Il libro racconta la vicenda di due sacerdoti che hanno scelto di sacrificare la vita per la salvezza dei loro parrocchiani e del loro paese. Siamo a Boves, piccolo centro del cuneese, nel 1943: don Giuseppe Bernardi è da cinque anni parroco del paese, don Mario Ghibaudo, giovanissimo, è il suo vice ed è a Boves da solo due mesi. In una fase particolarmente delicata della Seconda guerra mondiale, a Boves è in atto una difficile trattativa, in cui è coinvolto don Giuseppe, per liberare due soldati tedeschi. Nonostante l'esito positivo dell'iniziativa, il 19 settembre si verifica la rappresaglia da parte dei nazisti, la prima in Italia dopo l'8 settembre. E i due sacerdoti vengono trucidati. Il volume narra questa storia in modo semplice, partendo da quel giorno. In primo piano i due "don" di Boves, attorno la vita del paese, sullo sfondo le vicende storiche. È attualmente in corso il processo di beatificazione dei due sacerdoti, testimoni di libertà.
Nella storia universale del teatro un ruolo tutt'altro che marginale va riconosciuto alle pratiche sceniche messe in atto nel Centro e Sud America dai padri missionari nel corso della loro azione evangelizzatrice svolta nell'età coloniale. Ciò soprattutto in relazione alle dinamiche attuative rispondenti a necessità di persuasione e comunicazione. Gli stessi sincretismi, al di là delle valenze etno-antropologiche, vanno visti come apporti originali alla pratica teatrale, legittimamente riconducibili a princìpi fondamentali del fare teatro. È quanto i padri francescani (nella prima stagione della colonizzazione) e i gesuiti (successivamente) seppero mettere in atto con modalità diverse, ricorrendo anche alla partecipazione attiva degli indios, dei quali seppero valorizzare cultura e tradizioni, oltre che le doti artistiche, in particolare nel campo della musica e della danza. All'opera di questi uomini, rimasti in buona parte nell'anonimato, il volume rivolge quell'attenzione utile a meglio comprendere molteplici significati dell'arte scenica, in un contesto estraneo alla visione eurocentrica del teatro borghese.
"Alla fine del mese di ottobre 1915, lo sterminio dei cristiani di Mardin sembrava essere concluso. Tuttavia un centinaio di persone vivevano ancora: erano vecchi, donne anziane, infermi. Il turco Bedreddin fu preso da zelo: 'Spazzateli via, e che non ne rimanga nemmeno uno'. Con questi cento sopravvissuti fece un convoglio che, deportato nel deserto, sparì per sempre". Mardin è una delle tante città dell'impero ottomano dove, durante la prima guerra mondiale, si è consumata la strage degli armeni e dei cristiani. Una violenza che ha segnato in profondità quelle regioni e che non è cessata: sono passati cento anni e la persecuzione in Medio Oriente continua. Anche oggi, a pochi chilometri da Mardin, oltre la frontiera turca, in Siria e in Iraq, si combatte con una crudeltà senza misura. Di nuovo, come allora, si assiste a deportazioni, massacri, sgozzamenti, rapimenti, vendita di donne e di bambini. Molti si chiedono: da dove viene tanta ferocia? Dal profondo di una religione, l'islam, o da una storia di convivenza difficile? Oggi, come ieri, si consuma una pagina della 'morte' dei cristiani d'Oriente.
Sorta nella prima metà del XVI secolo per iniziativa di Ignazio di Loyola, la Compagnia di Gesù ha esercitato sul cammino della storia e sullo sviluppo della cultura una notevolissima influenza, e ancora oggi costituisce uno dei più importanti e potenti ordini religiosi della Chiesa cattolica. Ispirati agli ideali della Controriforma, i gesuiti giocarono un ruolo rilevante nelle secolari controversie teologiche; si impegnarono attivamente, spesso segretamente, nella vita politica; crearono un vasto e influente complesso di istituzioni educative e parteciparono al dibattito artistico, letterario e scientifico. Attingendo a numerosissime fonti, che vanno dai libelli pieni d'astio e calunnie alle apologie e ai racconti "magnifici", Fulöp-Miller entra tanto nei salotti della buona società di Parigi quanto negli osservatori di grandi astronomi, viaggiando dalle foreste vergini del Sud America fino alle fastose corti cinesi, per restituirci una vasta e documentata ricostruzione delle vicende di un ordine che fu indiscusso protagonista della storia non solo religiosa, e che suscitò con la sua opera grandiosi amori e feroci ostilità di cui ancora oggi non si è spenta l'eco.
