
Boris Cyrulnik, celebre psichiatra francese, ha un passato tormentato alle spalle: i genitori, di origine ebraica, sono stati rinchiusi e assassinati nel campo di concentramento di Auschwitz quando lui era ancora un bambino. Rimasto solo, è caduto prigioniero dei nazisti ma è riuscito a salvarsi per miracolo nascondendosi nel bagno della sinagoga della sua città. Dopo aver trascorso l'infanzia come un fuggitivo, in casa di famiglie che lo ospitavano e in orfanotrofio, terminata la guerra ha scelto di diventare psichiatra. Pur lavorando ogni giorno con traumi e sofferenze da superare, soltanto di recente è riuscito ad affrontare il proprio passato, per testimoniare a voce alta l'orrore vissuto e le conseguenze dolorose che ha dovuto affrontare crescendo. "La vita dopo Auschwitz" è un viaggio nella memoria, un'esplorazione profonda dei ricordi di un passato che emerge dopo un lungo silenzio. La memoria, ci dice Cyrulnik, non racconta la verità storica dei fatti, ma un'altra verità, soggettiva ma non per questo meno reale: un meccanismo dal potere salvifico che cancella, seleziona e modifica quello che è accaduto e che nel tempo ha plasmato i nostri ricordi per rendere il dolore accettabile aiutandoci a superare i traumi vissuti. Attraverso la sua storia, Cyrulnik si rivolge a tutti coloro che cercano di scappare da un passato difficile: un lavoro paziente, in cui l'autore si è messo in gioco, accettando di essere per la prima volta soggetto e oggetto della propria ricerca.
Il 29 luglio 1983 la mafia fa esplodere un'autobomba in via Pipitone Federico a Palermo: muoiono il giudice Rocco Chinnici, gli uomini della sua scorta e il portiere dello stabile dove il magistrato viveva insieme alla moglie e ai figli. Rocco Chinnici era da tempo nel mirino. Innovatore e precursore dei tempi, aveva intuito che, per contrastare efficacemente il fenomeno mafioso, era necessario riunire differenti filoni di indagine, comporre tutte le informazioni e le conoscenze che ne derivavano. Per farlo, riunì sotto la sua guida un gruppo di giudici istruttori: Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello. L'anno dopo la sua morte, questo gruppo prenderà il nome di "pool antimafia". La storia ci tramanda come e perché Rocco Chinnici sia stato ucciso. Ci tramanda un eroe. A lui però non sarebbe piaciuto essere chiamato così. Era prima di tutto un uomo, un padre, cui è toccata in sorte una vita straordinaria, o forse un destino, che lui ha scelto di assecondare fino alle estreme conseguenze. Dopo decenni di silenzio, Caterina Chinnici, la figlia primogenita - a sua volta giudice, a sua volta impegnata nella lotta alla mafia, a sua volta sotto scorta - sceglie di raccontare la loro vita "di prima", serena nonostante le difficoltà, e la loro vita "dopo". Sceglie di raccontare come lei, i suoi fratelli e la madre abbiano imparato nuovamente a vivere e siano riusciti a decidere di perdonare: l'unico modo per sentirsi degni del messaggio altissimo di un padre e un marito molto amato...
"La paternità non è un fatto di sangue. Per come la vedo io, la paternità è qualcosa d'altro: è un susseguirsi di domande e voglia di esserci. Non esiste un manuale di istruzioni sulla paternità buono per tutte le occasioni. Esiste soltanto una risma di fogli bianchi che i tuoi figli ti aiutano a riempire. Fogli pieni di inevitabili errori, poesie improvvisate, arrabbiature ricorrenti, dolci sorprese. Fogli dove giorno dopo giorno annoti i tuoi goffi tentativi di regalare loro il dono più prezioso: quello di essere liberi e di non rinunciare mai a essere se stessi. Dei miei tre figli, uno è disabile. Moreno non vede, non parla e non può capire quasi nulla di quello che gli succede intorno. Moreno non sarà mai un uomo libero, anche se io fossi il padre migliore del mondo. Perché Moreno non può scegliere. Con Jacopo e Cosimo, posso provare a mettere nelle loro tasche un gettone di libertà. Magari minuscolo e un po' ammaccato. Ma posso sperare di riuscirci. Con Moreno, invece, so che non sarà mai possibile. Insomma, ho imparato presto che alcune partite non si potranno mai vincere. (In questo, essere interisti aiuta...) E col tempo ho anche imparato che, in ogni caso, non è soltanto la tua responsabilità di padre a importi di giocarle." A due anni dalla pubblicazione di "Zigulì", Massimiliano Verga racconta gli ultimi dodici, e decisivi, anni della sua esistenza in una sorta di cronaca-riflessione sulla paternità.
