
Nell’accesa discussione sui rapporti tra mondo islamico e Occidente, questo saggio di Roger Scruton propone una tesi che coglie con immediatezza alcuni aspetti innegabili della questione. Alla radice delle attuali difficoltà nelle relazioni tra islam e Occidente stanno differenze costitutive intorno alla concezione dell’ordine politico. Nella tradizione occidentale esso è fondato sulla laicità, sul concetto di contratto sociale, sull’idea di cittadinanza. Nel mondo musulmano, al contrario, a legittimare la politica è il richiamo - o addirittura l’adesione - alla tradizione coranica.
Questa netta divergenza non rappresenta certo una novità. Ma la globalizzazione, che diffonde nelle nazioni islamiche immagini, prodotti e figure delle democrazie liberali secolarizzate, radicalizza tale opposizione, provocando effetti deflagranti e scontri violenti. D’altro canto, il credo islamico garantisce ai suoi membri la certezza dell’appartenenza comunitaria a una fede, mettendo in luce, per contrasto, la debolezza dei legami sociali in Occidente, frutto di una concezione esasperatamente individualistica della libertà.
Convinto della validità della tradizione liberale democratica, e delle forme di organizzazione sociale e politica da essa alimentate, Scruton ci offre una riflessione estremamente lucida che arricchisce il dibattito sull’incontro/scontro tra le civiltà, che troppo spesso sembra cedere a stereotipi e luoghi comuni, anziché privilegiare un’analisi argomentata e scevra da pregiudizi.
Filosofo, scrittore e giornalista, Roger Scruton è stato professore al Birkbeck College di Londra e all’Università di Boston. Tra le sue molte pubblicazioni: Thinkers of the New Left (London 1985); A Land Held Hostage: Lebanon and the West (London 1987); An Intelligent Person’s Guide to Modern Culture (trad. it. Guida filosofica per tipi intelligenti, Milano 1997); Modern Philosophy: An Introduction and Survey (trad. it. La filosofia moderna. Un compendio per temi, Firenze 1998); Spinoza (trad. it. Milano 1998).
L’empatia è esperienza ricorrente nella vita quotidiana e il sapere spontaneo ne comprende in qualche modo i tratti caratterizzanti. Dalla riflessione delle discipline psicologiche ne emerge già l’importanza pedagogica: la valenza educativa della conoscenza empatica, ma anche il significato empatico di ogni rapporto educativo.
L’autore, proponendo una pedagogia fondamentale di stile fenomenologico ed ermeneutico, istituisce l’empatia come categoria pedagogica. Analizzandone le intenzionalità costitutive, la riflessione fenomenologica perviene alla definizione di «interiorità personale oggettiva» e consente d’interpretarla come virtù educativa per eccellenza. Essa forma infatti tanto la qualità dell’educatore quanto la dote che l’educando acquisisce, imparando a rapportarsi all’altro da sé (al tu) e all’altro di sé (il proprio autentico poter essere).
Approfondendo questi risultati in una prospettiva poietico-pratica, la riflessione ermeneutica intende la relazione educativa empatica come narrazione autobiografica sotto forma dialogica, che è opera della veracità del sé concreto e insieme esegesi veritativa del sé autentico. A un primo livello, la comunicazione educativa è studiata in quanto sistema dialogale, che assume una singolare configurazione in virtù del codice empatico. A un secondo livello, è interpretata quale caratteristica figura dell’esistenza, modo d’essere e d’abitare un mondo, secondo uno stile amicale e solidale. Il concetto di ermeneutica del cuore porta forse a sintesi questa riflessione, costantemente rivolta alla comprensione del contenuto fondamentale e del metodo di un lavoro educativo, che può svolgersi in «microcomunità empatiche»: segnate da un clima emotivamente caldo, da un tono morale elevato e da un’istanza veritativa contemplante, esse dispongono ad accogliere e a custodire l’universo personale dell’altro.
Si profila, da ultimo, una proposta pedagogica particolarmente attuale nelle società occidentali della tarda modernità, caratterizzate piuttosto da «disincontri»: un’assenza della persona a se stessa, che genera sottoalimentazione emotiva e un diffuso, opaco senso d’indifferenza.
Antonio Bellingreri è professore ordinario di Pedagogia generale all’Università degli Studi di Palermo.
Si può combattere il terrorismo con il terrore, o la violenza con altra violenza? È giusto? È efficace? E qual è il prezzo da pagare? Sono interrogativi oggi più che mai urgenti. Michael Ignatieff li affronta con determinazione, autorevolezza e con un raro, equilibrato connubio di idealismo, conoscenza storica e saggezza politica. Il risultato è un’opera notevole, un’analisi dalle molte sfaccettature, il cui ampio respiro consente di accostare il delicato tema della lotta al terrorismo rimuovendo ogni rischio di banalizzazione.
Certo, argomenta Ignatieff, di fronte a un’incombente minaccia, si può essere indotti a pensare che l'unica arma per sconfiggerla sia la violenza e che, pur di garantire la sicurezza, si possano sacrificare le fondamentali libertà civili. Ma l’uso indiscriminato della forza ci mette sullo stesso piano dei nemici che moralmente disprezziamo. Ecco perché la vera sfida, a cui rispondere con coraggio, è vincere la guerra contro il terrore senza venire meno ai valori distintivi della democrazia.
Osservando e mettendo a confronto diverse situazioni di ‘emergenza terroristica’ nella storia degli ultimi centocinquant’anni (dai nichilisti della Russia zarista alle milizie della Germania di Weimar, dagli attentati dell’IRA a quelli senza precedenti di Al Qaeda), Ignatieff dimostra come l'impiego della forza, pure indispensabile in situazioni estreme, sia efficace solo quando è controllato. Ma soprattutto, egli sostiene, non dobbiamo nasconderci che non sempre ciò che si compie in nome della democrazia e della libertà è di per sé buono. Uccidere per contrastare un grave pericolo può essere necessario, ma si tratta comunque della scelta del ‘male minore’. È invece proprio l’etica politica, che con le sue regole impone di contenere l'uso della forza, a offrire alla democrazia, in ultima analisi, l'arma più efficace, l’unica davvero in grado di garantirne la sopravvivenza in un’epoca di terrore: il potere morale che le consente di resistere e perdurare oltre l'odio e la vendetta.
Michael Ignatieff è direttore del Carr Center for Human Rights Policy alla Kennedy School of Government dell’Università di Harvard, storico e autorevole commentatore politico nel campo degli affari internazionali. I suoi articoli compaiono regolarmente sulle pagine di «Repubblica» e diverse sue opere sono state tradotte e pubblicate in Italia. Tra queste: I bisogni degli altri: saggio sull’arte di essere uomini tra individualismo e solidarietà (Bologna 1986); Album russo. Una saga familiare tra rivoluzione, guerra civile ed esilio (Bologna 1993); Isaiah Berlin. Ironia e libertà (Roma 2000); Impero light. Dalla periferia al centro del nuovo ordine mondiale (Roma 2003); Una ragionevole apologia dei diritti umani (Milano 2003).
Aprirsi all’innovazione è un tratto qualificante del docente che, facendo tesoro delle proprie risorse, aggiunge alle metodologie già collaudate nuove prassi, per rendere sempre più efficaci e fruttuosi gli interventi di insegnamento-apprendimento.
Ciò vale, a maggior ragione, quando si opera in contesti peculiari, come quello dell’ospedale, e con studenti che vivono singolari condizioni psico-fisiche. L’impiego dello strumento tecnologico e dell’e-Learning rappresenta allora un concreto mezzo per superare barriere di spazio e tempo e supportare la progettualità didattica.
Questo libro presenta l’analisi e le riflessioni di due docenti che, esperita la FaD (Formazione a Distanza) e vissuta la realtà della scuola superiore in ospedale, ne considerano le problematiche e i tratti pedagogico-didattici più significativi, per condividere con colleghi, anche di altri ordini di scuola, la fruibilità delle proprie esperienze.
Virginia Alberti, laureata in Matematica, è docente della disciplina presso un istituto secondario superiore di Brescia; ha svolto anche il ruolo di docente della scuola superiore in ospedale presso gli Spedali Civili. Ha realizzato attività di tutoring in e-Learning e formazione degli studenti e dei docenti relazionando in convegni sul tema.
Alessandra Bertelli, laureata in Pedagogia, è docente di Lettere presso un istituto secondario superiore di Brescia; ha assunto anche il ruolo di docente nella scuola superiore in ospedale presso gli Spedali Civili. Ha svolto relazioni in convegni sull’e-Learning, attività pubblicistica e formativa dei docenti.
Il concetto di ‘legittimità’ ricorre spesso nel vocabolario dei professionisti delle relazioni internazionali. E la questione della legittimità, a lungo dibattuta dalle opinioni pubbliche di tutto il mondo, è oggi più che mai oggetto di controversie legate a episodi della storia recente, come le guerre in Kosovo e in Iraq o la lotta al terrorismo dopo i fatti dell’11 settembre. Eppure, nonostante la rilevanza del concetto, la disciplina delle relazioni internazionali se n’è interessata assai poco. Questo libro di Ian Clark, il secondo di una trilogia che l’autore dedica al tema della legittimità, si distingue proprio perché propone un approccio solido e sistematico al tema all’interno delle relazioni internazionali, tenendo come punto di riferimento l’idea che lo sviluppo dei principi di legittimità stia al cuore di ciò che si intende per società internazionale.
La prima parte del testo traccia l’evoluzione storica della pratica della legittimità in diversi contesti, dall’età delle scoperte geografiche, sul finire del XV secolo, ai grandi trattati di pace della storia moderna. La seconda parte propone invece un’incisiva analisi della legittimità nella società internazionale contemporanea.
La conclusione cui ci conduce Clark è che la legittimità è un concetto complesso, che difficilmente si fa ridurre alla semplice applicazione di altre norme, quali la legalità o la moralità. È piuttosto una condizione estrinsecamente politica, resa più o meno attuabile dalla situazione politica generale della società internazionale.
Ian Clark è professore di Politica internazionale presso l’Aberystwyth University nel Galles, che vanta la più antica cattedra di Relazioni internazionali, istituita dopo la fine della prima guerra mondiale. Membro della British Academy, rivolge i suoi interessi di ricerca ai temi della legittimità, dell’egemonia, della teoria delle relazioni internazionali. Ha pubblicato, tra l’altro, Globalization and Fragmentation: International Relations in Twentieth Century (1997; trad. it. Globalizzazione e frammentazione: le relazioni internazionali nel XX secolo, 2001), Globalization and International Relations Theory (1999), The Post-Cold War Order: The Spoils of Peace (2001), International Legitimacy and World Society (2007).
Questo volume affronta il delicato tema del disagio in classe alla luce di un’indagine, svolta in Lombardia fra il novembre 2004 e il maggio 2005, incentrata sulla percezione del problema e la formazione degli insegnanti. L’impianto euristico articola piani d’analisi complementari: l’acquisizione di informazioni utili ai fini di un’efficace progettazione di percorsi formativi sul disagio, l’analisi delle attese e dei bisogni espressi dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici riguardo al variegato panorama delle attività formative, la problematizzazione del rapporto tra professionalità docente e formazione. L’analisi sviluppata fornisce elementi che concorrono a comporre e ad articolare un’ipotesi interpretativa ampia, riguardante gli snodi sia epistemologici sia strategico-progettuali della formazione, in una prospettiva di sviluppo delle professionalità della scuola.
Le considerazioni maturate aiutano a corroborare e a specificare l’assunto fondamentale – suffragato dalla riflessione scientifica e richiamato dall’esame critico dell’esperienza – della corresponsabilità di tutti gli interlocutori implicati in un percorso formativo. Così si può dire riguardo allo sviluppo continuo delle professionalità della scuola, nella circolarità fra teoria e pratica, azione e formazione. Si delinea dunque un’idea di formazione intesa non come supporto, ma piuttosto come dimensione qualificante della professionalità nel suo quotidiano esercizio e sviluppo.