Un rapporto di alta spiritualità fondato su una totale identità di vedute e sulla comunione ecclesiale, pur nella lontananza e nella persecuzione: questa fu la profonda amicizia tra San Giovanni Crisostomo e la diaconessa Olimpia nella Costantinopoli del IV secolo, caratterizzata da forti ferventi politici e da deleterie connivenze tra il potere imperiale e quello ecclesiastico. L'amore a Cristo e alla Chiesa li unì nel comune impegno e rese loro possibile combattere con coraggio la buona battaglia, accettandone le conseguenze con santa rassegnazione. Questo volume, dedicato alle Lettere a Olimpia, mette in luce le sfumature di una sincera e calda amicizia tra due personaggi della Chiesa delle origini, che la lontananza dell'esilio ha rafforzato e svelato nella sua salda base spirituale.
Il magistero di un grande papa che ha saputo difendere il magistero rinnovandolo. Il centenario della morte di San Pio X può essere considerato come un'importante occasione per reinterpretare il ministero pastorale di Papa Sarto, finalizzato a riaffermare il dato tradizionale della fede contro la tempesta modernista e a riformare gli ambiti pastorali ormai inadeguati per i tempi. L'operato di questo grande papa va dunque inquadrato alla luce del programma di riforma nella continuità previsto dal Concilio Vaticano II.
L'universo dei legami d'amore appare oggi frammentato e sotto pressione. Alcuni rivendicano un accesso al matrimonio fin qui negato, altri aspirano a un'istituzione meno rigida, dimenticando che la secolarizzazione ha ereditato il matrimonio dal concilio di Trento, con tutti i limiti e le contraddizioni che esso aveva: un matrimonio-contratto ordinato a fini che prescindevano dall'amore. È possibile pensare il matrimonio fuori da questa logica, assumendo le fragilità dell'amore e della vita? La storia e l'esperienza cristiana che ruolo vi giocano?
A i suoi esordi, il XIX secolo appare dominato da un generale spirito di restaurazione. Si ritiene esigenza ecclesiale irrinunciabile il rifiuto dei princìpi della Rivoluzione francese, sovvertitori dell'ordine, si impone l'indiscussa fedeltà alle cose di sempre, si condanna ogni indicazione di novità nel pensiero e nel costume.
A partire da questo contesto iniziale, l'esperienza spirituale cristiana ottocentesca risulta caratterizzata da una lunga carrellata di volti e di personaggi - laici, religiosi e preti - che esprimono la loro forte tensione alla santità in modi diversi. Per alcuni la strada da percorrere consiste nel compimento esatto e costante del proprio dovere quotidiano; per altri, nello sforzo ascetico finalizzato ad acquisire e vivere le virtù; per altri ancora nell'obbedienza meticolosa alle norme canoniche vigenti, anche se immotivate e poco comprensibili, o nella scrupolosa fedeltà a particolari esercizi di pietà. Solo lentamente e con fatica riesce a farsi strada in questo contesto una spiritualità più chiaramente evangelica, che risospinge il vissuto caritativo quotidiano dall'ascesi metodica all'incontro con Cristo.
