A lungo subordinata alla morte quale cifra costitutiva dell'essere umano, la nascita si impone alla riflessione filosofica del Novecento e dell'età contemporanea come tema ineludibile. Per Hannah Arendt è l'inizio di un'avventura di libertà, per Martin Buber l'irruzione nel mondo di un Io radicalmente nuovo, unico e irripetibile, che si forma solo in relazione a un Tu. L'essere umano, ricorda María Zambrano, nasce incompleto e riceve in dono il tempo per portare a compimento ciò che in lui è soltanto abbozzato. Acconsentire alla vita, allora, è per Jean-Luc Marion rispondere a una chiamata che ci precede, a un dono di fiducia inestimabile. Ne risulta una "filosofia della nascita" nuova e, con rare eccezioni (quali Emil Cioran e Günther Anders), positiva. Il volume approfondisce il pensiero dei suoi maggiori esponenti e delle diverse correnti (fenomenologica, del pensiero dialogico, della differenza di genere...), in una «sinfonia con accenti e sfumature diversi», ma un punto fondamentale in comune: la nascita non è solo un evento passato, è una domanda di significato, che coinvolge in prima persona chi la pone e influenza l'orientamento di senso dell'intera esistenza.
Questo bel libro ci introduce ai Vangeli dell'infanzia nonché all'infanzia (all'adolescenza, e alla giovinezza) nei Vangeli; e insieme ci guida all'esplorazione e alla comprensione di una delle grandi periferie dell'esistenza, quella degli inizi della vita e della minore età. Il suo contributo aiuta a calare nell'oggi le pagine sapienziali del Vangelo. Gulotta e Marazzi riflettono la ricca esperienza di una Comunità ecclesiale come Sant'Egidio, che dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso si è fatta vicina al mondo dei bambini e degli adolescenti in difficoltà, partendo da Roma per giungere via via in tanti angoli del pianeta. Questa esperienza e questo vissuto rifluiscono evidentemente nel libro che si apre con i Vangeli dell'infanzia, quindi con Gesù da bambino, per muovere poi verso gli episodi evangelici che vedono come protagonisti o coprotagonisti bambini, adolescenti e giovani, ritraendo il modo in cui il Signore si rapporta ad essi, parla con loro, risponde al loro bisogno. Questo libro infonde coraggio, in una stagione di ripiegamento e di pessimismo. È qualcosa di prezioso mentre stiamo per entrare in un anno giubilare dedicato, appunto, alla speranza.
La Rivoluzione francese e la successiva epoca napoleonica rappresentano per la Chiesa cattolica uno di quei momenti di passaggio fondamentali, che il cardinale Consalvi chiamava «diluvi di Noè». E papa Pio VII, eletto il 14 marzo 1800, si trova a dover gestire le conseguenze degli eventi rivoluzionari, di cui il suo predecessore, Pio VI, era stato vittima in prima persona, privato del potere temporale e morto in esilio. Ripreso il controllo dello Stato Pontificio, Pio VII e i suoi collaboratori si mettono all'opera per riposizionare la Chiesa nel nuovo mondo uscito dalla Rivoluzione. Questa operazione passa inevitabilmente attraverso un accordo diplomatico coi governi, che siano le vecchie monarchie assolute o i nuovi regimi repubblicani, e strumento privilegiato per raggiungere lo scopo sono i concordati, dispositivo antico che ha conosciuto una rinnovata fortuna nella diplomazia pontificia contemporanea, sulla scia dei concordati di Pio VII, in particolare quelli con Napoleone. Se l'influenza di Bonaparte è evidente e innegabile, è all'interno della Curia che si elabora la linea politico-diplomatica della Santa Sede, e il primo decennio del pontificato Chiaramonti mostra tutte le difficoltà delle relazioni Chiesa-mondo all'alba del XIX secolo: ai successi della linea della conciliazione, propugnata da Consalvi e che porta ai concordati del 1801 con la Francia e del 1803 con la Repubblica Italiana, segue l'affermazione degli intransigenti dopo il 1805, con il naufragio delle trattative per un concordato con l'Impero germanico e poi con la Baviera e infine la rottura fra Pio VII e Napoleone, culminata con la prigionia del papa nel 1809.