Nell'utopia dei "geek", i fanatici della tecnologia digitale, in un futuro molto prossimo poderosi sistemi informatici di raccolta dati e misurazioni statistiche consentiranno di monitorare ogni aspetto della nostra vita, fornendo risposte risolutive a tutte le più scottanti questioni del nostro tempo, dalla povertà all'inquinamento, dalla corruzione alla criminalità, dall'obesità allo smaltimento dei rifiuti. Questo "grande esperimento migliorativo" è visto come un processo ineluttabile e definitivo, e segnerà una svolta epocale nella storia dell'umanità. L'obiezione mossa da Evgeny Morozov a questa straordinaria quanto ingenua prospettiva di perfezionamento telematico del pianeta parte dalla critica ai due cardini ideologici che la sostengono. Da un lato il "soluzionismo", ovvero l'idea che per qualsiasi problema esiste un rimedio digitale; dall'altro l'"internet-centrismo", ovvero la teoria per cui tutti gli ambiti dell'esistenza, per diventare migliori, devono modellarsi sulle caratteristiche della Rete, evitando in ogni modo di intralciarne o limitarne l'ecosistema. Consapevole di fronteggiare un nemico agguerrito e subdolo, Morozov si propone di smascherare l'idolatria di "Internet", che propone il miraggio di una vita individuale e sociale, fisica e psicologica, senza intralci. L'illusione che tutto possa essere corretto e sanato può infatti avere effetti disastrosi sulla capacità dell'uomo di convivere con la complessità.
Secondo gli ultimi rilevamenti dell'Istat in Italia ogni anno ci sono più di 50.000 divorzi e quasi 90.000 separazioni. E questo significa che sono decine di migliaia i minori che si trovano a vivere la dissoluzione del nucleo familiare originario e in molti casi la formazione di uno nuovo. Le famiglie allargate sono una realtà ben presente nella società Italiana, con tutto ciò che comportano: fratelli che hanno genitori diversi, coppie padri-figli che si scompongono e ricompongono nei fine settimana, "vicemadri", "secondipadri", "figli acquisiti". Un fenomeno in crescita, insomma, che in questo libro Irene Bernardini analizza dal punto di vista dei bambini: perché sono loro che, soprattutto nel quadro di queste famiglie oggettivamente più complesse e complicate, ci chiedono di andare oltre i vecchi schemi, di reinventare nuovi modi di fare famiglia. Ma sono anche loro che ci rendono capaci di farlo. E che accompagnano l'adulto nel faticoso, ma tutt'altro che impossibile cammino verso una nuova possibilità di essere, tutti, felici.
"Valentina Pitzalis è morta il 17 aprile 2011. Quel giorno mio marito mi ha cosparsa di cherosene e mi ha dato fuoco. Quel giorno la Valentina che ero sempre stata, la ragazza carina, piena di vita, prospettive e sogni per il futuro, è bruciata tra le fiamme di un inferno senza senso. Non so perché tutto questo sia successo proprio a me. Me lo sono chiesta tante, troppe volte in questi anni, così come mi sono ripetuta, ogni giorno, che lui non era un mostro, ma aveva fatto, questo sì, una cosa mostruosa. So per certo però che la persona che sono oggi è stata più forte di tutto e di tutti. Ho compreso che di fronte alle avversità, di fronte a tragedie come la mia la cosa che conta è trovare la forza di reagire. Ho scelto di reagire, ho scelto di vivere, ho scelto di cercare di essere un esempio per chi crede di non avere quella forza dentro di sé, perché io... la depressione non me la posso permettere, non più. Quello che, più di tutto, mi ha dato la forza di arrivare fin qui è stata la speranza di poter aiutare tutte le donne che vivono, magari ancora senza essersene rese veramente conto, situazioni di coppia come la mia. Sono felice di poter alzare una mano sola, sono felice di avere i miei occhi senza ciglia e sopracciglia, sono felice di avere le mie gambe coperte di cicatrici. Semplicemente, sinceramente, incredibilmente... ho trovato la forza per non smettere di sorridere e sono felice di vivere!" (Valentina)