Il 16 ottobre 1978 fu eletto Giovanni Paolo II. Per la prima volta dopo 455 anni, a guidare la Chiesa cattolica non era un italiano. Rilevante per la storia del cristianesimo, il fatto assumeva valenze geopolitiche per l'origine del nuovo papa: Karol Wojtyla veniva infatti dalla Polonia, fulcro dell'impero sovietico in Europa orientale. In un contesto internazionale caratterizzato dal riacutizzarsi della guerra fredda, l'elezione del papa polacco impresse una svolta decisiva ai rapporti tra i blocchi e il suo paese divenne il crocevia di uno dei cambiamenti più vasti e radicali della storia del Novecento: la fine del comunismo. Dall'elezione di Giovanni Paolo II alla nascita di Solidarnosc, fino alla Tavola rotonda e alle elezioni del 1989, il cui risultato sorprendente diede vita al primo governo non comunista in Europa dell'Est, l'autore ricostruisce i passaggi decisivi di un decennio di storia grazie a una documentazione largamente inedita, frutto di ricerche negli archivi polacchi e di numerose interviste ai protagonisti di quegli anni. "Una rivoluzione senza sangue rappresenta davvero una conclusione positiva per un Novecento tanto insanguinato dalle sue guerre e rivoluzioni. [...] La storia è piena di sorprese - osservava papa Wojtyla. Tra queste non va dimenticata la 'capitolazione docile' dell'URSS all'evoluzione polacca, impensabile fino a poco prima..." (Dalla prefazione di Andrea Riccardi)
Di Leopoldina Naudet (Firenze 1773 - Verona 1834), fondatrice delle Sorelle della Sacra Famiglia, poco sappiamo degli anni precedenti la sua venuta a Verona. Per questo motivo, la pubblicazione di alcune sue Conferenze, tenute alle Dilette tra il 1800 e il 1806, risultano particolarmente significative, perché offrono indicazioni preziose in un periodo delicato per la comunità religiosa che si stava definendo. Le Conferenze, qui edite per la prima volta, mettono in evidenza una Naudet amabile e sensibile oratrice, che svolge un importante ruolo di direzione spirituale per esortare, correggere e animare le sorelle della comunità, facendole camminare nelle vie della virtù. Nelle parole di Leopoldina confluiscono la spiritualità carmelitana di Teresa d'Avila, che educa nella disciplina dell'orazione, la teologia della soavità, espressa da Francesco di Sales e da Giovanna Francesca de Chantal, che conduce per le vie della carità accogliente, la corrente francescana, che indirizza verso la sequela Christi all'insegna della semplicità e il modello ignaziano, che apre le porte dell'apostolato. Ma in queste Conferenze emergono anche elementi nuovi che anticipano le delicate caratteristiche della spiritualità delle Sorelle della Sacra Famiglia, che sono chiamate a seguire con semplicità Gesù, maestro misericordioso di umiltà e di pazienza, vivendo nella trasparenza di vita che, sostenuta dalla preghiera e dall'amore dei gesti quotidiani, si oppone all'ambiguità delle parole, all'ipocrisia...
Il volume va alla ricerca dell'origine della spiritualità chiaravallense, che ha lasciato un'impronta profonda e incancellabile nella vita della Chiesa, nella sua sensibilità e nei suoi gusti, nelle sue lettere e nella sua arte. Al principio troviamo la Sacra Scrittura, che offre a Bernardo di Clairvaux i principi e le risorse del suo pensiero, della sua predicazione e, prim'ancora, della sua esperienza. E, infatti, la dottrina dell'"ultimo dei Padri", proviene dall'intimo e inesausto contatto personale con la Parola di Dio, ritrovata nel corso e ricorso della Liturgia. Egli è "Dottore mellifluo", poiché dalla "spremitura" di tale Parola si distilla e fluisce il sapere del quale viene alimentata senza sosta la Chiesa. Non mancano certo in lui la considerazione e la stima dell'aspetto intellettivo del mistero di Cristo, a cui è ininterrottamente volto il suo sguardo appassionato; ma egli mira a comprendere per amare, a illuminare per ardere, preoccupato a che la "filosofia" e la dialettica incontinente non stemperino il mistero e quindi disciolgano la cristologia. Ed esattamente nei confini della cristologia egli trova l'antropologia, in intima connessione e implicazione. La sua teologia la sua immagine di Dio - sale e si dispiega nella realtà della vita, della morte e della risurrezione di Cristo, il quale può essere definito l'epifania di Dio e la parabola dell'uomo.
Il caso Louis Duchesne è uno spaccato sulla storia della censura e sul nascere del cosiddetto "modernismo". Nato in Bretagna nel 1843, Duchesne intraprese una folgorante carriera scientifica tra l'Institut catholique di Parigi e l'École française di Roma, conclusasi bruscamente trent'anni dopo con la messa all'Indice della sua opera maggiore - una monumentale, tripartita Histoire ancienne de l'Église. Seguì l'immediata sottomissione al silenzio del suo autore, protrattasi fino alla morte avvenuta nel 1922. Per quale motivo Duchesne rischiò fin dai suoi esordi la messa all'Indice? Come lavorò e come riuscì a intrecciare vocazione sacerdotale e interessi di studio? Quale fu la sua attitudine fondamentale verso la religione e la ricerca storica? Vengono qui presentate la storia di un quarantennio che separa una condanna mancata da una vera, la Protesta scritta da Duchesne e mai inoltrata - riportata in Appendice - e la cronologia della vita e delle opere, tanto più certa quanto meno lo sono le ragioni profonde che la mossero. Una testimonianza della complessa genesi dell'approccio storico, critico, filologico alla materia religiosa, che si riflette sulla stessa storia del cristianesimo.