Renata Viganò è professore ordinario di Pedagogia all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Tra le sue pubblicazioni: Psicologia ed educazione in L. Kohlberg (Vita e Pensiero, Milano 1998); Metodi quantitativi nella ricerca educativa (Vita e Pensiero, Milano 1999); Pedagogia e sperimentazione (Vita e Pensiero, Milano 2002); Professionalità pedagogica e ricerca (Vita e Pensiero, Milano 2003).
Per cogliere i meccanismi evolutivi del sistema formativo italiano gli studiosi hanno impiegato paradigmi interpretativi di lungo periodo e contributi offerti dalla microstoria, attraverso lo studio di singole istituzioni educative. I due versanti storiografici si intrecciano nel presente lavoro che vuole essere, da un lato, uno studio sul processo di alfabetizzazione e formazione dei ceti popolari in Italia dopo l’Unità, dall’altro una verifica ‘sul campo’ di quanto le istituzioni nazionali hanno prodotto in ambito scolastico in una porzione ristretta di territorio. Nel periodo storico esaminato la scuola non rappresentò solo il luogo della trasmissione del sapere, perché proprio tra i banchi e nelle aule si giocò la partita della costruzione dell’identità nazionale, particolarmente avvertita dalla classe dirigente locale. Questo libro presenta i risultati di una ricerca che, intesa inizialmente come studio delle pratiche didattiche nella scuola elementare tra Otto e Novecento, si è estesa fino a diventare una storia sociale e della formazione nella città di Brescia (politiche assistenziali, forme di animazione giovanile, istituzioni educative per l’infanzia e i lavoratori). Attraverso l’impiego di una documentazione inedita, Fabio Pruneri dà voce agli attori di questo processo: gli amministratori, gli educatori, i maestri, nella loro quotidiana lotta all’ignoranza.
Fabio Pruneri (Treviglio, 1967) è professore di Storia dell’educazione presso l’Università degli Studi di Sassari. Tra le sue pubblicazioni: La politica scolastica del Partito Comunista Italiano dalle origini al 1955 (Brescia 1999) e Il cerchio e l’ellisse. Centralismo e autonomia nella storia della scuola dal XIX al XXI secolo (a cura di, Roma 2005).
Qual è la forza dei legami sociali nella politica tra gli Stati? Esiste una cultura capace di definire le regole della politica internazionale? Alexander Wendt, capofila della scuola costruttivista delle Relazioni Internazionali, offre in questo libro un’analisi sistematica del ruolo delle idee nei rapporti tra gli Stati, esprimendo la convinzione che anche la dimensione anarchica della politica internazionale – spesso pensata sul modello dello ‘stato di natura’ – rappresenti in realtà un prodotto o una ‘costruzione sociale’.
Muovendo da una piena recezione del dibattito sociologico contemporaneo, Wendt sottopone a una serrata critica i concetti di sistema, struttura e società elaborati dalla tradizione della teoria internazionale, per poi procedere a un radicale ripensamento della funzione dell’identità, delle idee e delle norme nella politica mondiale. Questi elementi, egli afferma, non svolgono solo una funzione regolativa, per guidare il flusso della potenza e degli interessi entro canali etici e giuridici che spesso si rivelano fragili e insufficienti. Le idee e le norme svolgono soprattutto una funzione costitutiva, sono cioè capaci di determinare la finalità, gli strumenti e la natura del gioco – conflittuale, competitivo o collaborativo – cui gli Stati danno vita. Idee e interessi, cultura e potenza non rappresentano dunque i due poli di una contraddizione dialettica, ma sono parte integrante delle regole strutturali di un sistema di rapporti sociali che tra i suoi attori può comprendere anche, ma non soltanto, degli Stati sovrani.
