
Se nasci in Afghanistan, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi, qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore, il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio. Ti accompagna in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene e ti lascia solo. Da questo tragico atto di amore hanno inizio la prematura vita adulta di Enaiatollah Akbari e l'incredibile viaggio che lo porterà in Italia passando per l'Iran, la Turchia e la Grecia. Un'odissea che lo ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini, e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l'ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso. Enaiatollah ha infine trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età.Questa è la sua storia.
Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Iaio avevano 18 anni. Il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro, vennero uccisi a Milano, in via Mancinelli, da otto colpi di pistola sparati da un commando di tre killer professionisti rimasti a oggi ignoti. Trentasette anni dopo il duplice omicidio e a distanza di quattordici anni dalla sua prima edizione, esce la versione aggiornata di questo libro diventato ormai un punto di riferimento per la controinformazione e il giornalismo d'inchiesta nel nostro Paese. Biacchessi racconta la storia di ragazzi uccisi solo per le loro idee, in una città plumbea e violenta come la Milano di allora. E narra le indagini ufficiali e quelle parallele, fino a formulare alcune ipotesi investigative ancora attuali, dopo le ultime inchieste su Massimo Carminati e Mafia Capitale. Quello di Fausto e Iaio fu un omicidio organizzato da neofascisti e da uomini della banda della Magliana. Questa è la verità che non si potrà archiviare. E che ci dice molto su quegli intrecci fra criminalità e servizi segreti che ancora affliggono il nostro Paese.
Christiane Taubira ricorda i tragici fatti del 2015, racconta come sono stati vissuti dai vertici di Stato, spiega quali sono le forze oscure che governano questo nuovo terrorismo e come abbiano potuto arruolare giovani francesi per trasformarli in assassini. Invita tutti i cittadini, e i giovani soprattutto, a trovare nella cultura e nella bellezza le ragioni per difendere con feroce determinazione i valori della nostra società. Quasi un poema in prosa, con il suo tipico stile intessuto di metafore audaci, continue citazioni e spunti da letteratura e filosofia, prendendo in prestito le parole di pensatori come Edouard Glissant, Paul Eluard a Albert Camus, la Taubira mette a fuoco i punti che più le stanno a cuore, come l'identità francese, la tradizione dell' accoglienza, della libertà della multiculturalità, la tolleranza, l'uguaglianza di diritti per tutti; e ci ricorda, senza allarmismi ma neppure false promesse, che la minaccia terrorista è il pericolo più grave della contemporaneità. In questi tempi convulsi e affannati le parole di Christiane Taubira alzano il livello del di trito e donano una nuova speranza ai giovani. Parole di una donna dai saldi principi, parole di una donna libera. Prefazione di Gianni Riotta.
Una serie di conversazioni su politica, religioni e mondo che, nella loro diversità e varietà, presentano la politica come un prisma con diverse facce illuminate da una sola luce. La speranza è che si possa cogliere l'unità dell'insieme e lasciare che questa luce si irradi. Il contesto nel quale ciò può compiersi è quello del dialogo, di cui avvertiamo tutti un bisogno radicale per uscire dalla conflittualità incontenibile che deriva dal non saper vivere la differenza, dal non sapere o dal non saper orientarsi.
Che cosa è una «carezza»? È carezza tutto ciò che, riconoscendo l'esistenza dell'altro, si esprime in una comunicazione con una valenza affettiva, anche minima. Assentire sorridendo, toccare amichevolmente una spalla, dire «sono contento di vederti», ascoltare con attenzione, dare un segno di disponibilità. Come il cibo è indispensabile da un punto di vista fisico e permette la crescita e il mantenimento di un benessere corporeo, così avviene per quanto riguarda «le carezze come nutrimento». Sin dalla nascita siamo tutti estremamente sensibili alla qualità e alla quantità delle carezze che riceviamo. Il nostro rapporto con questo speciale tipo di nutrimento, la nostra «dieta» abbondante o scarsa, equilibrata o meno, segnerà il nostro modo futuro di guardare alla vita: di essere soddisfatti e di provare piacere, di recepire e di nutrirci delle carezze che riceviamo da adulti e di farne a nostra volta. Parlare di «carezze» significa parlare di riconoscimento. Riconoscerci come importanti per gli altri dà senso alla nostra vita. Il riconoscimento non viaggia mai a senso unico. Esso è possibile in una non sempre facile circolarità di attenzione e di rispetto reciproco: riconoscimento di sé e riconoscimento dell'altro, e poi ancora riconoscimento di sé attraverso il riconoscimento dell'altro.
