
Arrivato alla Casa Bianca Trump non ha offerto alcun messaggio inclusivo; ha soffiato sul fuoco di divisioni politiche, sociali e razziali; ha adottato un linguaggio brutale e neoimperiale; e ha promosso un disegno che scuote l'ordine costituzionale e l'equilibrio tra i poteri. È espressione della polarizzazione degli Stati Uniti o stiamo assistendo a un assalto ai fondamenti della democrazia americana? Donald Trump è presidente degli Stati Uniti, e il mondo si trova a fare i conti di nuovo con la sua ascesa, questa volta meno avventata della prima, più dura e determinata. Il suo arrivo al potere non è solo il risultato di un'elezione, ma di una crisi identitaria che nessuno ha davvero affrontato e che è ora visibile in ogni sua azione, e l'ultimo atto di un processo iniziato da tempo di drastica ridefinizione dell'interesse nazionale americano. Mario Del Pero, uno dei più autorevoli americanisti del nostro tempo, analizza quello che succede oltreoceano. Ogni fase di questa amministrazione chiama in causa la storia: identità, polarizzazione, sistema politico disfunzionale, crisi economica, disuguaglianze e fratture razziali. In questo contesto, Trump non è solo un prodotto della politica statunitense, ma l'acceleratore di un declino che l'America sembra non voler riconoscere.
«Stiamo assistendo all'inizio della fine dello Stato di Israele». Dopo il 7 Ottobre e il genocidio a Gaza, il progetto sionista in Palestina - il tentativo secolare dell'Occidente di imporre uno Stato ebraico in un paese arabo - è destinato a una «disintegrazione inevitabile». È la tesi del celebre storico israeliano Ilan Pappé che, dopo opere considerate pietre miliari nella storiografia del conflitto israelo-palestinese, in questo nuovo volume sposta lo sguardo sul futuro di Israele e della Palestina. Diviso in tre parti, nella prima - Il collasso - Pappé esamina il fallimento del cosiddetto "processo di pace" ed evidenzia le fratture profonde che minacciano la stabilità di Israele: l'ascesa del sionismo religioso, le crescenti divisioni all'interno della società israeliana, l'allontanamento dei giovani ebrei dal sionismo, il sostegno dell'opinione pubblica mondiale alla causa palestinese, la crisi economica e la messa in discussione dell'invincibilità militare di Tel Aviv. Nella seconda parte - La strada per il futuro - l'autore delinea sette mini-rivoluzioni cognitive e politiche necessarie per costruire un avvenire migliore per tutti gli abitanti della Palestina storica: da una nuova strategia per il movimento nazionale palestinese alla giustizia transitoria e riparativa sul modello sudafricano, dal diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi alla ridefinizione dell'identità collettiva ebraica. Nella terza parte - La Palestina del dopo-Israele, anno 2048 - Pappé offre una preziosa visione di speranza e riconciliazione. Immagina un domani in cui le mini-rivoluzioni hanno avuto successo e descrive come potrebbe essere la vita in uno Stato palestinese democratico e decolonizzato, con il ritorno dei rifugiati, la coesistenza di ebrei e palestinesi come cittadini con pari diritti e la guarigione delle ferite del passato. Summa dell'analisi storico-politica di Pappé, "La fine di Israele" è un contributo fondamentale per comprendere l'insostenibilità del progetto sionista e la via possibile per la pace in Palestina.
Il rabbino capo di Roma e un ebreo che ha assunto posizioni critiche su Israele in guerra si confrontano sulla tragedia in corso e sulle divisioni dell’ebraismo contemporaneo. Affrontano temi di cruciale attualità: le sofferenze di tutte le popolazioni coinvolte nel conflitto, il sionismo religioso, il nuovo antisemitismo, il rapporto difficile con la Chiesa cattolica, la sospetta ammirazione delle destre nazionaliste per Israele, il divorzio degli ebrei dalla sinistra, i rapporti fra la diaspora e lo Stato ebraico, la piaga del fanatismo. I giudizi restano distanti anche sulle polemiche che hanno agitato le Comunità ebraiche italiane dopo la pubblicazione di un appello contro la pulizia etnica sottoscritto da una minoranza di dissidenti. L’ebraismo è al tempo stesso una religione, una cultura e una nazione, ma in che misura questi aspetti possono coesistere senza entrare in conflitto? Ebrei in guerra ha dunque molteplici significati; perché se è vero che Israele chiama gli ebrei a essere coinvolti nella sua guerra, altrettanto vero è che il dissenso interno dà luogo a lacerazioni profonde. Un libro che si cimenta con le domande che tutti si pongono. Perché la vicenda millenaria degli ebrei resta centrale nel nuovo tempo di guerra, e dunque ci riguarda da vicino. Il rabbino capo di Roma e un intellettuale ebreo dissidente si confrontano sulle divisioni che la guerra sta provocando all’interno del mondo ebraico e sul destino dello Stato di Israele.