Viaggiare e scrivere, non so se scrivere per viaggiare o viaggiare per scrivere. Questa era la scorciatoia psicologica capace di placare i miei sensi di colpa durante le fughe da ragazzo. Spesso fughe nella fantasia, ma non per questo meno avventurose. Un giorno, mi dicevo, le racconterò. Così le giustificavo. Senza saperlo ne facevo una professione." Queste le prime righe dell'inedito e giocoso racconto autobiografico con il quale si apre questo libro che raccoglie per la prima volta, grazie alla collaborazione tra Bernardo Valli e Franco Contorbia (massimo esperto italiano di scrittura giornalistica che firma, a suggello dell'antologia da lui curata, un importante saggio storico-critico), una vasta scelta di articoli e reportages redatti da Valli nell'arco di quasi sessant'anni e apparsi su "Il Giorno", il "Corriere della Sera", "La Stampa" e "la Repubblica". Preceduti da una serie di scritti "teorici" ai quali l'autore ha affidato una acutissima riflessione sui caratteri costitutivi e le radicali metamorfosi che hanno investito la professione del reporter, e particolarmente del corrispondente "di guerra", sono ben 193 i pezzi più interessanti e memorabili grazie ai quali la vasta platea dei lettori di Valli può finalmente ripercorrere più di mezzo secolo di storia italiana e internazionale nelle immagini luminose e sfaccetta tissime dei suoi racconti e delle sue riflessioni intorno alle cose del mondo.
"In un mondo dilaniato dai fondamentalismi, una discussione su religione e scienza, e più in generale su fede e ragione, costituisce un evento ad alta necessità, ma a bassa probabilità. A volte, però, anche l'improbabile trova la via per realizzarsi: questo libro dimostra che non è impossibile che addirittura un papa e un ateo arrivino a confrontarsi, e che lo facciano scambiandosi non salamelecchi formali, ma argomenti sostanziali." Nell'aprile 2011 Piergiorgio Odifreddi scrive a Benedetto XVI una lettera aperta in cui sollecita una discussione sul rapporto tra fede e ragione, religione e scienza, prendendo spunto da passi salienti di alcuni dei testi più noti di Ratzinger. Due anni più tardi, dopo essersi dimesso, Benedetto XVI legge "Caro Papa, ti scrivo" e decide di rispondere, punto per punto, capitolo per capitolo, agli argomenti del matematico a favore dell'ateismo e contro la religione in generale, e il cattolicesimo in particolare: dalla provocazione della teologia come fantascienza, al comportamento peccaminoso dei sacerdoti come prova della presenza del male all'interno della Chiesa stessa, al dubbio radicale sulla veridicità storica della figura e delle parole di Gesù. Il risultato di questo scambio, come sottolinea Odifreddi nella Prefazione, "costituisce un unicum nella storia della Chiesa: un dialogo fra un papa teologo e un matematico ateo. Divisi in quasi tutto, ma accomunati almeno da un obiettivo: la ricerca della Verità, con la maiuscola."
Fino a ieri sembrava che il problema della crescita riguardasse i paesi poveri, o arretrati, o "in via di sviluppo". La grande crisi del 2007-2013, la più grave dopo quella del 1929, ci sta invece mostrando che quel problema riguarda innanzitutto le società "avanzate", molte delle quali ancora stentano a uscire da una recessione che ormai dura da quasi sette anni. Ma se si guardano attentamente i dati degli ultimi cinquant'anni, e si confrontano tra loro le storie dei paesi che attualmente fanno parte dell'Ocse (il club dei paesi "sviluppati"), si scopre che la crescita era un problema, anzi un vero e proprio enigma, già prima della crisi. Perché è da mezzo secolo che l'insieme delle economie avanzate cresce a un ritmo sempre più lento. Ma anche perché fra di esse ci sono sempre stati paesi-gazzella e paesi-lumaca, con divari enormi fra i rispettivi tassi di crescita: l'Italia, per esempio, era un paese-gazzella negli anni '50 e '60, ed è divenuto un paese-lumaca negli ultimi vent'anni. Qual è il segreto della crescita? Qual è il male che corrode i paesi ricchi? E qual è la chiave che permette ad alcuni di essi di crescere ancora, nonostante tutto? È a questi interrogativi che il libro di Ricolfi prova a rispondere, attraverso un racconto che, a tratti, finisce per assumere i contorni di un giallo. Un giallo i cui protagonisti sono le teorie economiche, ma anche i modelli elaborati dai demografi e dai biologi per individuare le leggi che regolano l'evoluzione delle popolazioni...
