
Una donna sa della doppia vita del compagno ma finge di non sapere. Una moglie soffre per anni del matrimonio bianco imposto dal marito senza sospettare un'omosessualità nascosta. Una coppia cela a famigliari e amici la vera paternità del figlio. Una sorella si macera nel senso di colpa per non aver difeso il fratello da bambina. Quanti imbarazzi, omissioni, mezze verità o bugie palesi accompagnano la vita delle coppie. A volte innocenti, altre pesanti. Alcuni di questi sedimentano nel tempo e diventano segreti di famiglia che si tramandano come eredità silenti. Non sempre sono segreti tragici, spesso si tratta di cose di piccola entità, mai dette per vergogna, per dolore, o per quieto vivere. Cose che se rivelate potrebbero venire assorbite senza problemi nel fluire della quotidianità. In alcuni casi invece gli eventi, se portati a galla, distruggerebbero la serenità famigliare. Quasi sempre i non detti causano malessere, tristezza, senso di colpa, confusione. Il silenzio che doveva proteggere acuisce il disagio. Attraverso storie vere raccontate con piglio narrativo, la psicologa Anna Oliverio Ferraris illustra i mille modi in cui i segreti condizionano la vita di tutti, di chi lì mantiene e di chi li subisce.
Ci sono azioni che sono cartine di tornasole. Le fai solo per amore. Se non le fai è perché non ami. Giusto e sbagliato vengono dopo. È solo questione d'amore. Quando la mattina del 30 luglio 2012. Carolina Kostner apre la porta di casa all'ispettore antidoping e mente dicendo che il suo fidanzato Alex non è lì, lo fa per amore. Fa quello che ci si aspetta da una donna innamorata. Quel gesto le è costato caro: la squalifica a un anno e 4 mesi, oltre alla credibilità di campionessa. Per lei che trae la sua felicità dal volteggiare sul ghiaccio, la condanna è pesantissima. Non pensava di pagare quel prezzo, quando nell'aprile del 2008, reduce da molti successi sportivi, incontra Alex Schwazer, la promessa della marcia italiana, colui che da lì a poco avrebbe conquistato il gradino più alto del podio all'Olimpiade di Pechino. Si innamora di lui in un attimo, ricambiata. Sono giovani, belli, determinati. Si piacciono, si capiscono, accettano i sacrifici imposti dai rispettivi sport. Si ammirano. Carolina si fida ciecamente di quel bel ragazzo biondo, taciturno ma concreto, lo immagina in futuro come il padre dei suoi figli. Non vede le ombre che si allungano su di loro. Lei, che si è rialzata più volte da momenti bui a forza di allenamenti e volontà, pensa che il suo uomo faccia lo stesso. Non è così. Questa è la storia di un amore tradito, dove la rivale non è un'altra donna, ma il doping. Ma è anche molto di più...
Il lupo carpisce il nostro sguardo e ce lo restituisce. Simbolo spirituale per i nativi indiani, cacciatore alla pari per gli eschimesi, ricettacolo di paure irrazionali per molti popoli, il lupo occupa un posto speciale nel nostro immaginario. Da sempre il suo rapporto con l'uomo è un rapporto complesso, fatto di paura e di ostilità, ma anche di sorprendenti affinità. Barry Lopez traccia un ritratto inedito di questo straordinario animale. Ci conduce in un appassionante viaggio alla scoperta dei suoi comportamenti, della sua psicologia, della complessa struttura sociale del branco e del difficile rapporto con l'uomo.
