omelia di intronizzazione di domenica 18 maggio il nuovo pontefice ha esposto più volte alcuni pensieri di sant'Agostino. Don Marcello Stanzione - sacerdote, autore, con oltre 200 libri pubblicati a carattere religioso e tradotti anche all'estero - presenta la vita di Santa Monica e quella del figlio Sant'Agostino. Conoscendo a fondo la vita di entrambi e il pensiero filosofico e teologico di Agostino si potrà comprendere meglio l'impostazione dottrinale e morale che regge il pontificato di Papa Leone XIV. Completano il libro le preghiere e le Novene ai due Santi.