
"Se Dossetti avesse continuato a fare politica, la DC si sarebbe spezzata". È l'explicit lapidario che Gianni Baget Bozzo appose nel 1977 a una storia iniziata quattro decenni prima e conclusa da tempo. Quando venivano scritte queste parole, Giuseppe Dossetti era ormai un monaco di sessantaquattro anni votato allo studio e alla preghiera. Ma nell'immediato dopoguerra, da laico, fu il protagonista di una stagione di rinnovamento che coinvolse le forze più vive del cattolicesimo politico italiano e il partito in cui cercarono rappresentanza. Sembrava che di quel tentativo si conoscesse ogni singola mossa, ogni retroscena. Non è così. Lo si scopre nel saggio di Fernando Bruno, che ha il merito di guardare all'intera vicenda da un punto di osservazione finora non abbastanza messo a profitto: la rivista "Cronache Sociali" (1947-51), organo politico quindicinale del gruppo dossettiano, ossia della sinistra democristiana nella sua espressione più alta e sognoficativa. Gli articoli di Dossetti, Lazzati, La Pira, Caffè, le grandi inchieste, l'osservatorio interno e internazionale erano modelli di un giornalismo civile, colto e incalzante, dove veniva allo scoperto l'alternativa alla leadership di De Gasperi. Al tatticismo degasperiano risucchiato nella "manovra governativa" e nel "patteggiamento di gabinetto", e sospinto a destra, Dossetti contrappose un'azione "formativa e suscitatrice, in strati sempre più vasti, di uno slancio collettivo vitale".
Alle grandi imprese sconfitte si rende onore soltanto se non le si celebra con il riguardo sepolcrale che le condannerebbe per sempre alla giacitura. Ciò che è irrealizzato attenta ancora - giudice silenzioso delle sorti che gli hanno voltato le spalle - all'ordine che invano cercò di scuotere e ricreare. Ma le sue ragioni perdute si impennano e scaldano gli animi a patto che qualcuno le tragga fuori dai recinti degli specialismi o dei clichés storiografici. Per questo la vicenda dell'Italia preunitaria e il lascito che ci ha trasmesso trovano in Giulio Bollati, editore e studioso, uno degli interpreti più congeniali. L'editore sensibile al minimo sintomo di convergenza tra saperi scientifici e umanistici procede al passo con l'italianista, a cui si deve l'anamnesi acutissima ed empatica del progetto di modernità che tra fine Settecento e metà Ottocento, in un vortice di idealità spesso dissonanti, cercò di aggiornare l'antica, esclusiva primazia italiana nelle lettere e nelle arti, aprendola alla società in mutamento. Spogliata degli orpelli risorgimentisti, sottratta all'abuso della retorica posteriore, la coppia di aggettivi morale e civile mostra qui una pregnanza quasi eversiva, che ambisce a cambiare il corso delle cose. Eversore e oltraggioso, agli occhi dei contemporanei, è il Leopardi antologista della "Crestomazia", che da cinque secoli di prosa italiana "stacca" e "straccia" di furia brani inusitati, insidiando la maestà del Trecento a profitto dell'ingegnoso Galileo...
Cosa può succedere se Ken, il fidanzato di Barbie, viene a sapere che la sua amata bambolina è la causa della deforestazione del Borneo? Succede che una campagna pubblicitaria lo denuncia e la casa produttrice è costretta a cambiare la filiera produttiva. Succede cioè che la vita dell'orango della foresta pluviale e quella dei nostri figli in Europa sono legate tra loro molto di più di quanto si pensi. Poi succede anche che un rapper di un quartiere chic di Seul lancia su YouTube il suo Gangnam Style, e la canzone finisce per essere cantata in dialetto trentino, magari dal pronipote di un irredentista antiasburgico; e succede che un senegalese che vive a Firenze vende un souvenir "etrusco" fatto in Cina a una turista americana. Insomma, è ovvio che l'etnologia e l'antropologia sono completamente da ripensare. Nel nostro mondo globalizzato, nello strano "frittatone planetario" nel quale viviamo, barriere, specificità e contorni sono semplicemente saltati. L'antropologo allora si interroga, cerca nei libri gli insegnamenti dei maestri, ma si vede costretto a rileggerli in chiave diversa, proprio come avviene nella copertina di questo volume, che è un misto di hi-tech e di antropologia ottocentesca (un tantino razzista). In pratica l'antropologia esce dall'università e entra nel mondo, si fa "pop", "antropop", perché è questo il mestiere degli antropologi: interpretare i popoli. E i popoli oggi sono un miscuglio inestricabile.
Gli studi sull'invecchiamento degli organismi viventi si fondano sulla caratteristica più immediata e ineludibile del tempo: tutto ciò che vive prima o poi è destinato a morire. È una delle poche certezze che abbiamo, probabilmente l'unica. Sappiamo anche che la durata della vita non è identica per tutti gli esseri viventi. Negli esseri umani la sua variabilità è altissima, nemmeno lontanamente comparabile con quanto accade negli altri animali, la cui aspettativa di vita pare avere maggiore uniformità. Possiamo imparare molte cose dalla scienza dell'invecchiamento, ed è questo che si propone di fare Jonathan Silvertown in "Mille anni o un giorno appena", spiegando in modo accessibile e coinvolgente i complessi meccanismi biologici che determinano la durata della vita di tutti gli esseri viventi. C'è ad esempio un fungo gigante, nel Michigan, che vive in quel luogo almeno dall'ultima Era glaciale, mentre l'effimera, un insetto dall'aspetto esile ed elegante, deve il suo nome al fatto che vive in tutto mezz'ora. Perché, dunque, alcuni esseri viventi sono tanto più longevi di altri? Studiandoli, possiamo imparare qualcosa riguardo al nostro invecchiamento? Possiamo senz'altro, e molta strada è stata fatta di recente dalla scienza. Nella specie umana la lunghezza della vita si è allungata sensibilmente nell'ultimo secolo: addirittura di quindici minuti per ogni ora che scorre. L'evidenza ci dice che la durata della vita è un fattore mutevole...
Molti libri sul cervello ripropongono troppo spesso acriticamente miti del passato, dandoli per scontati e ignorando che nei laboratori più avanzati da molto tempo il vento è cambiato. Uno di questi miti sostiene che il cervello è diviso in "emisfero destro" e "emisfero sinistro", e che le due metà fanno cose differenti: la parte sinistra è analitica e logica, la parte destra è artistica e intuitiva. Pensiamo di saperlo tutti, lo diamo per scontato, ma non è vero. Si tratta in effetti di una semplificazione grossolana, e se per caso avete appena fatto un test per capire quale delle due metà di voi sia la più sviluppata sappiate che avete solo sprecato del tempo. Ecco allora che Stephen Kosslyn, aiutato da Wayne Miller, ci propone invece un cervello "alto" e un cervello "basso". Sembra una provocazione, e in parte lo è. Il cervello in realtà non si lascia dividere tanto facilmente, ma è vero che contiene aree che fanno cose diverse, il cui sviluppo relativo determina molto di ciò che pensiamo e sentiamo. È questa la "teoria delle modalità cognitive", che viene qui divulgata in maniera estremamente comprensibile. A seconda di quali parti del cervello siano più o meno attive in ciascuno di noi, il libro propone quattro modalità principali di pensiero: la "modalità dinamica",la "modalità percettiva", la "modalità stimolativa" e la "modalità adattiva". A quale delle quattro modalità apparteniamo? Il penultimo capitolo del libro offre un test per scoprirlo.
Siamo a Roma, nel 1946. Dopo le prime elezioni a suffragio universale, i deputati arrivano a Montecitorio. La maggior parte di loro stenta a trovare un alloggio e qualcuno è persino costretto a sedersi alle mense pubbliche. L'austerità dell'onorevole, però, dura un battito di ciglia. Tra consulenze fittizie, appalti truccati, scandali sessuali e finanziamenti statali, i tic e i vizi dei primi parlamentari italiani si rivelano molto presto simili, se non identici, a quelli di oggi. Persino le giustificazioni suonano incredibilmente familiari: "È accaduto a mia insaputa", "ho peccato di buonafede", "non ho visto una lira, ho girato tutti i soldi al partito". Lei non sa chi ero io! è l'implacabile resoconto degli sprechi dei primi vent'anni della Repubblica: una ricostruzione dettagliata della nascita della Casta, corredata da dati in parte inediti, che si concentra sui privilegi del sottobosco governativo, tra aiuti a industrie vicine alla politica, scandali finanziari tollerati dall'esecutivo, tangenti, finti monopoli, enti inutili e fondi neri. E poi ricatti incrociati, dossier segreti e tentativi di revisione della Costituzione a colpi di maggioranza. Un racconto ormai "storico", ma ancora così attuale da sembrare cronaca di questi giorni.
"Appassionato lettore di romanzi d'avventura, avevo sviluppato un romanticismo epico coloniale che mi aveva indotto a unirmi alle formazioni giovanili fasciste di scherma e di equitazione. Questi sport mi aiutarono in seguito, almeno in parte, ad assorbire lo shock delle leggi razziali che posero fine alla mia vita spensierata". Potrebbe essere l'inizio di un romanzo di Joseph Conrad. O di un bel romanzo di formazione. E il libro di Vittorio Dan Segre questo è, tra le altre cose. Ci sono biografie che assomigliano a romanzi. Leggendole si ha l'impressione di ascoltare la voce di un narratore che racconta fatti forse mai avvenuti. Non è il caso di questo racconto di una vita vissuta sotto il segno dell'azione e dell'inquietudine. Nelle sue pagine scorre una moltitudine di personaggi reali, affiorano frammenti di vita pubblica e privata narrati con l'inventiva del consumato romanziere: gli anni dell'adolescenza in Piemonte, la Palestina prima e dopo la nascita dello Stato di Israele, gli affetti e le passioni, la fede, gli intrecci di bene e di male, i successi e i fallimenti. La qualità della scrittura di Segre, la sua lucidità nel ripercorrere un'esistenza che a tratti può apparire disperatamente romantica, la sua capacità di dare consistenza romanzesca agli eventi privati, si spiega forse con la vocazione narrativa della vita stessa dell'autore.
Dopo aver conquistato un largo pubblico con lo stile e la grande capacità comunicativa del suo "Cosa rende felice il tuo cervello (e perché devi fare il contrario)", David DiSalvo ci propone in questo nuovo lavoro un'analisi attenta di come funziona il pensiero e ci fornisce trenta ricette pratiche per vivere meglio. Anche questa volta, infatti, l'autore si basa sulla sua intuizione originale, il science-help, ovvero quell'insieme di nozioni solidamente acquisite dalla ricerca scientifica, sulla base delle quali è effettivamente possibile migliorare se stessi. Non è più tempo di ricette di self-help prive di fondamento, ammonisce DiSalvo, né di guru dal curriculum equivoco: le neuroscienze sono in grado al giorno d'oggi di spiegare davvero come funziona il cervello, e sulla base di quelle conoscenze possiamo agire per migliorarci e, in definitiva, per vivere meglio. Usando esempi tratti dalla vita di ogni giorno, in ogni ambito possibile, dalle relazioni sociali alla carriera, dalla salute fisica allo sviluppo personale, DiSalvo dimostra come l'enorme capacità adattativa del cervello sia il fattore cruciale sul quale si può fare leva; un potente strumento che possiamo tenere sotto controllo per dare una svolta alle nostre vite. Ormai sappiamo che la mente agisce attraverso continui cicli di feedback, generati da un cervello che si è evoluto nel corso di milioni e milioni di anni.
A un certo punto negli gli ultimi 100.000 anni gli esseri umani hanno cominciato a mostrare caratteristiche e comportamenti particolari, molto diversi rispetto a quelli degli altri animali. In breve tempo i nostri antenati hanno iniziato a sviluppare "strane" abilità, come il linguaggio, l'arte, la religione e poi le biciclette, le astronavi e le armi nucleari. Da dove sono venuti questi cambiamenti? Qual è il nostro posto all'interno del mondo naturale? Gli uomini sono diversi dagli animali, ma allo stesso tempo sappiamo bene che sono animali. E dunque in cosa consiste questa differenza, per noi tanto importante? Per rispondere a questa domanda, il grande naturalista e premio Pulitzer Jared Diamond aveva scritto "Il terzo scimpanzé. Ascesa e caduta del primate homo sapiens", che è diventato un classico, un capolavoro di chiarezza espositiva e di serietà metodologica e scientifica. "L'evoluzione dell'animale umano" riprende quel libro e lo ripropone a un pubblico giovane; è un concentrato di sole 250 pagine, scritte in un linguaggio perfettamente accessibile, che ripercorre le ricerche del libro originale, le aggiorna ai dati degli ultimi anni e le rende immediatamente comprensibili anche a chi sia completamente digiuno di conoscenze scientifiche.
