
Negli ultimi venticinque anni, l'Afghanistan è stato teatro di operazioni segrete e azioni d'intelligence che hanno scosso in modo insanabile gli equilibri dello scacchiere internazionale. Un "Grande Gioco" che, a partire dall'invasione sovietica del 1979, ha avuto tra i suoi maggiori protagonisti la CIA, il Kgb, L'ISI del Pakistan e i servizi segreti dell'Arabia Saudita e ha favorito la creazione sul territorio afghano dell'embrione di Al Qaeda, dando in seguito a Osama Bin Laden la possibilità di allargare la propria organizzazione e di progettare l'offensiva terroristica culminata l'11 settembre 2001. Basata su numerosi documenti inediti, la ricerca di Coll svela tutti i retroscena del ruolo segreto svolto dalla CIA in Afghanistan: il suo programma nascosto rivolto contro le truppe sovietiche dal 1979 al 1989, l'ascesa dei Talebani con l'apparizione improvvisa di Bin Laden, gli sforzi per catturarlo e ucciderlo dopo il 1998.
Un unico modello, il Santo Sepolcro, cuore dell'ecumene cristiana, moltiplicato in centinaia di repliche diverse le une dalle altre, sparse in Europa, nei paesi mediterranei, in Africa. Un caleidoscopio di forme, di strutture, di spazi costruiti per riti e celebrazioni che vengono ripetuti inalterati nell'impostazione a rinnovare un solo mistero, eppure sono variati nel tempo secondo le trasformazioni della Chiesa e delle chiese. L'exemplum di Gerusalemme e i simulacra costruiti nel mondo tra l'età tardoantica e i primi secoli dopo il Mille sono legati da rapporti che non sono solo devozionali, ma formano un fitto tessuto di relazioni culturali, figurative, ecclesiali, politiche. Vi si intrecciano immagini del cosmo, proiezioni ideali, forme del disegno, committenze di vescovi, ordini religiosi e ordini militari, esperienze di pellegrinaggio, memorie e celebrazioni di spedizioni armate. Lo stesso prototipo è cambiato nel tempo, edificato, distrutto e ricostruito più volte. Sono mutate le percezioni che ne hanno riportato i pellegrini e sono variate le sue copie, in un processo plurimo scandito da eventi singoli, rielaborazioni locali e percorsi artistici di lungo periodo. Buona parte della società medievale finisce, così, per riflettersi nella relazione profonda tra la tomba vuota di Cristo e le sue innumerevoli riproduzioni, che sono per noi oggi altrettanti specchi, talvolta deformati e frammentati, di un mondo straordinariamente ricco di scambi e di contaminazioni.
Quelle di Gramsci e di Moro sono due storie diverse: un comunista e un cristiano; un rivoluzionario sconfitto e un democratico che guida il partito al governo da trent’anni; due tempi diversi; due mondi diversi. Ma analogie e comparazioni possono aiutarci a vedere cose nuove, rivelano connessioni nascoste. La luce proiettata su una storia si riflette sull’altra, le due esperienze si illuminano a vicenda. Questo saggio di storia comparata le racconta entrambe, come due vite parallele. Dei due prigionieri offre un ritratto, un’analisi del contesto storico e un’interpretazione dei testi che scrissero nel carcere: Quaderni e lettere di Gramsci, Memoriale e lettere di Moro.
Sollecitati dalle questioni fatte filtrare abilmente da compagni di partito e dai familiari o nel dialogo drammatico con i carcerieri-inquisitori, i due prigionieri scrivono lettere, appunti e "memoriali" in cui cercano di interpretare e risolvere la situazione tragica che si è creata. Così, nelle dure condizioni di prigionia, prosegue la loro riflessione sulle crisi del Novecento italiano – il fascismo, la rivoluzione, il comunismo, la democrazia. E diventa, per certi versi, addirittura più acuta.
GLI AUTORI
MASSIMO MASTROGREGORI (Roma, 1962) insegna Storia contemporanea all'Università di Roma "La Sapienza". Dirige la rivista internazionale «Storiografia» (Fabrizio Serra editore, Roma-Pisa) e la «International bibliography of historical sciences» (K.G. Saur, München). Ha pubblicato numerosi volumi e saggi sulla storia culturale del Novecento. Tra questi: Il genio dello storico (1987), Il manoscritto interrotto di Marc Bloch (1996), Introduzione a Marc Bloch (2001). Ha curato l'edizione critica di scritti di Benedetto Croce (Il carattere della filosofia moderna, 1990) e numerosi lavori sulla storiografia e la memoria, tra cui Il potere dei ricordi (1998).
"Nella sua densa brevità, nella secchezza dello stile e nell'avara concisione dei richiami bibliografici, il libro di Augusto Forti è un contributo che non può passare sotto silenzio. [...] Offre una chiave interpretativa delle origini dello spirito europeo che apre nuovi orizzonti, facendo riflettere sui due blocchi che hanno impedito alla società greco-romana di sviluppare il sistema tecnico e la produzione di beni su vasta scala: un blocco mentale e un blocco sociale. È un testo che integra le spiegazioni correnti del capitalismo. La chiave esplicativa su cui poggia è in generale trascurata dagli studiosi del fenomeno ed è quindi un suo indiscutibile merito l'averla richiamata e persuasivamente illustrata." (F. Ferrarotti).
Trieste e il confine orientale sono stati spesso rappresentati nell'immaginario collettivo come una città e un'area caratterizzate da violenze, vittime, estremismi. Del fecondo tessuto sociale e culturale ora viene messa in luce la capacità, triestina e giuliana, di avere prodotto una altissima cultura civile fondata sui valori della tolleranza, della convivenza e dell'integrazione.
