
Riproposto, a vent'anni dalla scomparsa di Sogno, con una nuova introduzione di Aldo Cazzullo, Testamento di un anticomunista è un libro fondamentale per capire un ampio capitolo del nostro recente passato («Finalmente un mistero italiano risolto» ebbe a dire Michele Serra), ma anche la figura di un uomo che ha attraversato le vicende della nazione.
«Credo sia arrivato il momento di non tacere più nulla. Iniziando l'organizzazione militare per lo strappo al vertice sul modello gollista, io non avevo dubbi di compiere un atto dovuto.»
È il 1998 quando Edgardo Sogno chiede ad Aldo Cazzullo di collaborare alla stesura delle sue memorie. Nasce così questo libro, nel quale rivivono le tradizioni di una famiglia risorgimentale, la Torino fascista e quella antifascista, la guerra di Spagna, la Resistenza. Ma soprattutto il progetto di quel "golpe bianco" che, negli anni Settanta, avrebbe dovuto fare dell'Italia una Repubblica presidenziale. Testamento di un anticomunista, riproposto, a vent'anni dalla scomparsa di Sogno, con una nuova introduzione di Aldo Cazzullo, è un libro fondamentale per capire un ampio capitolo del nostro recente passato («Finalmente un mistero italiano risolto» ebbe a dire Michele Serra), ma anche la figura di un uomo che ha attraversato le vicende della nazione.
Riproducendo i materiali che avevano segnato ascesa e caduta del regime, De Felice ha inteso fornire la visione diretta di una traiettoria storica: in altri termini il fascismo non è sempre stato la stessa cosa e nell'arco dei suoi vent'anni - dai fasci di combattimento alla presa del potere, dalla costruzione del regime alla guerra, fino all'esperienza della Repubblica Sociale - ha cambiato più volte la propria fisionomia e, con essa, il suo rapporto con gli italiani. Non esiste cioè "il fascismo", ma uno sviluppo storico del fascismo. Da questa raccolta di documenti emerge un fascismo che parla mediante le sue voci, un realtà storica molto diversa dal monolite che si tende a descrivere, caratterizzata da diversità e multiformità.
Una delle piú elevate riflessioni sull'affermarsi dei movimenti di massa, sulle classi dirigenti italiane e sulla possibilità della democrazia in Italia.
L'edizione piú ampia e documentata delle «lezioni sul fascismo» che Palmiro Togliatti tenne a Mosca nel 1935.
Il "Corso sugli avversari" è un ciclo di conferenze tenuto da Togliatti a Mosca tra il gennaio e l'aprile 1935, presso una scuola quadri della Terza Internazionale, rivolto soprattutto a giovani comunisti italiani.
Dopo la vittoria nazionalsocialista in Germania, che apriva nuove tensioni nel già fragile equilibrio europeo, e dinanzi alla minaccia di un'ulteriore espansione dei fascismi, il Corso di Togliatti riflette sulle origini italiane del movimento fascista, la crisi liberale, il rapporto tra fascismo e storia d'Italia. In particolare le lezioni si soffermano sull'edificazione del regime mussoliniano in relazione agli sviluppi della società di massa e, allo stesso tempo, sulle opportunità di lotta che, non solo in Italia, si aprivano sulla base delle prospettive antifasciste unitarie che stavano maturando in Europa e che anche l'Internazionale stava facendo proprie.
Questa edizione, la piú completa in base alla documentazione disponibile, comprende anche due lezioni rinvenute negli anni Novanta ed è corredata da apparati di note, da quanto reperito del materiale didattico predisposto dallo stesso Togliatti per il Corso e da un saggio storico-critico del curatore.
L'8 ottobre 1931 Mussolini impone ai professori universitari il giuramento di fedeltà al fascismo. Su un migliaio di ordinari soltanto dodici si rifiutano di piegarsi al duce, perdendo la cattedra e, subendo, nell'Italia massicciamente sottomessa al regime, un raggelante isolamento. Dodici uomini, differenti per origine, carattere, modi di pensare, attitudini sociali; in quell'autunno del 1931 impartiscono la piú magistrale delle lezioni insegnando che dire no è una scelta dovuta prima di tutto a se stessi.
Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco ed Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra - questi i nomi di coloro che compiono un gesto essenziale in nome di quegli «ideali di libertà, dignità e coerenza interiore» nei quali erano cresciuti.
Preferirei di no è un libro che, con rigore e affetto, ripercorre il tragitto di questi isolati viaggiatori che scelsero la terra del no e attraverso l'intreccio delle loro vite riscopre mondi di umanità e semplicità che sanno ancora oggi parlare con forza e efficacia.