Conflitti, tensioni nazionali e internazionali, aumento dei costi delle materie prime, povertà, migrazioni, crisi politiche, economiche e sociali. Il nostro mondo è vessato ogni giorno da problemi che ci riguardano tutti, e che paiono sempre sul punto di deflagrare in qualcosa di ancora più grande e, forse, irreversibile. Eppure, sembra che noi esseri umani, piuttosto che invertire i processi quando siamo ancora in tempo, ci ostiniamo ad aspettare un punto di non ritorno prima di mobilitarci e agire davvero per il bene comune. E la crisi ambientale non fa eccezione: il disastro ecologico è già iniziato, i suoi effetti sono tutt'intorno a noi, anche se fingiamo di non vedere. Invece, ci dice Gaël Giraud, è ora di aprire gli occhi e trovare risposte concrete a una serie di domande fondamentali: come possiamo affrontare le straordinarie sfide poste dalle crisi causate dalla distruzione del nostro habitat? Cosa c'entra il concetto di proprietà privata con l'emergenza climatica? È tempo di mettere in discussione la sovranità degli Stati nazionali? Come possiamo lavorare insieme per costruire le istituzioni internazionali che ci permetteranno di prenderci cura dei nostri beni comuni? In questo suo libro-manifesto, Giraud procede a un'analisi esaustiva e illuminante della delicata situazione globale, delle cause che ci hanno portato fin qui e delle possibili soluzioni. Coniugando le sue due anime di economista e teologo, l'autore esplora la realtà anche alla luce degli insegnamenti evangelici e della tradizione cristiana: proprio nella Bibbia, suggerisce, è celata la risposta alla «policrisi» che minaccia il nostro pianeta.
Il numero 5/2025 di MicroMega è dedicato al tema del turismo e del viaggio, con l'intento di esplorarne le molteplici sfaccettature: dall'impatto su città, territori e paesaggi alle implicazioni più ampie sulla vita sociale. Un fenomeno tanto pervasivo quanto complesso, che negli ultimi decenni si è trasformato da esperienza elitaria a pratica di massa, fino ad assumere i tratti quasi parossistici dell'overtourism, con tutte le contraddizioni del caso e le conseguenze che ne derivano.
"Perché abbiamo perso": questo interrogativo dà il titolo all'ottavo numero di Limes del 2025. Il quesito incorpora una certezza: abbiamo perso la pace, intesa come idea che violenza e disordini internazionali fossero usciti per sempre dal nostro orizzonte scrutabile. Ma conserviamo un bene prezioso: l'assenza di guerre che ci coinvolgano direttamente, condizione da preservare a tutti i costi. Ma come? Con quali strumenti e quali formule politico-strategiche? La prima parte del volume - Europa, la giungla dei riarmi - va dritta al punto con riferimento all'Europa: un continente che, almeno nella sua parte occidentale, da tre generazioni è invidiabilmente assuefatto a una pace e a una sicurezza a garanzia statunitense. Garanzia imperfetta e figlia della rovina bellica, ma introiettata come irreversibile. Donald Trump, Vladimir Putin, Xi Jinping - i leader delle potenze dalla cui interazione dipendono oggi, in buona misura, le chance di contenere i conflitti in corso e di evitarne di nuovi - ci segnalano, ognuno a modo suo e con proprie agende, che quella fase storica è terminata. Alla conseguente incertezza, gli europei rispondono con il riarmo, i cui modi e fini suscitano più di un interrogativo. Di certo si sa che si sta chiudendo una lunga fase storica. Il resto del mondo non appare più disposto a subire passivamente i contraccolpi dei problemi, delle tensioni e delle ambizioni di potenza euro-atlantiche. Questo è uno dei messaggi che arriva dalla seconda parte del volume - La Russia da paria a star - dove, insieme alle incognite e ai problemi che gravano su Mosca, voci russe di diverse estrazioni segnalano la sopraggiunta indisponibilità della Federazione a essere tenuta fuori dalla futura equazione di sicurezza europea. Da qui la terza parte - Quali Ucraine dopo l'Ucraina - che, riprendendo in parte i temi del volume 7-2025 ("La pace sporca") interroga analisti ucraini e non sui modi realistici di porre fine alle ostilità per non alimentare ulteriormente una guerra distruttiva (soprattutto) per l'Ucraina, senza tuttavia vanificarne il sacrificio e il diritto a conservare indipendenza e sicurezza.