«Oggi, un nucleo armato della nostra organizzazione ha fatto irruzione in un covo nemico...»: non inganni il tono scherzoso con cui l'uomo della Dia comunica al quartier generale di Roma che una squadra di investigatori, dopo mesi di lavoro, è riuscita a piazzare una microspia nel «Sancta Sanctorum» che ospita i superkiller di Cosa Nostra. Parodia dei comunicati con cui le Br, negli anni Settanta, scandivano la loro sanguinosa aggressione contro lo Stato, l'annuncio dell'uomo della Dia giunge dalla nuova, difficilissima guerra che insanguina l'Italia: è quella che oppone gli uomini dello Stato alla temibile potenza di fuoco, alla determinata strategia d'assalto dispiegata da Cosa Nostra negli attentati contro Falcone e Borsellino. Laltentatuni è la storia - narrata da Bianconi e Savatteri con il rigore del migliore giornalismo e il ritmo di un grande thriller - di come un pugno di investigatori della Dia, operando sotto copertura e con modalità che non hanno nulla da invidiare alle spy-stories di Le Carré, riescono a entrare nella struttura più interna della mafia. Ne pedinano gli uomini, ne individuano i luoghi di ritrovo, mappano affari e proprietà immobiliari, legami gerarchici e protezioni autorevolissime. Arrivano - scrivendo la pagina più incredibile dell'intera operazione - a rubarne i discorsi in diretta, ad ascoltare ora dopo ora i progetti del nucleo armato. Sullo scenario di una Palermo che Bianconi e Savatteri fissano in modo indimenticabile - città ferita e vitale al tempo stesso - gli investigatori, senza l'aiuto di pentiti e grazie a un immenso e paziente lavoro di indagine, ripercorrono l'insanguinata filiera di Cosa Nostra. E giungono, finalmente, agli assassini della strage di Capaci.
«Questa è una storia di violenza e di bellezza», dice Christiane Taubira, e così apre un racconto e un dialogo che cercano di rispondere alla tremenda evidenza della sopraffazione e dello sfruttamento che hanno segnato e segnano tuttora la convivenza umana. La tratta degli esseri umani e la schiavitù sono stati alla base del primo sistema economico al mondo, che, giustificato per secoli da giuristi, religiosi, filosofi, è stato replicato (dopo la Grecia e Roma) nel mondo moderno. Gli storici si dividono sul numero totale dei deportati nelle rotte dall’Africa alle Americhe: fra i 15 e i 30 milioni. Un numero agghiacciante. E la schiavitù è durata in Europa per oltre quattro secoli, in Francia due.
Questo intenso dialogo fra madre e figlia rompe la crosta di pregiudizi e indifferenza che ancora ci impediscono di capire la violenza che ha segnato la prima globalizzazione, le sue conseguenze durevoli nelle relazioni fra Paesi ricchi e poveri attraverso il colonialismo e fino al Novecento, la pulsione vitale che ha permesso a milioni di persone ridotte allo stato di animali di resistere e sopravvivere. Ne viene fuori, appassionata e incisiva, «una storia di violenza e di bellezza» tanto necessaria quanto spaventosa. Che aggiunge alla consapevolezza delle generazioni più giovani la percezione delle dinamiche del razzismo, quelle manifeste che hanno lasciato una scia di sangue nella Storia e quelle più subdole che continuano ad agire dentro il nostro tempo e la nostra civiltà.
La sua esperienza umana e scientifica, unita a quella delle persone incontrate e amate, i successi e gli insuccessi professionali costituiscono tutto il filone narrativo del libro, che si presenta come un bilancio dell'operato dell'autrice.