Il 29 aprile 1945, partigiani e popolo di Milano si danno appuntamento in piazzale Loreto per celebrare la morte del duce. Appeso per i piedi, il cadavere di Mussolini appare un simbolo della Resistenza vittoriosa. Ma quel corpo straziato incarna anche l'orrore della guerra civile: racconta una storia diffìcilmente proponibile come mito di fondazione dell'Italia nuova. Quanto i milanesi di piazzale Loreto somigliano ai romani di piazza Venezia, quanto l'Italia del crucifìge all'Italia dell'osanna? Ricostruendo la vita d'oltretomba di Mussolini, Luzzatto propone un'interpretazione originale della cultura politica repubblicana, divisa tra intransigenza e indulgenza, radicalismo e trasformismo, dovere della memoria e arte dell'oblio. Pubblicato nel 1998 e tradotto in varie lingue, questo libro è divenuto un piccolo classico della storiografia contemporanea.
Presentato da Primo Levi, il documento che per la prima volta ha illuminato dall'interno la mentalità e la psicologia dei nazisti, e la storia e il funzionamento delle officine della morte. Rudolf Hoss, ufficiale delle SS, fu per due anni il comandante del più grande campo di sterminio nazista, quello di Auschwitz, in cui vennero uccisi più di due milioni di ebrei. Processato da un tibunale polacco alla fine della guerra, venne condannato a morte. In carcere, in attesa dell'esecuzione, scrisse questa autobiografia. Si tratta di un documento impressionante che ci consente di cogliere dal vivo l'insanabile contraddizione tra l'enormità dei delitti e le giustificazioni addotte.
«Vittima com'è di una disperata follia di annientamento e di distruzione, Antigone non ama nessuno, così come non ama sé stessa: il suo solo e vero amore è la morte». In una rilettura controcorrente della più celebre figura tragica della classicità, Eva Cantarella smonta pezzo per pezzo le basi su cui si fonda il mito di Antigone. Per la sua determinazione a dare sepoltura al fratello Polinice, violando la legge cittadina per obbedire a una legge non scritta, Antigone ha rappresentato nei secoli il modello insuperato di chi si oppone a un regime tirannico, di chi reagisce di fronte ai diritti calpestati e negati, di ogni donna in lotta contro il potere maschile. Ma questa figura che sembra racchiudere in sé ogni virtù non corrisponde al personaggio cui Sofocle ha dedicato l'omonima tragedia oltre 2500 anni fa. Ed è esplorando la distanza tra mito e personaggio che Eva Cantarella mette in luce lati sorprendentemente negativi dell'eroina da tutti osannata e arriva a contestare il ruolo di despota attribuito a Creonte, protagonista di una drammatica vicenda umana e politica che lo rende una figura non meno interessante e non meno tragica. Proprio come in un'orazione, portando prove a sostegno della propria tesi e confutando gli argomenti di potenziali avversari, la più grande studiosa italiana di diritto greco traccia un profilo di Antigone spiazzante e inevitabilmente divisivo.
Le decapitazioni dei prigionieri. La pulizia etnico-religiosa nelle zone occupate dell'Iraq. La proclamazione di un Califfato. Queste sono le cose che i media hanno cominciato a raccontarci nell'estate 2014 sull'Isis, i pochi frammenti di un mosaico nuovo e terribile, a cui il mondo non era pronto. Queste milizie hanno conquistato un territorio più vasto del Texas nel cuore del Medio Oriente, hanno dissolto i confini dettati dal colonialismo occidentale un secolo fa, hanno costretto gli Usa a tornare a bombardare l'Iraq. Ma chi sono, da dove vengono, come hanno fatto a diventare così potenti, e fin dove possono arrivare? In questo libro Loretta Napoleoni, uno dei massimi esperti di terrorismo internazionale, offre al grande pubblico il ritratto dell'Isis, il cui stesso nome è mutato molte volte, a seconda delle diverse condizioni sul campo e nel sistema mediatico. Perché, scrive Napoleoni, "quel che distingue questa organizzazione da ogni altro gruppo armato che l'ha preceduta e quel che ne spiega l'enorme successo sono la sua modernità e il suo pragmatismo". Questa nuova minaccia punta a un ambiziosissimo obiettivo: far nascere dalle ceneri dei conflitti mediorientali non un gruppo terroristico, ma un vero e proprio stato, con un suo territorio, una sua economia e un'enorme forza di attrazione per i musulmani fondamentalisti di tutto il mondo.