Debito schiacciante, lavoro precario e mezzi di sostentamento assediati; servizi in calo, infrastrutture fatiscenti e confini induriti; violenza razziale, pandemie mortali e condizioni meteorologiche estreme; il tutto sovrastato da disfunzioni politiche che bloccano la nostra capacità di immaginare e attuare soluzioni alternative. Questo libro è un'immersione profonda nella fonte di tutti questi orrori. Il capitalismo cannibale è il sistema a cui dobbiamo la crisi attuale e Nancy Fraser diagnostica le cause della malattia e dà i nomi dei colpevoli.
Storico e critico sociale nato nel Midwest americano, Christopher Lasch (1932-1994) è legato perlopiù a singole opere, segnatamente "La cultura del narcisismo" (1979) e "Il paradiso in terra" (1991). Scopo di questa monografia è invece quello di ricostruire nel suo complesso sia l'itinerario biografico sia il pellegrinaggio intellettuale di un autore spesso citato, ma poco conosciuto. Lo sviluppo intellettuale di Lasch appare strettamente intrecciato con le proprie vicende biografiche. La prima parte del libro intende pertanto dar conto di tali vicende, anche in considerazione del fatto che Lasch stesso affermava che il proprio pensiero, profondamente radicato nel contesto americano, mutò negli anni proprio a causa dei cambiamenti storico-culturali occorsi. La seconda parte si focalizza sui principali interessi di studio che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: la famiglia, il narcisismo, il paternalismo, il liberalismo, il progresso, il capitalismo, la democrazia e il populismo. Si dà altresì conto della sensibilità religiosa che lo studioso americano via via manifestò e dell'influenza da lui esercitata su - ma anche ricevuta da - singole personalità e riviste.
Quanto pesa l’eredità sulle nostre possibilità di successo? Quanto guadagna un manager rispetto a un’operaia? Quanto si mette in tasca l’1% più ricco del nostro paese? E quanto la metà più povera? In queste pagine si attinge agli studi più recenti e di frontiera per raccontare le disuguaglianze economiche in Italia: dall’esplosione dei divari tra lavoratrici e lavoratori all’immobilità sociale estrema, dalle diverse conseguenze dei cambiamenti climatici su ricchi e poveri al ritorno della ricchezza e dell’eredità ai livelli di fine Ottocento. Non dismettendo gli strumenti del dibattito accademico, si mostrano le ingiustizie che queste disuguaglianze rappresentano: non solo delineando quante sono, ma anche comparandole con quelle di altri paesi e periodi storici.
A Hebron, un gruppo di minorenni ebree innalza uno striscione contro i matrimoni misti. A Tulkarem, i ragazzini palestinesi appendono ai fucili le foto degli amici uccisi e si preparano a combattere i soldati israeliani. A Teheran, Abbas piange il cugino impiccato dal regime e prova un misto di terrore ed eccitazione per il grande attacco dello Stato ebraico alla Repubblica islamica. Il nuovo reportage di Cecilia Sala è un viaggio che guarda da vicino tre grandi storie intrecciate tra loro: la radicalizzazione di Israele, la distruzione della Palestina e il collasso dell’Asse della resistenza che ha la sua testa a Teheran. Con uno stile vivido e in presa diretta, Cecilia Sala ci fa attraversare i check-point e i raid, ci fa entrare nelle case delle vittime e dei carnefici, dei leader militari e dei sopravvissuti. Ci svela così lo scontro generazionale che attraversa ciascuno di questi paesi, divenuto una delle linee di faglia più rilevanti – e meno indagate – del nostro presente. Perché mentre i «pacifisti esausti» tra gli anziani israeliani assistono impotenti alla deriva del proprio paese, una generazione di coloni giovanissimi è la più feroce di sempre in Cisgiordania. Mentre in Palestina un padre come Firas crede ancora nella diplomazia e rimpiange i tempi degli accordi di Oslo, il figlio Samih vede nei suoi tre fucili d’assalto l’unica risposta all’occupazione. E mentre i vertici della Repubblica islamica dell’Iran tentano di nascondere la propria debolezza, le arrabbiate senza velo che sfidano le telecamere per il riconoscimento facciale sono diventate centinaia di migliaia. Il racconto sul campo si arricchisce di alcune interviste a figure chiave, come Hossein Kanaani, uno dei fondatori dei pasdaran, e Ronen Bergman, giornalista premio Pulitzer che spiega il fallimento di Israele nel difendersi dal suo nemico interno, l’estremismo armato. E ancora Imad Abu Awad, analista palestinese, che non crede esista più una soluzione diplomatica né una militare e per risolvere i problemi del suo popolo spera in una guerra civile interna a Israele. Da questo coro di voci, che Cecilia Sala orchestra con maestria, rigore giornalistico e una straordinaria capacità narrativa, nasce un libro essenziale per comprendere i conflitti che definiscono il nostro tempo.
Il numero 6/25 di Limes ̬ dedicato alle conseguenze della guerra tra Israele e Iran, a partire dalla crisi della deterrenza nucleare.

