
Arricchiti da una nuova introduzione, i tre volumi autobiografici di Massimo Fini - «Di[zion]ario erotico», «Ragazzo. Storia di una vecchiaia», «Una vita» - raccolti per la prima volta in un unico libro, ripercorrono eventi e sentimenti con un andamento narrativo, giocato sulla memoria. Amori, passioni, amicizie, tradimenti, illusioni e disillusioni, ricordi, esperienze personali: raffigurati senza indulgenze, sfilano davanti ai nostri occhi i personaggi, noti o meno noti, che Fini ha incontrato nel corso della sua esistenza, in un racconto venato da una nostalgia quasi feroce per il Tempo Perduto, al di là delle ipocrisie e della retorica sulla «terza età».
Nessun personaggio storico, se si esclude, forse, Adolf Hitler, ha mai goduto di così cattiva stampa come Nerone. Alcuni autori cristiani ritennero che fosse addirittura l'Anticristo. In realtà, Nerone fu un grandissimo uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l'Impero conobbe un periodo di pace, di prosperità, di dinamismo economico e culturale quale non ebbe mai né prima né dopo di lui. Certamente fu un megalomane, un visionario, un esibizionista, un inguaribile narciso e, con tutta probabilità, uno psicolabile schiacciato prima da una madre autoritaria e castratrice e poi dall'enorme peso che, a soli diciassette anni, per le ambizioni di Agrippina, gli era stato scaricato sulle spalle, mentre lui avrebbe forse preferito dedicarsi alle arti predilette. Quel che comunque è certo è che questo imperatore chitarrista, cantante, poeta, attore, scrittore, auriga, curioso di scienza e di tecnica, fautore delle più ardite esplorazioni, fu un unicum non solo nella storia dell'Impero romano. Pensando "in grande stile", e cercando di modellare il mondo sulle proprie intuizioni e immaginazioni, fu un monarca assoluto che usò del proprio potere in senso democratico: non governò solo in nome del popolo, come voleva l'ipocrisia augustea, ma per il popolo contro le oligarchie che lo opprimevano e lo sfruttavano. E per avere il consenso del popolo - oltre che, beninteso, progettare e attuare misure molto concrete inaugurò quella che oggi chiameremmo la politica-spettacolo.
L'autobiografia di uno dei più noti, e certamente il più singolare, fra gli intellettuali italiani e, insieme, l'attraversamento di settant'anni di vita del nostro Paese nei suoi mutamenti antropologici, sociologici, sociali, culturali più che politici, e di un quarantennio di giornalismo. Ma anche un racconto personale, di amori, di passioni, di amicizie, di tradimenti, di illusioni e disillusioni, esperienze che sono di tutti in cui il lettore potrà facilmente riconoscersi. Un libro crudo, com'è nello stile dell'autore, dall'andamento narrativo giocato sulla memoria, a volte celiniano o proustiano, senza autoindulgenze ma nemmeno indulgenze verso i personaggi, noti o meno noti, che Fini ha incontrato nella sua vita, eppure venato, oltre che da una nostalgia quasi feroce per il Tempo Perduto, da tenerezza e pietas per quell'animale tragico che è l'essere umano.
A partire dal 1985 con "La Ragione aveva Torto?", un sarcastico quanto documentato pamphlet contro l'Illuminismo, Fini ha preso a demolire tutti i capisaldi della nostra società: la democrazia, l'economia, la tecnologia, la pretesa totalitaria dell'Occidente di ergersi a "cultura superiore". Fini mette a nudo le pesantissime ricadute che questo modello ha sulla nostra vita: nevrosi, depressione, alcolismo di massa, uso e abuso di psicofarmaci, droga. Questo volume raccoglie sei testi pubblicati dal 1985 a oggi. Straordinario anticipatore Massimo Fini è stato sottovalutato per decenni, ma oggi quelle che venivano considerate delle provocazioni sono diventate delle inquietanti realtà. Prefazione di Salvatore Veca
Chi è stato davvero Catilina? Quali gli scopi della sua famosa congiura? Patrizio di nobilissime origini si oppose alle corrotte oligarchie dominanti e abbracciò la causa della plebe. Guardava alla Roma delle origini, dove i valori erano l’onore, la dignità, il coraggio fisico e morale, la protezione dei deboli, un tempo in cui la classe dirigente non mascherava ancora dietro nobili parole la difesa dei propri privilegi. Più volte tentò la via legale del consolato: ne fu sempre respinto con brogli. Allora decise che ne aveva abbastanza e prese le armi. Impavido, affrontò lo scontro con forze enormemente inferiori. E morì, pagando con la vita, la fedeltà a se stesso.
Un ritratto dell'Italia contemporanea, un paese privo di principi, di valori condivisi che non siano il Dio Quattrino, inguaribilmente volgare, senza dignità e onore, spietato senza essere virile, femmineo ma non femminile, corrotto, intimamente mafioso, devastato nel suo straordinario paesaggio, naturale, urbano, artistico, che lo ingentiliva insieme alla sua gente. Una parodia di democrazia sequestrata dai partiti e dai suoi mediocri esponenti che la violentano, la abusano, la stuprano a comodo loro.