Nel nostro tempo sono tornate in primo piano alcune domande ineludibili che la teoria economica, fin dalle sue origini, ha posto a fondamento della sua analisi: è 'naturale' che gli uomini si dividano in ricchi e poveri? Esiste un criterio razionale che possa giustificare questa divisione? Quali sono le conseguenze di una distribuzione ineguale delle risorse sulla società e sul suo benessere? Qual è il livello massimo di disuguaglianza che possiamo permetterci? Branko Milanovic, uno degli economisti più originali e innovativi del nostro tempo, immagina di porre queste domande a sei dei più influenti economisti della storia: François Quesnay, Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, Vilfredo Pareto e Simon Kuznets. Analizzando le loro opere e il loro tempo, Milanovic traccia l'evoluzione del pensiero sulla disuguaglianza, mostrando quanto le teorie siano variate a seconda delle epoche e delle società. In effetti, sostiene Milanovic, non possiamo parlare di 'disuguaglianza' come di un concetto astratto dal contesto: qualsiasi analisi è inestricabilmente legata a un tempo e a un luogo particolari. Così se durante la Guerra Fredda, all'apogeo del welfare state, gli studi sulla disuguaglianza erano passati in secondo piano, oggi, con il trionfo del capitalismo neoliberale, assistiamo a una loro rinascita.
Un poliziesco storico-politico ambientato nell'America degli anni Venti, nella Parigi di "Giustizia e Libertà" e nell'Italia del fascismo trionfante. Al mercato di Arthur Avenue, North Bronx, New York, ha un banco per la vendita di banane un cittadino USA originario della Sardegna, Michele Schirru, alto, spavaldo, capelli castano-chiari, lisci, ravviati all'indietro, la faccia lunga e irregolare, gli occhi celesti, la bocca che inclina al sorriso. Suoi nemici, i connazionali convertiti al fascismo. Nel 1930 - persuaso che il fascismo è Mussolini e che uccidendo il dittatore si abbatte la tirannia - Schirru parte per l'Italia. Ma una spia fascista a New York ne informa l'Ovra. Il suo capo, Arturo Bocchini, risponde al progetto di tirannicidio scatenando una gigantesca caccia all'uomo con vari colpi di scena e ampia mobilitazione di agenti segreti, spie, burocrazia consolare, poliziotti stranieri filo-fascisti, prostitute, apparati statali e ingenti quantità di denaro. La sorte dell'anarchico italo-americano è segnata. Arrestato quando forse aveva già rinunciato all'impresa, è condannato a morte dal Tribunale Speciale e la sua fine, il 29 maggio 1931, è una mostruosità umana e giuridica che fa comprendere quale fu l'essenza del fascismo.
«Capire la Divina Commedia è difficile. Della lingua in cui la scrisse, diventata la nostra soprattutto grazie a lui, Dante sperimentò tutte le possibilità espressive, comprese quelle che sembrano andare al di là dell'umano, sia verso il basso sia verso l'alto, e non è facile seguirlo in questo vertiginoso saliscendi. Poi ci sono i contenuti. Teologia e interpretazione dei testi sacri, filosofia, logica, morale, politica, diritto, letteratura e storia antica, scienza dei numeri e delle misure, musica, ottica, medicina, arte della guerra e della navigazione: non c'è aspetto della cultura antica e medievale di cui Dante non abbia appropriatamente detto qualcosa, nel suo enciclopedico poema. Infine, ci sono i personaggi che popolano l'oltremondo che il Poeta ha costruito. Tralasciando quelli appartenenti al mito o alla storia, e limitandoci a quelli che hanno popolato la cronaca dei tempi di Dante e di quelli di poco precedenti, l'unico motivo per cui continuiamo ad avere memoria dei nomi di Ciacco, Francesca da Rimini, Farinata degli Uberti o Ugolino della Gherardesca è dato dal fatto che i versi scritti da Dante li hanno resi figure immortali: se quei versi non fossero stati scritti, i loro nomi sonnecchierebbero in qualche documento d'archivio o in qualche cronaca medievale. Sì: capire la Commedia è veramente difficile. Per questo ho scelto i versi più significativi, curiosi o sorprendenti dei cento canti di cui si compone e li ho distribuiti in 114 presentazioni (per qualche canto ho avuto bisogno di qualche presentazione in più). Ho cercato di spiegare quei versi parola per parola, senza dare niente per scontato, collegando i fatti con gli antefatti. In questo modo, leggendoli canto dopo canto, farete lo stesso viaggio che ha fatto Dante: questo, almeno, è quello che spero.»
'Irredentismo' è una delle parole chiave delle moderne religioni della patria. Numerosi sono stati i movimenti di liberazione nel mondo che sono stati definiti in questo modo. Il termine però è nato in Italia, in riferimento alle terre dominate dagli Asburgo, fra cui quelle adriatiche, che sono state al centro di uno dei più duraturi e cruenti terreni di scontro. Lungo la frontiera orientale infatti gli irredentismi si sono succeduti nel corso di un secolo convulso: prima quello italiano fino alla Grande guerra, poi quello sloveno e quello croato durante il fascismo, poi ancora quello italiano dopo la Seconda guerra mondiale, per cercar di salvare Trieste e l'Istria. Gli irredentismi adriatici erano fieramente antagonisti, ma hanno condiviso spesso linguaggi e comportamenti. Questo libro ne segue per la prima volta l'intero, accidentato percorso, dove si intrecciano - nel richiamo a miti fondativi risorgimentali - sacrifici e soprusi, aneliti di libertà e politiche di potenza, storia e mito, in una regione collocata al centro di quella faglia di crisi che attraverso l'Europa orientale scende dal Baltico fino all'Adriatico, all'Egeo e al Mar Nero: una faglia i cui sussulti ancora ci allarmano.
«L'immaginazione collettiva ha relegato a lungo Giacomo Matteotti nel pantheon dei martiri antifascisti, esemplificati per appartenenza alle famiglie politiche, in modo da rendere visibile la dimensione unitaria della Resistenza, e con essa dell'identità repubblicana. Questa tradizionale rappresentazione ha lasciato in ombra quella del dirigente politico di grande spessore intellettuale, oltre che civile e morale.» (Dall'Introduzione). Contributi di Giampiero Buonomo, Stefano Caretti, Maurizio Degl'Innocenti, John Foot, Guido Melis, Michela Minesso, Gianfranco Pasquino, Paolo Passaniti, Antonio Pedone, Donato Romano, Pier Giorgio Zunino.
In un toccante libro-intervista uno spaccato della multiforme e spesso tragica realtà mediorientale. In questo intenso dialogo con il giornalista Roberto Cetera - inviato in Medio Oriente per l'Osservatore Romano - Padre Francesco Patton ripercorre gli anni del suo lungo mandato in Terra Santa come custode dei luoghi cristiani. Per i lettori che vogliono davvero conoscere quel che sta capitando alle popolazioni martoriate di Israele e Palestina, fra controversie sociali, conflitti e rivalità interreligiose, ma anche tanta passione e tanta speranza.
Spiritualità e teologia sono mondi mai del tutto separabili: ciò che li cementa e li unisce "indissolubilmente" è la fede cristiana. Spiritualità e teologia sono infatti dimensioni interiori del cristianesimo: meglio, sono la fede cristiana che mostra la potenza liberante della verità salvifica di Cristo secondo modi differenziati, manifestandola dentro registri comunicativi diversi, quello spirituale e quello teologico. Cosa è spiritualità, se non fede vissuta nella carità/agape? E la teologia? È la fede ("operante per mezzo della carità") portata a pensiero critico, ad espressione razionale.
Lo straniero fa parte di una trilogia Beati Paoli. La verità ha bisogno sempre di un colpevole che contrappone la realtà palermitana, tramite la storia dei Beati Paoli, con la società contemporanea. Andrea Provensano è lo straniero, un vip dei nostri tempi, giovane bello e ricco incarna la figura degli eroi medievali: è un giustiziere in ricerca della verità assoluta.