Questo libro di Eva Cantarella, completamente rivisto per questa nuova edizione, si è guadagnato lo status di assoluto riferimento in un settore, quello sulle pene capitali, da sempre prodigo di riflessioni. L'autrice incrocia ogni tipo di fonte, dalla letteratura ai testi giuridici, dalle pratiche religiose al semplice uso comune, riuscendo a delineare un quadro completo di quali fossero le motivazioni, le modalità e i limiti della pena di morte nella Grecia antica e a Roma. L'epoca classica, spesso idealizzata come "luogo arcadico" della storia dell'uomo, o al contrario utilizzata dall'industria dell'intrattenimento come teatro grand guignol, rivela qui finalmente tutta la sua complessità e le sue sfaccettature, in un intreccio continuo di razionalità e ferocia. E il tema della pena di morte viene spogliato dei luoghi comuni e delle banalità, anche grazie al penetrante saggio introduttivo che guida il lettore in un excursus storico degli intellettuali e delle scuole di pensiero che della "morte di Stato" si sono occupati da vicino.
Questo libro esplora il mutevole rapporto tra verità storica, finzione e menzogna attraverso una serie di casi. Contro la tendenza dello scetticismo postmoderno a sfumare il confine tra narrazioni di finzione e narrazioni storiche in nome dell'elemento costruttivo che le accomuna, il rapporto tra le une e le altre viene visto in questo libro come una contesa per la rappresentazione della realtà. Scavando dentro i testi, contro le intenzioni di chi li ha prodotti, si possono far emergere voci incontrollate: per esempio quelle delle donne o degli uomini che, nei processi di stregoneria, si sottraevano agli stereotipi suggeriti dai giudici. Nei romanzi medioevali si possono rintracciare testimonianze storiche involontarie su usi o costumi, isolando all'interno della finzione frammenti di verità: una scoperta che oggi ci sembra quasi banale, ma che aveva un suono paradossale quando verso la metà del Seicento, a Parigi, venne formulata per la prima volta esplicitamente. Realtà, immaginazione, falsificazione si contrappongono, s'intrecciano, si alimentano a vicenda. Gli storici, scriveva Aristotele, parlano di quello che è stato (del vero), i poeti di quello che avrebbe potuto essere (del possibile). Ma il vero è il punto d'arrivo, non un punto di partenza. Gli storici (e, in modo diverso, i poeti) fanno per mestiere qualcosa che è parte della vita di tutti. Districare l'intreccio di vero, finto e falso che è la trama del nostro stare al mondo.
"Il grande sviluppo industriale non eliminò lo squilibrio tra Nord e Sud, ne mutò alcuni caratteri". Dalla Liberazione alla Repubblica - La rottura dell'alleanza antifascista. La costituzione repubblicana - Il consolidamento del potere democristiano e la ripresa del capitalismo industriale. Considerazioni finali: l'Italia del passato - l'Italia moderna. La Storia dell'Italia moderna di Giorgio Candeloro ha ormai un grande e incontestato rilievo nella storiografia italiana e non solo italiana del dopoguerra. L'ininterrotta, meritoria fatica dell'autore ha dato vita a un'opera di carattere generale, non rigidamente specialistica, ma costantemente a un alto livello scientifico, "che ha acquisito in questi anni una funzione di permanente riferimento per la conoscenza del modo col quale si è venuto formando il nostro paese" (Ernesto Ragionieri).
I greci e i romani, al di là delle profonde differenze tra le due culture, vivevano i rapporti tra uomini in modo molto diverso da quello in cui lo viviamo noi oggi. Per i greci e i romani (ovviamente, salvo eccezioni) l'omosessualità non era mai una scelta esclusiva. Amare un altro uomo non era un'opzione fuori dalla norma, che esprimeva una diversità. Era "solo" una parte integrante dell'esperienza di vita: era la manifestazione di una pulsione vuoi sentimentale vuoi sessuale che nell'arco dell'esistenza si alternava e talvolta si affiancava all'amore per una donna. Questo brillante saggio, stimolante e pungente, sulla bisessualità a Roma e Atene ne esplora i contorni e ne rilegge le dinamiche più profonde, grazie all'accurato utilizzo delle fonti più diverse (testi giuridici e medici, poesia, letteratura filosofica). Un libro importante e al contempo di gradevolissima lettura: il rituale educativo dell'amore per gli adolescenti in Grecia e lo stupro nell'antica Roma vengono riletti come gli elementi cruciali, per quanto rinnegati, del mondo classico. Una tesi che ancora adesso suscita scalpore.