"Autobiografia liberamente tratta... dalla mia vita". Così un fuoriclasse dello spettacolo italiano definisce la sua confessione a briglia sciolta, scoppiettante di umorismo e travolgente autoironia, che assomiglia più a uno show che a un racconto di vita. Un variopinto caleidoscopio di esilaranti siparietti. Ne viene fuori non certo un memoriale di ricordi, piuttosto un lucido, colto e graffiante ritratto del nostro paese, della sua situazione sociale, di una politica che non è più lotta fra Destra e Sinistra, ma contrapposizione tra "chi sta (T)Sipras e chi sta sotto, ... con il problema poi che non Syriza più!". In cinquant'anni di palcoscenico ci sono avventure e memorabili incontri artistici, ma c'è anche la gustosa rievocazione degli esordi da imitatore nelle feste di piazza in onore del santo patrono. Uno per tutti: "Sant'Urologo! Che con un'espressione tra il beato e il rincoglionito, teneva tra le dita un segno distintivo della sua 'specializzazione', una specie di pallina, insomma un calcolo". Successi televisivi, incontri, grandi collaborazioni e spettacoli teatrali con incassi record non hanno sedato la sua profonda inquietudine, che in questo libro viene rivelata al lettore senza pudori. Montesano svela la lotta quotidiana fra il desiderio di far ridere e un'indole burbera, soggetta agli alti e bassi della malinconia. Una confessione senza reticenze che fa ridere e commuovere, piena di quell'acuta verve che gli ha fatto meritare il soprannome di "vurcano de Roma".
Il 5 gennaio 2015, due giorni prima di venire ucciso nell'attentato al suo giornale insieme a undici suoi colleghi, tra cui alcuni dei più noti vignettisti satirici europei, il direttore di Charlie Hebdo, Charb (Stéphane Charbonnier), ha consegnato al suo editore quello che di fatto è diventato il suo manifesto, e il suo testamento editoriale. Ripercorrendo alcune delle pagine più significative della storia di Charlie, con tutte le minacce e le polemiche che le hanno accompagnate, Charb risponde con acutissima e pungente logica alle accuse di islamofobia dei benpensanti che, insieme a fatwa e attentati, il suo giornale si è attirato pubblicando le vignette su Maometto. "In virtù di quale contorta teoria l'umorismo dovrebbe essere meno compatibile con l'islam, rispetto a qualunque altra religione? Dire che l'islam è incompatibile con l'umorismo è altrettanto assurdo che sostenere che l'islam non è compatibile con la democrazia, o con la laicità... Se lasciamo intendere che si possa ridere di tutto tranne che di certi aspetti dell'islam perché i musulmani sono molto più suscettibili del resto della popolazione, non li stiamo forse discriminando?" Arguto, lucido, e tragicamente profetico, in queste pagine postume Charb replica non solo ai suoi assassini, ma anche all'ipocrisia e al paternalismo - borghese, bianco e fintamente di sinistra di quella classe politica e intellettuale che negli anni ha pericolosamente isolato il giornale...
Nel pomeriggio del 10 maggio 1996 Lene Gammelgaard, membro della spedizione di Scott Fischer, è diventata la prima donna scandinava a raggiungere la cima del monte Everest. Il giorno dopo era sopravvissuta a uno dei più terribili disastri della storia dell'alpinismo, raccontato nel film Everest. Nel corso della notte, una tremenda tempesta e una serie di errori umani hanno cospirato per mutare un trionfo in una catastrofe. Otto persone sono morte in quella notte d'inferno, che continua a interrogare e a far discutere. L'entusiasmo della preparazione, l'arrivo in Nepal, le difficoltà della scalata sulla montagna più alta del mondo, l'incubo di una tempesta che ha costretto gli alpinisti ad affrontare la discesa in condizioni impossibili rivivono, passo dopo passo, nell'emozionante racconto di Lene. La sua voce appassionata non si limita alla cronaca, ma rende conto di emozioni e sentimenti, si sofferma sui risvolti psicologici della tragedia e offre una prospettiva illuminante e personale. Sull'alpinismo. Sull'ebbrezza che porta a rischiare la pelle. Sulla vita stessa, nuda e cruda.
Una fatwa al giorno d'oggi non si nega a nessuno. I genitori che si credono tuttologhi della scuola solo perché sono stati in grado di procreare? A morte! L'infausto rito degli auguri alcolici di fine anno? A morte! Morte alle multisale che puzzano di popcorn fritto nel grasso di yak, ai giornalisti che chiedono "Cosa prova" ai parenti degli ostaggi, alla tripla A di Standard & Poor's, e alle borse griffate ultracostose e ultrabrutte. Sarà più ridicola una fatwa sulla dittatura della pallina di gelato alla vaniglia o quella su un disegnatore satirico che smaschera le ipocrisie armato di matita? Charb, lo storico direttore di Charlie Hebdo, in risposta alle numerose minacce che per molto tempo lo hanno raggiunto, si autoproclama ayatollah e imbraccia la gioiosa arma della satira per lanciare esilaranti condanne a morte a destra e a manca. Fatwa per tutti. Ridicolizzare è l'antidoto a chi si dà troppa importanza. Charb concede a ciascuno, dall'uomo di potere a quello della strada, dalle mode ai vizi, dalle abitudini ai cliché mentali, cinque corrosivi minuti di popolarità. Prefazione di Erri De Luca.
Tenero, elegante, buffo, sornione, il gatto non ha mai dimenticato che un tempo c'era chi lo considerava una divinità, e come tale continua a esercitare indisturbato il suo fascino su di noi. Tuttavia, c'è ancora molto da scoprire e molti pregiudizi da sfatare. Il più diffuso, e insieme il più fallace, è che si affezioni più alla casa che non a chi la abita. Il grande etologo (e gattologo) Giorgio Celli sfata questa e altre leggende, insegna a comprendere e a comunicare con il gatto di casa, svela gli aspetti più curiosi e inaspettati, consiglia come affrontare i piccoli problemi di convivenza, aiuta a valutare l'intelligenza gattesca. Ma si spinge anche oltre. Riconoscendo la saggezza dei felini, ci dona importanti dritte su ciò che da loro possiamo imparare. In amore, per esempio, perché come sanno tutti i devoti gattofili, in seduzione e corteggiamento i gatti non hanno eguali. Si sofferma infine su differenze e sintonie tra i gatti e quei supergatti che la maggior parte di noi ha potuto ammirare solo nei documentari. Perché ovunque vivano, in un giardino metropolitano o in un'assolata savana, i felini sono i re del loro ecosistema. Magnetici, affascinanti, curiosi, e a volte letali, sono un capolavoro della natura. E anche se non lo riteniamo più un essere divino, come facevano molti nostri antenati, il gatto non ha perso certo il suo ascendente e in milioni di case ha trovato sapientemente un nuovo trono: il sofà.
Se in ogni tempo e in ogni luogo la civiltà è cominciata con una vigna, è perché niente è vivo più del vino. Il vino comprende, sogna, ricorda, progetta. E racconta. Di piccoli casolari nel Chianti e di moderne Babele come New York e Parigi. Di come mille status symbol non valgano un omino novantenne di Montalcino che sa dire di ogni bicchiere da quale vigneto proviene. Di come, dalla Roma dei Cesari a oggi, il vino si sia fatto persuasione, politica, persino religione. Di come uomo e vino abbiano imparato ad addomesticarsi a vicenda, anche grazie a un maledetto ragno. Ogni vino ha una storia, fatta spesso di racconti e aneddoti tanto straordinari da sembrare impossibili, una storia che rende ciascun vino unico e adatto a un particolare momento dell'esistenza o della giornata. Chissà che non sia proprio questa la più autentica e appropriata Guida dei vini: i corretti abbinamenti non solo al cibo, ma alla vita stessa, alle sue emozioni e sensazioni. Un viaggio nella storia e nella filosofia del vino e della vite, dedicato a quanti hanno compreso che non si beve per dimenticare, ma per ricordare.