Aule universitarie e sale consiliari accolgono nei loro scranni spesso i medesimi personaggi, soggetti intrisi di scienza e di politica che, particolarmente nella trancia cronologica all'interno della quale si snoda il volume XVIII e XIX secolo recitano da protagonisti sul variegato palcoscenico cittadino. E sono i componenti del ceto professionale, soprattutto, a rubare la scena alla "primadonna" per eccellenza e per tradizione, quella classe aristocratica che, tuttavia, resterà ancora a lungo salda al potere, forte del censo più che del titolo.
Il presente studio indaga la funzione cosmologica e cosmogonica che la prassi ritualistica divinatoria ebbe nel mondo Romano. Oltrepassato il livello dello scetticismo pregiudiziale, il materiale disponibile è stato considerato, alla luce della comparazione, nel suo svolgimento storico-culturale, al fine di rilevare gli elementi di continuità e di cambiamento prodottisi all'interno del sistema di divinazione di Roma antica, nel corso di quasi mille anni di storia. Ricostruire il significato religioso e civico della prassi ritualistica del sacra facere significa comprendere uno dei meccanismi essenziali di regolazione del sistema politeistico romano, del suo continuo ristrutturarsi nella storia, del suo rispondere alle sollecitazioni politico-religiose provenienti dall'esterno, senza rinunziare ai valori del mos maiorum.
Mauthausen è una piccola località austriaca sul Danubio a pochi chilometri da Linz dove nel 1938, subito dopo l'annessione dell'Austria alla Germania, fu istituito un lager per oppositori ed ebrei. Il luogo fu scelto con l'obiettivo di sfruttare, con il lavoro forzato degli internati, delle cave di granito. Dall'8 agosto 1938 al 5 maggio 1945 negli oltre sei anni di attività del campo passarono per Mauthausen e i sottocampi a esso collegati duecentomila deportati; di questi circa 120 mila, il sessanta per cento, vi trovarono la morte. Seguire la storia di questo lager equivale a ripercorrere la vicenda stessa del terribile apparato concentrazionario messo in opera dai nazisti: luogo di oppressione, sfruttamento ed eliminazione, Mauthausen fu il calvario di antifascisti, partigiani, ebrei, prigionieri di guerra catturati ai quattro angoli dell'Europa. Mayda racconta l'intera vicenda di Mauthausen, come e perché fu costruito, chi vi fu rinchiuso, come si viveva e come si moriva: una narrazione che riporta davanti agli occhi del lettore una storia che non si conosce mai abbastanza.
Gli Stati Uniti hanno legato la propria esistenza a una vocazione imperialista fondata su un progetto di espansione considerato essenziale da un punto di vista strategico ed economico, giustificato con la missione di ampliare l'area della "libertà". Del Pero distingue tre fasi storiche: la costruzione di un Impero continentale, il consolidamento di un Impero tra gli imperi, l'affermazione di un impero globale. Il periodo fino alla Guerra civile e caratterizzato da una visione che mira a realizzare un unico Stato, dalla costa atlantica a quella pacifica, e sacrifica le comunità indiane assimilando i nuovi territori conquistati a ovest. In seguito gli Usa vivono un momento imperiale, che culmina nella guerra con la Spagna e l'acquisizione delle Filippine. Il fallimento del progetto wilsoniano e l'interludio isolazionista della seconda metà degli anni Trenta lascia poi spazio all'ascesa degli Stati Uniti a leader mondiale. Nel secondo dopoguerra gli Usa combinano elementi tradizionali della politica di potenza e forme nuove d'influenza economica, politica e culturale, riuscendo così a rispondere alla sfida dell'altro universalismo del XX secolo: quello dell'Urss comunista. L'espansionismo statunitense e le forme imperiali cui ha dato vita si sono sempre legate all'idea di libertà raggiunta all'interno dei confini americani, e alla volontà di esportarla per riuscire a difendere più efficacemente l'american way of life.
Dai 9 maggio 1978, il giorno nel quale in via Caetani, a Roma, venne ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, sono passati trent'anni. Trent'anni di omissioni e reticenze, di ricostruzioni da fantapolitica e di declinazioni di responsabilità. Marco Clementi ha ricostruito quello che è stato il punto di non ritorno della vita politica e sociale dell'Italia contemporanea, il suo trauma irrisolto, e l'ha fatto scegliendo dì dare la parola ai documenti. Alle lettere di Moro, quindi, ma anche al suo memoriale, ai comunicati delle Br, ai giornali, alle memorie dei politici e dei brigatisti, agli esiti delle commissioni di inchiesta parlamentari e dei processi. Un frammento dopo l'altro, l'autore ricompone il quadro al contempo tragico e contrastato degli anni più bui del nostro paese.
Il genere "paesaggio" è sostanzialmente estraneo alla cultura figurativa greca e romana. I paesaggi raffigurati sulle pareti delle case romane sono paesaggi tipizzati, con un continuo ripetersi degli stessi motivi, e con una noncuranza per un qualsivoglia sistema prospettico costruito secondo una logica matematica unitaria. Ogni pittura è composta da oggetti che vivono più o meno isolatamente dagli altri in uno spazio continuamente negato come elemento unificante. Era diffusa, invece, la pittura cartografica che voleva la mano di veri pittori di paesaggi, detti "topographoi", i quali, pur adottando le medesime tecniche e formulazioni prospettiche della grande pittura di fantasia, producevano vere e proprie carte "corografiche", come la Città dipinta dal Colle Oppio o la Zuffa tra Pompeiani e Nucerini presso l'anfiteatro da Pompei, simili per molti versi a quelle moderne prodotte lungo la Galleria delle Carte Geografiche nei Palazzi Vaticani.

