
In un'epoca in cui le autostrade dell'informazione attraversano il pianeta, le sofferenze degli altri, trasmesse in una forma vivida e facilmente leggibile, sono disponibili all'istante quasi ovunque. La cosa ha conseguenze che pongono due dilemmi etici. In primo luogo, «essere spettatori» non è più la condizione eccezionale di poche persone perché tutti siamo testimoni dell'afflizione, del dolore e della sofferenza. In secondo luogo, abbiamo tutti bisogno di discolparci e di giustificarci. E tutti, o quasi tutti, ci troviamo a dover ricorrere, una volta o l'altra, all'espediente della negazione della colpa.
"Accendere la passione per la lettura è un processo misterioso. Non ci sono regole e non si danno istruzioni per l'uso. È in gioco la motivazione. Il docente appicca un fuoco destinato a bruciare in modo autonomo. Non è solo un docente. Casualmente, come accade, è un piromane". Quando Stendhal scopre che del suo libro De l'amour, dopo anni dalla pubblicazione, si sono vendute solo tre copie si fa dare dal libraio l'indirizzo dei tre compratori e vuole conoscerli di persona per chiedere loro un giudizio su quelle pagine. Oggi anche gli scrittori dispongono di profili Facebook e i lettori hanno dimestichezza con i mezzi di comunicazione elettronicamente assistiti, che velocizzano ogni ricerca, ma ridimensionano la funzione che la pagina scritta ha sempre esercitato: il raccoglimento interiore e la conoscenza di sé. Il pamphlet di Franco Ferrarotti riassume i rischi individuali e sociali del tramonto della "civiltà della carta" e critica la pervasività del digitale. "Non credo, come molti dicono, che si tratti solo di usare bene Internet. Usato bene o male, questo straordinario strumento ha effetti collaterali inevitabili: schiaccia sul presente, non consente il ritorno critico su di sé e sulle proprie esperienze passate, attenua il vincolo logico nella costruzione delle proposizioni, privilegiando l'affastellamento dei temi su un piano orizzontale".
A Siviglia, negli anni dell'Inquisizione spagnola, mentre gli eretici vengono consegnati al rogo, Cristo ritorna e cammina per le strade della città. Per ordine del cardinale Grande Inquisitore viene arrestato e l'ascetico ministro della Chiesa gli rivolge un durissimo atto di accusa. L'efficacia persuasiva della leggenda di Dostoevskij non sta solo nel paradossale travisamento del materiale biblico, evangelico e apocalittico. Il suo fascino è nella forza retorica con cui sono esposte le ragioni della pienezza contro la purezza, della responsabilità contro la convinzione, della Chiesa contro la setta, del corpo contro lo spirito.
L'8 dicembre 1965, a conclusione del concilio Vaticano II, Paolo VI aveva donato a tutti i partecipanti una pregiata edizione della Divina Commedia. E il giorno precedente aveva firmato una lettera apostolica - Il signore dell'altissimo canto - per il VII centenario della nascita di Dante Alighieri, definito "l'astro più fulgido" della letteratura italiana. "L'armoniosa lira di Dante - scriveva il papa - risuona di mirabili tocchi, sovrana per la grandezza dei temi trattati, per la purezza dell'ispirazione, per il vigore congiunto e squisita eleganza". La lettera di papa Montini si inseriva nel solco tracciato da Benedetto XV con l'enciclica "In Preclara Summorum", promulgata nel 1921 in occasione del VI centenario della morte di Dante, "il cantore e l'araldo più eloquente del pensiero cristiano".
«Il pettegolo ha i tratti del potente, del legislatore e del giudice. Si erge a custode dei valori della propria comunità, e la riuscita in tale impresa è fonte somma del suo piacere». Per la sua capacità di includere e di escludere, oltre che di stabilire nei dettagli le regole dei giochi sociali, il pettegolezzo non risparmia nessuno ed è connaturato all'esercizio del potere. Diffuso in modo estremamente maggiore rispetto alle comunicazioni reali o ufficiali - e oggi amplificato dai social media - esso diviene strategia per comprendere posizionamento e legami dei singoli rispetto alle figure di leader emergenti. Anche la Chiesa non è esente dal pettegolezzo, come testimoniano ieri le Lettere di san Paolo e oggi le severe critiche di papa Francesco rivolte ai brusii e alle voci che uccidono «il fratello e la sorella con la lingua.»
Una riflessione appassionata sulla relazione intima, ma non trasparente, tra il desiderio fin troppo umano di essere consolati e l'aspirazione a una giustizia universale. Passione per la giustizia, senso di fratellanza, gusto per la disputa intellettuale, doni inestimabili della tradizione, apertura al mistero, concentrazione nella preghiera, forza evocativa del rito, speranza. Tutto ciò non basta forse per spiegare la conversione all'ebraismo di Martha Nussbaum, ma costituisce uno sfondo essenziale per apprezzare integralmente il discorso da lei pronunciato in occasione del suo tardivo bat mitzvah - qui proposto per la prima volta in italiano - che è allo stesso tempo una testimonianza personale toccante e un esempio eloquente delle trasformazioni della sensibilità religiosa nel crepuscolo dell'età secolare. Sviluppando spunti teorici presenti sia nel testo biblico sia nell'opera di maestri del pensiero come Maimonide, Moses Mendelssohn e Rousseau, Nussbaum difende l'idea secondo cui «possiamo avere una consolazione autentica del sé, solo se ci impegniamo a favore di una vita dedita alla giustizia universale».