A ogni struttura internazionale corrisponde allora una cultura internazionale, come dimostra la storia del sistema degli Stati occidentali, che si dibatte tra i corsi e i ricorsi di tre fondamentali culture dell’anarchia: hobbesiana, lockiana e kantiana, le cui caratteristiche possono essere riassunte con i tre termini di inimicizia («uccidi o sarai ucciso»), rivalità («vivi e lascia vivere»), amicizia («uno per tutti e tutti per uno»).
Il destino di un sistema internazionale, conclude Wendt, deve sempre e necessariamente fare i conti con i principi e i valori che formano l’identità e ispirano le azioni degli Stati che lo compongono.
Alexander Wendt (1958), considerato il maggior esponente della scuola costruttivista delle Relazioni Internazionali negli Stati Uniti, insegna International Security presso l’Ohio State University. Il suo libro Social Theory of International Politics, che qui presentiamo in traduzione italiana, ha vinto nel 2006 il premio “Best Book of the Decade” assegnato dall’International Studies Association.
Il ruolo degli insegnanti in una società in trasformazione è incerto; le dinamiche di mutamento delle istituzioni sociali e le difficoltà del compito educativo pervadono anche la scuola. Agli insegnanti sono rivolte molteplici richieste, in ordine sia all’istruzione sia all’educazione degli studenti, le quali presentano tuttavia ambiguità e ingenerano rischi di frammentazione e incoerenza. Da tale complessità, acuita dalla pluralità delle opinioni sociali e delle riflessioni, consegue indeterminatezza circa la definizione dell’insegnante come professionista. Con riferimento a tale scenario, questo libro esamina il contesto contemporaneo e delinea l’ipotesi che l’identità professionale degli insegnanti sia una struttura unitaria e complessa, progettuale e di matrice pedagogica. La professionalità del docente è indagata muovendo da prospettive diversificate che integrano le acquisizioni della riflessione teorica, i fondamenti epistemologici e i percorsi di ricerca empirica, nonché i risultati di un’indagine sugli insegnanti in Lombardia. L’identità professionale docente risulta un costrutto articolato, mutevole nel tempo e secondo le esperienze, la formazione, lo sviluppo personale, il contesto; si costituisce attorno a un nucleo forte, individuabile nell’intenzionalità educativa, in virtù di un processo di crescita originale e riflessivo. Il rapporto tra identità professionale dell’insegnante e progettualità è fondamentale: l’insegnamento è in sé una professionalità progettuale e la molteplicità dei modelli di riferimento rende necessaria al docente la costante progettazione della propria identità professionale. Riflettere sull’identità, oltre che sugli aspetti strumentali della professione, è una risorsa strategica per l’insegnante poiché solo un’identità forte e ben strutturata può affrontare le incertezze di un sistema in continua evoluzione.
Cristina Lisimberti è dottore di ricerca in Pedagogia. Ha svolto attività di ricerca sui temi della formazione, dell’identità professionale degli insegnanti e della progettazione. Svolge attività didattica nell’ambito della metodologia della ricerca e della metodologia della progettazione in campo formativo.
Culla di civiltà e crogiolo di culture, il Mediterraneo ha da sempre costituito un’arena di incontro e il luogo di genesi di processi storico-politici in grado di influenzare lo sviluppo di Oriente e Occidente. Oggi più che mai quest’area è tornata a essere uno dei grandi ‘scacchieri’ delle relazioni internazionali contemporanee. Il Mediterraneo sta vivendo un processo di ridefinizione strategica il cui risultato non è ancora chiaro; e questo proprio nel momento in cui, anche alla luce dei mutamenti nel contesto internazionale del ‘dopo 11 settembre’, diventa sempre più un crocevia in cui i principali attori della politica mondiale definiscono interessi, identità e politiche. Questo volume muove dall’assunto che sia utile analizzare la politica internazionale del Mediterraneo alla luce dei due grandi progetti politici di ridefinizione dello spazio mediterraneo oggi sul tavolo: da un lato, l’idea europea di una regione Euro-mediterranea e, dall’altro, l’idea statunitense di un Grande Medio Oriente. Gli autori dei saggi – accreditati specialisti arabi, europei e americani di relazioni internazionali – esprimono la propria analisi in maniera audace e allo stesso tempo scevra da eccessivi tecnicismi accademici, con l’obiettivo di produrre un quadro che possa essere di forte stimolo al dibattito intellettuale e politico sul futuro del Mediterraneo in un momento in cui questo tema assume sempre più rilevanza non solo nell’agenda politica internazionale, ma anche in quella nazionale.