È il 19 dicembre, giorno del suo compleanno, quando un commando di jihadisti fa irruzione nella casa di Francis, ingegnere francese di stanza in Nigeria. Pochi istanti e le porte d'acciaio saltano per aria e lui si trova tra i cadaveri delle sue guardie del corpo, con le mani legate e i kalashnikov puntati alla schiena. Un ostaggio francese, merce preziosa per questi terroristi che fanno affari con i ricatti. Quello è il primo giorno di una lunga prigionia. Rinchiuso in una cella misera, patisce fame, freddo, percosse, fatica. Quando le cose cominciano ad andare per le lunghe, capisce che se il suo valore di scambio diminuisce, la sua vita è in pericolo. Non gli resta che progettare la fuga. Nei lunghi mesi che seguono, Francis perde 40 chili e ha tre arresti cardiaci, ma non si dà per vinto. Studia ogni singola mossa dei suoi carcerieri, orari, abitudini, debolezze. Scopre i comportamenti proibiti delle sue guardie, da usare come arma di ricatto. Capisce quanta ignoranza e ipocrisia e quanto distacco dalla religione che professano nascondono quegli uomini. Cammina ogni giorno intorno al materasso per chilometri per tenersi in forma, calcola tutto, memorizza tutto, in attesa del momento buono per fuggire. Sa di avere un'unica possibilità, perché, se fallisce, nessuno avrà pietà di lui.
Loretta ha scelto di confrontarsi con dodici figure femminili che hanno lasciato un segno nella sua vita ispirando passioni, scelte, amori, successi e carriera. Sono dodici "amiche del cuore" di grandissimo fascino, narrate in pittoresco disordine, così come sono venute dal cuore: la pittrice impressionista Berthe Morisot, l'attivista nera Angela Davis, la forte e sfortunata Marianna Ucrìa, l'attrice comica Tina Pica, la pianista Clara Wieck Schumann, l'intrigante e sensuale Valentina di Crepax, la ballerina Margot Fonteyn, la regina della cosmesi Estée Lauder, la plurimedagliata Valentina Vezzali, la poetessa Alda Merini, la studiosa dell'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Lucia Del Mastro e la coraggiosa sudanese condannata per apostasia Meriam Yahia Ibrahim Ishag. Specchiarsi in questi profili maestosi è un invito a guardarsi dentro, a viaggiare nella propria anima, un'occasione per parlare ancora dell'amore e del dolore delle donne, della propria voglia di vivere e di affermarsi senza sotterfugi e aggressività, e di quel dono di cui ogni sorella-madre-nonna-amica è portatrice: la resilienza.
Lavarono con il loro sangue le pietraie del Carso e i dirupi dell'Altopiano. Nel corso del conflitto più spaventoso della storia, diedero la vita per una patria che non avevano mai conosciuto se non con la maschera di un potere centrale lontano, arrogante e rapace. Ogni anno si celebrano con enfasi insensata le ricorrenze della Prima Guerra Mondiale, ma da nessuna parte si sente dire che l'assoluta maggioranza delle vittime era gente del Sud. Un'intera generazione spazzata via. Figli del Meridione, contadini poveri, braccianti, piccoli artigiani, quasi per metà analfabeti, giovani di vent'anni che furono strappati alle loro famiglie e alla loro terra e mandati a morire in lande remote, tra montagne da incubo e pianure riarse. Si sacrificarono per gli interessi di quelle élite economiche che sfruttavano la loro terra e per il tornaconto di una nuova classe politica che li trattava con ferocia o disprezzo. Finirono a decine di migliaia nelle trincee, stretti nella morsa del fango e del gelo, sotto una pioggia perenne di bombe. Diventarono carne da cannone, numeri da inserire nelle statistiche dello Stato Maggiore, bandierine che i generali spostavano sulle mappe con noncuranza. Vennero massacrati sull'Isonzo e a Caporetto, combatterono con disperazione e con valore sul Piave, lanciati contro un nemico che non conoscevano e che non avevano motivo di odiare. Conobbero la paura, la morte, l'eroismo. Erano i nostri nonni, i nonni del nostro Sud. L'esercito dei terroni. Prefazione di Pino Aprile.