"Ho provato a domandare a un folto numero di giovani scrittori italiani di mettere a fuoco un'esperienza, un'avventura umana, una visione, un dettaglio significativo di un mondo in cui valga la pena muoversi, lavorare, in una parola, esistere. Non ho chiesto né dichiarazioni né prese di posizione, ho chiesto semplicemente una ricognizione sulle generose contraddizioni della vita in comune, un accadimento vissuto in prima persona, per dar corpo a un breve fulminante racconto. Hanno risposto in molti, e tutti sono riusciti ad attingere al loro sentimento del tempo e delle cose, esprimendo, nella forma più propria, una proiezione della vita al di là della generica strategia dell'indignazione e di un possibile filtro ideologico. Certamente sono racconti anche politici, ma nel senso che è politica l'immaginazione quando forza il presente e scardina i luoghi comuni. Piuttosto che un'antologia questo è il tentativo di una coralità." (Alberto Rollo)
Viviamo in una realtà piena di contraddizioni. Oltre alla «fine della storia» ci è toccata anche la «fine della geografia»: il pianeta è diventato piatto e stereotipato. Eppure nel simulacro dell'esotico inseguiamo ancora la lontananza e i viaggi continuano a prometterci l'avventura. La globalizzazione ha appiattito differenze etniche e culturali, ma ogni giorno assistiamo al riemergere di nuove spinte nazionalistiche e tribali. Siamo succubi dei miti dell'istantaneità e dell'iperconnessione, i social e i blog hanno inaugurato una nuova stagione di egualitarismo a oltranza. Ma, senza che ce ne rendiamo conto, la facilità della tecnologia e l'accessibilità delle informazioni stanno modificando la vecchia idea di conoscenza, fondata sull'autorevolezza, sulla lentezza e sulla fatica dello scavo personale. Creiamo comunità virtuali per sentirci più vicini, eppure, quando dalle periferie del pianeta giungono fra noi persone cariche delle loro sofferenze, ci ritraiamo spaventati ed erigiamo muri, reali o simbolici che siano. La lontananza e la vicinanza costituiscono la sistole e la diastole di questa indagine appassionante di Franco Brevini alla scoperta del «sentimento dell'altro». Indagine in cui l'autore sviluppa una sorta di telemetria sociale e culturale ad ampio spettro, attingendo a una cassetta degli attrezzi interdisciplinare, che spazia dalla letteratura all'antropologia, dalla sociologia alla psicologia, fino alle nuove scienze maturate intorno al mondo digitale. In fondo a questo itinerario c'è la riscoperta del corpo, che può diventare antidoto ai processi di smaterializzazione, di crescente astrattezza, di anestesia dei sensi, che hanno investito la nostra vita quotidiana, ipotecando i rapporti con le persone, alterando la nostra percezione del tempo e inibendo l'esperienza dei grandi spazi del pianeta.
Il metodo italiano per crescere bambini felici ed essere genitori sereni
Paola e Alessandra, una di Milano l’altra di Roma, hanno in totale cinque figli tra i 4 e i 15 anni e tre mariti, due dei quali ex, con cui (a fasi alterne) sono in ottimi rapporti. Giornaliste da una vita, madri da lustri, hanno scritto centinaia di inchieste sui problemi e le sfide che mamme, papà e famiglie affrontano ogni giorno. Sanno citare anche bendate gli studi su allattamento, educazione digitale, disturbi alimentari, problemi di sonno, capricci, buone maniere e tic; in più, nel tempo hanno capito che non c’è teoria che non venga aggiustata, arricchita e, a volte, smentita dalla pratica.
Tra il self-help e la docu-fiction autobiografica, Mammamia! è un manuale insolito: 88 racconti caldi e croccanti come i tasti del pianoforte, attinti senza remore dal ricordo, dal privato e dalla vita quotidiana delle autrici, che narrano in prima persona gioie e dolori di essere mamma e papà. Dalle notti in bianco alle battaglie sui minestroni, dalle chat di classe al (cyber)bullismo, dall’educazione digitale agli scomodi favoritismi tra fratelli, dal pudore improvviso di una figlia teenager fino ai timidi approcci con alcol & varie che l’adolescenza, puntualissima, porta con sé. Dai loro studi e dalla loro lunga (e rocambolesca) esperienza, Paola e Alessandra hanno tratto preziosi insegnamenti che condensano anni di sbagli, urla, tentativi, fallimenti e – finalmente – successi. Nascono così le 88 intense storie che trovate qui dentro: tutte personali, rapide da leggere, facili da ricordare. Flash di vita condensati, accorati, veri. Per imparare, riconoscersi, emozionarsi, commuoversi. E ridere fino alle lacrime.