Gli autori
Elisabetta Brighi insegna Politiche estere comparate all’Università Cattolica di Milano ed è stata Junior Research Fellow di Relazioni internazionali all’Exeter College, Università di Oxford. Ha curato il libro Pragmatism in International Relations (2008). Fabio Petito insegna Relazioni internazionali all’Università di Sussex e all’Università di Napoli ‘L’Orientale’. Ha curato Ritorno dall’esilio: la religione nelle relazioni internazionali (2006) e Civilizational Dialogue and World Order (2009).
L’analisi delle tendenze e della specificità dell’immigrazione straniera in Italia e in Europa (ma non solo) costituisce il contesto storico e socio-culturale di questo volume, che approfondisce il tema della pedagogia in chiave interculturale. Nella vastità degli ambiti di indagine che risultano coinvolti nella ricerca pedagogica di stampo interculturale, sono qui trattati, in particolare, argomenti di carattere axiologico, sociale ed epistemologico. Si indaga la categoria dell’identità, ma si approfondiscono anche quelle della diversità (da intendersi come precipua caratteristica antropologica che, lungi dall’essere mortificata, abbisogna d’interventi atti ad esaltarla in ambiti d’integrazione umana), dell’incontro, del confronto, del dialogo con l’altro da sé. Per apprendere a convivere e a interagire con l’altro, può essere di grande aiuto lasciarsi guidare dall’ideale regolativo del bene comune, inseparabile dalla ricerca del bene personale. Il perseguimento del bene comune implica l’essere uniti da un progetto esistenziale accomunante, così come il rispetto e la garanzia dei diritti/doveri inalienabili di ciascuna persona.
Fabrizio Pizzi è dottore di ricerca in Teoria e storia dei processi formativi presso l’Università degli Studi di Cassino. Ha pubblicato, tra l’altro, Le ragioni dei processi migratori, in AA.VV., Ricerche pedagogiche. Percorso teorico, vol. I, Milano 2005; Martin Luther King, jr. Il giorno di Dio nel giorno dell’uomo, Roma 2006 (1a ed. 2002), tradotto in lingua spagnola con il titolo Martin Luther King, jr. El día de Dios en el día del hombre (Editorial Guadalupe, Buenos Aires 2006).
Nell’ambito degli scritti sul tema dell’adozione, la riflessione di carattere pedagogico ed educativo è rimasta sostanzialmente in ombra. Lo studio di Monica Crotti intende richiamare la prospettiva pedagogica per evidenziare l’inscindibile nesso tra elaborazione teorica di categorie interpretative e concreta attività di sostegno educativo al percorso di costruzione del ‘familiare’. Fin dal titolo scelto, il volume identifica nell’adozione reciproca un imprescindibile principio di pedagogia familiare, dove la relazione genitoriale e filiale nasce e si struttura secondo una logica di partecipazione e responsabilità condivisa. La fiducia nella generatività personale e di coppia si coniuga con un approccio educativo centrato su capacità e risorse della persona umana, pur in situazioni di difficoltà esistenziale. La pedagogia deve vigilare sulla promozione dei diritti dell’infanzia e potenziare pratiche educative valide nella famiglia e per la famiglia, affinché l’adulto recuperi la capacità di prendersi cura della vita nascente, in una società e cultura che spesso operano per il diritto di avere un figlio, dimenticando il valore e i doveri connessi all’essere genitori.
Monica Crotti, laureata in Scienze dell’educazione all’Università Cattolica di Milano, è dottore di ricerca in Pedagogia e collabora con la cattedra di Pedagogia generale e di Pedagogia speciale presso la stessa Università. Autrice di contributi sul personalismo pedagogico di E. Mounier, attualmente si interessa di tematiche legate all’antropologia pedagogica.