La discussione pubblica italiana rischia di partire da una somma di percezioni clamorosamente sbagliate. Una distanza rispetto alla realtà che può fare comodo alla politica per cavalcare gli allarmi sociali ai fini del consenso. E ai media per aumentare l'audience. Un'indagine condotta in 33 Paesi su un campione di oltre 25 mila individui consente di misurare le percezioni dei cittadini su aspetti sociali, demografici ed economici. Dal numero degli immigrati a quello dei giovani adulti che ancora vivono con i genitori. Dall'occupazione all'obesità. Dalla presenza delle donne in politica agli accessi a internet. Dalla ricchezza all'andamento demografico. Dal sentimento religioso alla vita in campagna. Le discrepanze tra percezione e realtà consentono di creare un "indice di ignoranza" che classifica i Paesi dal meno al più informato.
In diverse occasioni, soprattutto nelle Lettere morali a Lucilio, Seneca fornisce dettagli sulla sua vita privata e sulle sue abitudini alimentari. Se i suoi contemporanei prediligono tavole imbandite con ostriche di lago e carne di cinghiale, lingue di fenicottero e vini addolciti dal miele, il filosofo opta per la frugalità di brodini e polenta, pane d'orzo e acqua semplice. Seneca ritiene, infatti, che il cibo rappresenti un'occasione per esercitare la virtù, per separare ciò che è essenziale da ciò che non lo è, un esercizio che presenta diversi punti di contatto con i precetti sui cibi della tradizione ascetica e monastica cristiana.
Alzi la mano chi ha davvero amato il capitolo finale delle Avventure di Pinocchio, dove il protagonista – dopo essere stato vegetale (legno) e animale (ciuchino) – diventa «un bambino per bene» in carne e ossa. Dopo un intero racconto di marachelle e avventure, il finale si spegne in modo moralistico e sciapo. Ma Collodi intendeva davvero questo? Oppure nella sua scrittura c’è qualche indizio che ci porta a pensare ad una burla dell’autore nei confronti dei lettori?
Note sull'autore Daniela Marcheschi, docente e studiosa di letteratura italiana e scandinava, ha curato i «Meridiani» Mondadori delle opere di Carlo Collodi, di cui dirige l’Edizione nazionale. È autrice di saggi tradotti in molte lingue.
Dopo un lungo silenzio, alimentato da un sentimento di antistatalismo e da un ambiguo cristianesimo municipale impastoiato nelle parentele, la Chiesa ha iniziato ad affrontare il problema delle mafie solo negli anni delle stragi e degli omicidi eccellenti, come quelli di don Pino Puglisi, don Peppe Diana e Rosario Livatino. Tuttavia, il modo in cui l'ha fatto è stato condizionato dalla retorica «sicilianistica» e dall'appiattimento sul linguaggio tecnico dei magistrati, dei funzionari di Polizia e dei giornalisti. Ciò che è mancato è stato un lessico specifico, ricco delle parole del vangelo e della tradizione cristiana. E per questo, alla fine, il discorso è suonato più descrittivo che profetico. Oggi invece «serve un nuovo umanesimo mediterraneo alternativo alla disumanità mafiosa».
Jean-Luc Nancy esplora il mistero della poesia, la singolarissima dinamica attraverso cui, nel tessuto difficile del testo, si da un accesso al senso. Di fronte alla pretesa scientifica di un'illuminata approssimazione al vero, di fronte la conversazione infinita della filosofia, la filosofia resiste alla dismisura del discorso. Il poetico è allora la possibilità della lingua di dire in modo esatto, di custodire il senso sulla soglia del silenzio. Per questo la poesia è così necessaria in un'epoca che si scopre, più di altre, esposta alla chiacchiera. In questo ree saggio e nel dialogo con il poeta Perre Alferi, figlio del filosofo Jacques Derrida - testi entrambe tradotti per la prima volta in italiano - Nancy si interroga su cosa sia il poetico e sui motivi della sua caparbia resistenza nel discorso umano.
Esiste un modo per utilizzare le opportunità della Rete senza rinunciare ai rapporti diretti e dover scegliere tra una stretta di mano e un tasto del computer? Per non ridurre la nostra vita a un continuo selfie dei vari momenti della giornata da «postare» in un social? Ci capita sempre più spesso di pagare senza vedere il denaro, di sottoscrivere contratti senza avere davanti un interlocutore, di organizzare viaggi online, di creare palinsesti televisivi personalizzati. Abbiamo a disposizione sconfinati territori informativi e relazionali, come se il mondo fosse sempre in diretta per noi. I nuovi mezzi di comunicazione hanno conquistato la nostra vita, ne scandiscono i ritmi, sono i custodi delle chiavi dei nostri spazi e del nostro tempo. Ma tutto avviene a distanza, senza contatti, se non virtuali, e sperimentiamo il graduale affievolirsi della conversazione faccia a faccia, a favore di una comunicazione che ci consente di evitare la vicinanza, l'espressione, lo sguardo, il respiro, le reazioni, le emozioni, il volto dei nostri interlocutori.