Il cibo, i modi di cucinarlo e consumarlo possono narrare un paese meglio di tante cronache storiche. E proprio oggi che in Italia la cucina è la regina della programmazione televisiva, è importante ritrovarne la memoria. Perché la (buona) tavola è un fatto sociale e culturale, è appartenenza e ricordo, la rappresentazione più intima della nostra identità, tanto che non è azzardato affermare che molti mutamenti del nostro paese possono essere letti attraverso il cibo e la sua preparazione. "Fornelli d'Italia" è un viaggio nel tempo e nei tempi della nostra terra, alla scoperta di come e quanto sia cambiata l'Italia da quel fatidico 1861 in cui siamo diventati nazione. Un viaggio raccontato da un punto di vista originalissimo, quello delle molte straordinarie cuoche che si sono avvicendate nelle cucine delle nostre case. Infatti, mentre la gastronomia, colta e raffinata, è da sempre descritta da quegli stessi uomini che la interpretano (i grandi chef che oggi spopolano come vere star), il quotidiano "far da mangiare", costruito silenziosamente e meticolosamente dalle donne, non ha mai avuto celebri cantori. Con occhi femminili, quelli delle padrone dei fornelli, Stefania Aphel Barzini riscrive la storia d'Italia attraverso il cibo. Una storia che, come in un gioco di scatole cinesi, ne racchiude molte altre, ricche di personaggi sorprendenti, di aneddoti, di ricette narrate anche grazie all'aiuto della pubblicità, dei film, dei giornali e delle riviste dell'epoca.
Fondata da un'estrosa squadra di fanatici della tecnologia, nel 2005 Odeo era una start up di San Francisco con tante belle speranze e poco futuro. Sotto le sue ceneri, però, covava un bizzarro e ambizioso progetto, destinato a trasformarsi ben presto - contro ogni ragionevole pronostico - in un'autentica rivoluzione nel modo di comunicare di milioni di persone in tutto il mondo. Nick Bilton, giornalista del "New York Times", ricostruisce in queste pagine l'intera storia di Twitter, spiegandoci le ragioni del suo clamoroso quanto inaspettato successo. Attraverso una minuziosa indagine, compiuta esaminando carte ed e-mail riservate, e intervistando decine di persone che hanno assistito alla gestazione e alla nascita del social network a 140 caratteri, Bilton ci offre un vivido ritratto dei suoi quattro inventori: Evan Williams, il tranquillo ragazzo di campagna che aveva già cambiato il volto di Internet diffondendo, e rendendo molto remunerativo, l'uso dei "blog"; Jack Dorsey, che dopo essersi tagliato i dreadlocks azzurri contribuì a elaborare l'idea originale ed è ora acclamato come il successore di Steve Jobs; Christopher Stone, burlone e diplomatico nonché coscienza morale del team, l'unico a restare in buoni rapporti con gli altri tre quando fra loro scoppiò una profonda e insanabile rivalità; Noah Glass, il timido ma visionario nerd che, nonostante avesse profuso ogni energia creativa nel nuovo progetto, ne fu brutalmente estromesso.
La notte fra il 3 e il 4 giugno 1989 i carri armati entravano in piazza Tienanmen per porre fine a quella che il Partito comunista cinese aveva definito una "sommossa controrivoluzionaria". Migliaia di studenti, intellettuali, operai e semplici cittadini, che per settimane, con le loro manifestazioni pacifiche, avevano inneggiato alla libertà e alla democrazia galvanizzando il paese e tenendo il mondo intero con il fiato sospeso, venivano massacrati dalle truppe dell'Esercito popolare di liberazione. Sfioriva così, in un bagno di sangue, la "primavera di Pechino". In quelle stesse ore Liao Yiwu, giovane poeta "individualista e indifferente alla politica", sconvolto dalle notizie provenienti dalla capitale, componeva un breve poema intitolato "Massacro". Non poteva certo immaginare che quei versi - il suo j'accuse contro un regime omicida - lo avrebbero precipitato per quattro anni nell'incubo delle carceri della Repubblica popolare cinese. "Un canto, cento canti" è il resoconto di quell'incubo, un viaggio nell'orrore di un sistema penitenziario disumano, scandito dalle tappe di una vera e propria discesa agli inferi. Prefazione di Herta Müller.