Apparecchio alla morte, un classico della spiritualità, non è un libro sulla fine, ma un manuale per vivere pienamente!
Tra i movimenti filosofico-religiosi che caratterizzarono la civiltà greco-latina dell'età imperiale, e quindi il Medioevo e il Rinascimento occidentali, una particolare attenzione ricevette un complesso di dottrine risalenti al II - III secolo d.C. e contenenti l'insegnamento di un sapiente egiziano, che aveva il nome di Ermete Trismegisto. Si trattava di una filosofia religiosa originata nell'Egitto del III-I secolo a.C, che conservava elementi della tradizione religiosa egiziana più antica, e ben presto tradotta in greco. Inizialmente non oggetto di particolare attenzione da parte della cultura pagana, invece questi testi anonimi furono accolti dal cristianesimo nella sua diffusione nel mondo antico: l'insegnamento di Ermete fu considerato come una conferma della rivelazione di Cristo, e successivamente, la rivelazione (segreta) di Ermete Trismegisto fu considerata non più una conferma, ma un antichissimo preannuncio di quella cristiana, dando origine ad una proliferazione di testi ermetici 'tecnici' (cioè magici, astrologici, alchemici etc.) e testi 'filosofici' che furono a lui attribuiti. È questa una storia dell'ermetismo come filosofia religiosa che fece parte a buon diritto della cultura occidentale almeno fino al sedicesimo secolo, allorquando cominciarono a sorgere alcune voci di scetticismo nei confronti della genuinità egiziana, che non spensero del tutto l'aura di esotica religiosità e l'ansia di riscoperta del mondo antico propri del Medio Evo e del Rinascimento.
La ricerca svolta da Luke Johnson mira a illustrare come la tradizione secolare della polemica cristiana antipagana, che relega nel demoniaco le pratiche religiose dei propri vicini, non sortisce altro effetto che mettere in ombra lo stato effettivo delle cose non solo nelle diverse religioni, ma nel cristianesimo stesso. In quest'ultimo i modi d'essere religiosi in passato e oggi sono nella sostanza i medesimi di quelli che s'incontrano nella prima «religione universale» con cui i cristiani entrarono in contatto ed ebbero a confrontarsi: il paganesimo dell'impero romano, con il quale condivisero sensibilità, usanze, istituzioni e anche linguaggio. Il secondo volume dell'opera - dedicato al secondo e terzo secolo - si chiude con ricchi indici (delle fonti, degli autori moderni e analitico).
In occasione del diciassettesimo centenario del Concilio di Nicea del 325, il volume esplora il Simbolo niceno e la sua eredità secondo due direzioni principali: la prima riguarda gli aspetti liturgici e catechetici del Simbolo nei commenti latini dei Padri della Chiesa tra IV e V secolo; la seconda è incentrata sulla ricezione moderna del Simbolo, con un'attenzione particolare nei confronti del ruolo svolto dai gesuiti nella diffusione del Credo e degli altri simboli di fede (apostolico tra tutti), nei secoli XVI-XIX, in alcuni contesti extra-europei in cui si svolse la catechesi missionaria dei gesuiti. La specificità di questo tema di ricerca e delle discipline coinvolte ha consentito di massimizzare i vantaggi della multidisciplinarietà, esibendo una profonda sinergia tra i diversi contributi offerti nel volume e consentendo di comprendere come la formula del Credo sia stata modellata in diversi contesti e di come, a sua volta, essa stessa abbia plasmato quei contesti.
Ambrogio (ca. 340-397) nasce a Treviri da una ricca famiglia senatoria cristiana. Si dedicò al diritto romano, fino a diventare consularis di una vasta regione con capitale Milano. Grazie alla sua fama di amministratore retto e giusto, nel 374 venne chiamato a ricoprire la carica di vescovo, nonostante non fosse ancora battezzato. Nel momento di massima crisi politica e religiosa dell'Impero romano, Ambrogio intuì che la Chiesa doveva svolgere alcuni compiti in funzione vicaria dello Stato, fornendo un modello di amministrazione che è giunto fino ai nostri giorni.
L'ascesi cristiana descritta attraverso gli apoftegmi dei Padri del deserto ha un'eco tale che non cessa di raggiungerci ancora oggi. Così, la Parola di Dio, attraverso la voce di questi santi anacoreti, ci illumina e ci colpisce inaspettatamente con una verità profonda e stringente. Detti e sentenze che sono scaturite dall'esperienza spirituale e umana della pratica ascetica dei santi padri del deserto, per confortare un'umanità sofferente.
Giovanni da Capestrano dedicò la sua esperienza religiosa al progetto di restaurare il "regimen christianorum" a partire dal ristretto territorio degli Abruzzi, che nel '400 era situato ai confini settentrionali del Regno di Napoli, fino ai confini più lontani dell'Europa centrale. Per realizzare tale progetto Giovanni da Capestrano pose al servizio della monarchia pontificia la sua incessante attività di predicatore e scrittore e soprattutto la sua straordinaria formazione giuridica frutto della frequentazione dello Studio perugino sotto la guida del maestro Pietro degli Ubaldi. (dall'introduzione di Andrea Bartocci)
Il libro raccoglie i contributi di Marco Bartoli, Roberto Lambertini, Luca Loschiavo, Jadranka Neralic, Letizia Pellegrini, Diego Guaglioni, Filippo Sedda e del curatore Andrea Bartocci presentati in occasione della Giornata internazionale di Studio tenutasi a Teramo il 17 Aprile 2013
Secondo Michel de Certeau, nel riportare alla luce il passato, la scrittura storica lo seppellisce: gli costruisce una tomba, "nel duplice senso che, attraverso lo stesso testo, onora ed elimina. Il linguaggio ha qui la funzione di introdurre nel dire quello che non si fa più".
Questa raccolta di dodici studi, comparsi nell'arco di quasi quarant'anni, vorrebbe a suo modo onorare figure e e storie lontane: leader carismatici, intellettuali brillanti, polemisti abili e coraggiosi che si sforzarono di creare un'identità originale e una legittimazione teorica per gli Spirituali visti come eredi autentici (figli legittimi) di Francesco. Non solo le polemiche sulla povertà volontaria e sul suo lessico, ma anche concezioni apocalittiche e profetiche, costruzioni storiografiche e agiografiche, traduzioni e riprese di antichi patrimoni ascetici e spirituali greco-orientali, tutto fu pensato in vista della creazione di un modo nuovo e autonomo di conservare e vivere intatto il messaggio di frate Francesco.
Vigilio è stato vescovo della città di Tapso, in Bizacena (nell'attuale Tunisia) verso la fine del V secolo, quando la regione era sotto la dominazione dei Vandali, di fede ariana. Il suo Contra Eutychetem è un'opera composta in difesa della cristologia stabilita nel concilio di Calcedonia. La presente monografia, basata sulla recente edizione critica del testo curata dallo stesso autore, propone un'attenta analisi della teologia di Vigilio: ne ricostruisce l'ambiente storico e letterario in cui essa è inserita e ne tratteggia le coordinate di base; quindi, affronta con completezza i temi propri del calcedonismo latino e si interroga su alcuni elementi di superamento di tale visione cristologica per una possibile apertura in chiave neocalcedonese. Il lavoro così condotto vuole aprire una via latina nello studio della cristologia postcalcedonese, mostrando come anche dopo Calcedonia l'Occidente cristiano sia stato in grado di produrre una significativa riflessione teologica.
La riscoperta di un tesoro teologico: il commento al al Cantico dei Cantici di Aponio. Aponio, vissuto nel V o nel VI secolo, fu autore di un commento al Cantico dei Cantici in 12 libri di cui si propone per la prima volta la traduzione in italiano. Seguendo la tradizione di Origene, Aponio presenta un'interpretazione cristologica del cantico cercando di comprendere come il rapporto tra cristo e la chiesa coinvolga ogni anima e si realizzi nella storia. Sebbene poco conosciuto, Aponio ha influenzato significativamente la teologia latina ispirando numerosi commenti medievali al Cantico dei Cantici e distinguendosi come l'unico autore del suo tempo a seguire la teologia origeniana.
Diadoco di Foticea, V secolo (451-486), appartiene all'era dei grandi padri greci della Chiesa del quinto secolo, fu vescovo di Foticea, nell'antico epiro della Grecia; partecipò al Concilio di Calcedonia nel 451 e probabilmente è morto a Cartagine. È conosciuto per aver traslitterato la filosofia dualistica di Platone nella nuova filosofia, quella cristiana appunto, mantenendo la stessa terminologia platonica. In questo volume, basato sulle opere di san Diadoco di Foticea, emergono i punti salienti di tutto il suo pensiero filosofico-psicologico e mistico-teologico, soprattutto della memoria dell'eros divino. Diadoco di Foticea, da filosofo convertito alla fede cristiana, ha armonizzato le diverse correnti filosofiche dell'antico mondo greco con la nuova filosofia cristiana che può riassumersi nella memoria dell'eros divino, iniziata con i primi padri e continuata con i padri dell'impero romano bizantino. Diadoco è considerato il padre dell'esicasmo e il ponte di comunione tra teologia orientale greca e occidentale latina e successivamente con quella slava. Il suo pensiero ha alimentato la spiritualità di tanti mistici orientali greci e slavi, come Giovanni Climaco, Massimo Il Confessore, Gregorio Palamas, il pellegrino russo ma anche occidentali come Santa Teresa D'Avila, Sant'Ignazio di Loyola ed altri. Prefazione di Pierbattista Pizzaballa.