La tanto decantata "democrazia digitale" si situa appena un passo prima della dittatura degli stupidi e dei creduloni. Serve un antidoto, ed è con questo libro che Charles Seife ci viene in soccorso. Non è che prima di internet gli uomini non mentissero, anzi, però internet ha dato ai mentitori uno strumento fantastico e potente per esercitare liberamente la loro paziente opera distruttiva. Sia chiaro: internet è uno strumento straordinario. Grazie al Web oggi siamo in grado di fare cose che fino a pochi anni fa sembravano semplicemente impensabili. Ma, nel bene e nel male, internet è anche una gigantesca cassa di risonanza, nuova di zecca e potenzialmente devastante, che può essere facilmente usata dai malintenzionati. E loro la usano, eccome! Oggi è più che mai necessario capire come può essere usata l'informazione digitale: riconoscendo i segni delle manipolazioni della Rete si può capire come (e perché) la gente sfrutti le proprietà di questo strumento per cercare di alterare la nostra percezione della realtà. Ben venga allora questa guida per gli scettici, un manuale per chi desidera comprendere con chiarezza in che modo la sfera digitale stia influenzando tutti noi. Viviamo in un mondo dove il reale e il virtuale non possono più essere del tutto separati, tanto che a volte c'è ben poca differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Ma non è un gioco indolore: questa "irrealtà virtuale" ha conseguenze che possono essere alquanto spiacevoli.
Non possiamo vedere la psiche come vediamo i corpi. Eppure non c'è nulla di più reale della nostra componente immateriale. Sono tangibili le azioni che produce, intense le passioni che smuove, laceranti e distruttive le sofferenze che genera, tenendo in ostaggio la vita. Questo pulsare di energia psichica non avviene nel vuoto, ma nella società e nella storia. Mentre la frattura ossea di un europeo di oggi è simile a quella di un antico egizio o di un indio precolombiano, una lesione della psiche è del tutto diversa. Per larga parte della vicenda umana è prevalsa una condizione partecipativa, fusionale, in cui - con l'aiuto di cerimonie collettive e di convinzioni profonde - i contenuti psichici inconsci venivano proiettati nel mondo circostante. La modernità invece, attraverso l'eclisse del sacro e l'espansione della coscienza, fa tornare lentamente le proiezioni nell'individuo. Uno spostamento titanico, previsto sia da Freud sia da Jung, che esalta la libertà personale, ma crea una nuova fragilità: rende solitarie le emozioni e alimenta le patologie della psiche postsociale. Luigi Zoja, tra i maggiori analisti junghiani, osserva da vicino queste dinamiche, sciogliendo diversi equivoci. A cominciare dallo statuto della psicoanalisi, non assimilabile alle scienze naturali e al modello medico di cura come ripristino di uno stato preesistente.
Il variegato arcipelago della psicoterapia è forse una delle arene più litigiose nel consesso delle scienze umane. In poche discipline come in quella psicoterapeutica si è assistito nel tempo a una progressiva parcellizzazione delle scuole in sottoscuole e varianti di sottoscuole: una polverizzazione di idee e teorie che ha avuto come risultato una specie di anarchia terapeutica, nella quale ogni analista si richiama al proprio micromodello di riferimento e alza steccati nei confronti dei modelli alternativi. Alle due scuole analitiche storiche - la psicoanalisi discendente da Freud e l'analisi psicologica derivante da Jung - si sono aggiunte ormai biblioteche intere di discussioni e scomuniche reciproche, lotte cruente ricche di gelosie e rivalità. In questo contesto sono nate molte visioni alternative, che sono oggi saldamente presenti nell'offerta terapeutica sul territorio. Perché una cosa è senz'altro vera: molti sentono il bisogno di un aiuto psicologico e moltissimi ne hanno assoluta necessità, essendo prigionieri di malesseri e vere e proprie patologie che impediscono loro di vivere una vita normale e di rapportarsi col mondo in modo soddisfacente. C'è gente che soffre: si tratta di capire come fare ad aiutarla. Dall'epoca di Freud e Jung il tempo non è passato invano.