"Senz'anima" fotografa uno spazio, mentale, antropologico, politico, quello dell’Italia degli ultimi trent’anni, seguendo l’avventura giornalistica di Massimo Fini, uomo senza appartenenze, dal mitico Europeo all’Indipendente fino al Fatto Quotidiano. Della penna dissacrante di Fini non potevano mancare le “stroncature” e anche i ritratti (mai disgiunti, questi, da una dolente pietas) dei personaggi – da Craxi a Martelli, da Cossiga a Berlusconi, da Gardini a Scalfari, da Costanzo a Vespa – che hanno contribuito a conciare l’Italia così com’è.
Massimo Fini, scrittore e giornalista, è autore di molti libri di successo, ancora oggi ristampati. Tra i più recenti, editi da Marsilio, ricordiamo: "Il denaro. ‘Sterco del demonio’" (1998), "Di(zion)ario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina" (2000), "Nietzsche. L'apolide dell'esistenza" (2000), "Il vizio oscuro dell'Occidente" (2002), "Sudditi. Manifesto contro la democrazia" (2004), "Il ribelle. Dalla A alla Z" (2006), "Ragazzo. Storia di una vecchiaia" (2008). Nel 2009 è uscito, sempre per Marsilio, il suo primo romanzo, "Il Dio Thoth". È stato anche autore e attore della pièce "Cyrano, se vi pare…", regia di Eduardo Fiorillo.
Dopo il collasso del contraltare sovietico le Democrazie, Stati Uniti in testa, hanno inanellato, in vent'anni, otto guerre di aggressione. La "guerra democratica" non si dichiara, ma si fa, con cattiva coscienza, chiamandola con altri nomi. Col grimaldello dei "diritti umani" si è scardinato il diritto internazionale sul presupposto che l'Occidente, in quanto cultura superiore (moderna declinazione del razzismo), portatore di valori universali, i suoi, ha il dovere morale di intervenire ovunque ritenga siano violati. Il nemico, allora, non è più, schmittianamente, uno "justus hostis", ma solo e sempre un criminale. Essenzialmente tecnologica, sistemica, digitale, condotta con macchine e robot, la "guerra democratica" evita accuratamente il combattimento, che della guerra è l'essenza, perdendo così, oltre a ogni epica, ogni dignità, ogni legittimità, ogni etica e persino ogni estetica.
Dal X all'VIII secolo prima dell'era cristiana due regni ebraici sono vissuti fianco a fianco: Israele a nord e Giuda a sud. Scritti a Gerusalemme, capitale di Giuda, a partire dal VII secolo, i testi biblici presentano il Regno del Nord come empio, e come maledetti i suoi re. Biblisti e storici hanno largamente seguito questa ricostruzione, sapendo che Israele era stata un'entità politica ed economica ben più importante e potente rispetto al piccolo regno di Giuda, ma senza mai tentare di scriverne le vicende. Proseguendo il percorso intrapreso in altre sue opere Finkelstein accetta la sfida e presenta una storia di questo regno dimenticato. Il volume, che nasce da un ciclo di conferenze tenute al Collège de France, ha ottenuto il premio Delalande-Guérineau.
"L'Olocausto si è dimostrato un'indispensabile arma ideologica." "L'anomalia dell'Olocausto nazista non deriva dall'evento in sé ma dallo sfruttamento industriale che è cresciuto attorno a esso." "La campagna in corso dell'industria dell'Olocausto per estorcere denaro all'Europa in nome delle 'vittime bisognose dell'Olocausto' ha ridotto la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo." Sono solo alcune delle tesi provocatorie sostenute in questo libro da Finkelstein, ebreo americano e figlio di sopravvissuti allo sterminio, che in questo libro mette in discussione due dogmi: l'Olocausto è un evento storico unico ed è il punto culminante di un'odio irrazionale ed eterno dei gentili contro gli ebrei.
"L'immigrazione, che contribuisce e contribuirà sempre più alla crescita demografica del Vecchio Mondo, pone le nazioni europee e l'Europa stessa di fronte alla questione della propria identità. Siamo individui spontaneamente cosmopoliti che ora, a causa dello shock dell'alterità, scoprono il loro essere. Scoperta preziosa, ma anche pericolosa: dobbiamo combattere a tutti i costi la tentazione etnocentrica di perseguire le differenze e di erigerci a modello ideale, senza per questo soccombere alla tentazione penitenziale di rinnegare noi stessi per espiare le nostre colpe. La buona coscienza ci è preclusa, ma ci sono dei limiti anche alla cattiva coscienza. La nostra eredità, che non fa certo di noi degli esseri superiori, merita di essere preservata, nutrita e trasmessa tanto agli autoctoni quanto ai nuovi arrivati. Resta da capire, in un mondo che sostituisce l'arte di leggere con l'interconnessione permanente e che stigmatizza l'elitarismo culturale in nome dell'uguaglianza, se c'è ancora qualcosa da ereditare e trasmettere." (A.F.)
Perché Péguy, oggi? Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, «morto sul campo d’onore» oltre un secolo fa, nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkielkraut come un «profeta disperato» del malessere spirituale moderno.
Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all’orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure, la sua riflessione sulla modernità – sulle implicazioni dell’affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia – è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo.