
Due magistrati, diversi per età e opinioni, riflettono sul loro mestiere senza pregiudizi e senza reticenze. Un libro coraggioso, per discutere in pubblico di una funzione essenziale per tutti, decisiva per lo Stato di diritto.
La costituzionalista Donata Borgonovo Re, con una predilezione per il lavoro educativo e un'esperienza sul campo da difensore civico, racconta quella che è stata definita la più bella Costituzione del mondo attraverso quattro parole-chiave e interpretando con originalità e passione civile grandi autori come De Tocqueville, Bobbio, Calamandrei, Dossetti.
"Proviamo ora a immaginare la democrazia come una grande orchestra, nella quale devono essere presenti tutti gli strumenti musicali che, sulla partitura della Costituzione, dovranno intrecciare le loro differenti voci per realizzare l'armonia della convivenza tra le donne e gli uomini di cui la democrazia si prende cura". "Eguaglianza e solidarietà - scrive ancora Donata Borgonovo Re - connotano il nostro essere persona in relazione, il nostro essere sociale e, attraverso di noi, connotano la più ampia dimensione pubblica investendo noi e ogni organo della Repubblica della medesima responsabilità. Quella di fare della nostra democrazia una casa accogliente per tutti".
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo,
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"
Gianni Borsa ripercorre la genesi dell’integrazione europea, per riscoprire ciò che sta all’origine della costruzione di una “casa comune” capace di garantire ai suoi cittadini una vita dignitosa, libera, solidale e in pace. Una riflessione che giunge sino ai nodi problematici e alle sfide dell’oggi, prendendo spunto dall’icona biblica delle “due case”.
Di fronte alle difficoltà ricorrenti della storia del processo di integrazione, alle crisi che spesso si sono rivelate occasioni di salti di qualità, ci vogliono energie molteplici e plurali. Ma ci vuole soprattutto la coscienza di un'opinione pubblica informata, attiva, consapevole e determinata. Saremo noi cittadini, eventualmente, a forzare la nascita di un’Europa più rispondente alla sua missione. L'Europa, del resto, non è non è mai stata un dato di fatto, un presupposto, una ovvietà, perché il senso dell'integrazione europea è nell’essere un progetto per il futuro, l'immaginazione
di un percorso nuovo.
(dalla Prefazione di Guido Formigoni)
In queste pagine è racchiusa una storia intima e allo stesso tempo pubblica: la strage di via D'Amelio del 1992. Allora l'intero Paese sembrò voler reagire alla violenza della mafia, ma il sentimento di giustizia è andato poi scemando. Rita Borsellino incarna, invece, lo spirito di chi continua a lottare, portando la sua testimonianza che non cede a parole di rabbia e offre un'analisi lucida del problema della mafia, inchiodando la politica alle sue responsabilità e proponendo modelli di educazione alla legalità per le nuove generazioni.
Questo libro racconta un'Italia diversa, rispetto a quella che abitualmente ci descrivono i mezzi di informazione. Non è l'Italia della politica come privilegio e raccomandazione, ripiegata sulla egoistica difesa dei propri interessi di casta. È invece un'Italia virtuosa, che quotidianamente realizza la politica come servizio: l'Italia della buona politica. Migliaia e migliaia tra cittadini, amministratori pubblici e servitori dello Stato, ogni giorno, con umiltà e buon senso, costruiscono da tempo un modello alternativo di comunità, fatto di integrazione, fantasia, concretezza ed efficienza. Lavorano per un futuro sobrio e sostenibile, attraverso una cassetta degli attrezzi composta di progetti che funzionano, che riducono al contempo l'impronta ecologica e migliorano la qualità della vita di chi si mette in gioco. Sono i tanti piccoli ministri delle Piccole Opere, di cui nessuno parla, ma che non per questo smettono di tenere in piedi, con il sorriso sulle labbra, questo nostro trasandato Paese. I comuni virtuosi sono una parte importante di questa storia alternativa: amministrazioni che hanno come obbiettivi la fine del consumo di suolo, rifiuti zero, mobilità sostenibile, risparmio energetico, partecipazione e realizzazione di nuovi stili di vita
Cittadinanza attiva, stili di vita sostenibili, buone pratiche di gestione dei territori. Ma soprattutto "persone in carne e ossa, che sperimentano quel gioco complicato chiamato comunità". Sono i temi e i protagonisti della "rivoluzione che si fa uscendo di casa" (come scrive nella Prefazione Massimo Bray, ministro dei Beni e delle attività culturali nel governo Letta), della quale Marco Boschini ci racconta volti, storie, fatiche e successi. Questa pacifica rivolta prende avvio dalle "città disattese", dove la qualità della vita e le condizioni dell'ambiente sono degradate. Mette a fuoco le nostre responsabilità nell'esserci arresi a un'economia usa e getta. E racconta i tanti modelli virtuosi che si vanno creando e che rappresentano l'alternativa possibile. Boschini ne ha conosciuti alcuni in giro per il mondo, molti altri li ha trovati disseminati in una bella Italia che sta fiorendo. Sono piccole-grandi storie di comunità ribelli e costruttive, di asini e di alberi, di scuole e di stalle. Ce ne parla con entusiasmo per convincerci che l'indignazione non basta, "l'azione, invece, è concime fertile che fa crescere storie e futuro".
Pubblicato per la prima volta nel 1949, "Vent'anni e un giorno" costituisce ancora una delle critiche al regime mussoliniano più acuminate. Giuseppe Bottai fu fascista della primissima ora, presente durante la Marcia su Roma, governatore di Addis Abeba e poi ministro dell'Educazione Nazionale, grande ammiratore di Mussolini e pensatore sinceramente persuaso che fosse possibile, per l'Italia, trovare nel fascismo un assetto politico utile al suo sviluppo economico e sociale. Nel corso del tempo, però, in Bottai si compie una metamorfosi, la sua riflessione disegna una rotazione di centottanta gradi che lo pone nelle condizioni di riconoscere l'immensa aberrazione che si celava come un nucleo malato nel profondo del regime. Il viaggio interiore di una figura tra le più contraddittorie e sorprendenti del secolo passato, introdotto da un saggio di Giordano Bruno Guerri.
I corpi intermedi possono e devono contribuire al rinnovamento dell'Italia e dell'Europa. Indirizzare l'azione delle istituzioni sulle priorità che stanno in cima alle preoccupazioni dei cittadini e dalla cui risposta dipende lo stato di salute e il futuro della nostra democrazia, è ancora una loro prerogativa. A patto che sappiano rinnovarsi nel profondo. Quale sarà nell'immediato futuro il ruolo dei corpi sociali intermedi? Quello che si sapranno meritare, decidendo di affrontare con coraggio le questioni cruciali per i nostri territori, per il nostro popolo, per il nostro tempo e recuperando l'originaria vocazione di organismi di prossimità capaci di creare reti tra i cittadini e le istituzioni, tra la domanda e l'offerta politica, sociale ed economica.
L'apertura degli Archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XI ha concesso alla storiografia di approfondire gli studi sulla posizione della Santa Sede e su quella di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano, in merito alla Seconda Repubblica spagnola (1931-1936) e al conflitto che si concluse con la vittoria dei nazionalisti di Francisco Franco. Il sacerdote siciliano seguì attivamente, seppur a distanza, i risvolti della guerra civile che sconvolse il paese iberico dal 1936 al 1939, analizzando la vicenda e affidando le proprie riflessioni a quotidiani e lettere private. I documenti presi in esame mostrano i tentativi dell'esiliato don Sturzo di mettere fine alle violenze antireligiose, spingere la Chiesa a disimpegnarsi dal sostegno al campo franchista e a promuovere un negoziato che ripristinasse la pace religiosa, politica e sociale. Emergono le iniziative del movimento pacifista cattolico europeo, le attitudini delle autorità ecclesiastiche spagnole e i timori vaticani durante il pontificato di papa Ratti.
In questo volume Giorgio Bouchard dimostra un fatto sottovalutato, e talvolta addirittura negato, da alcuni studiosi italiani ed europei, ossia che la concezione politica di Barack Obama – primo presidente nero degli Stati Uniti e premio Nobel per la pace a meno di un anno dall’elezione – è fortemente intrecciata al suo pensiero religioso.
Figlio di una protestante secolarizzata e di un musulmano ateo, buon conoscitore del cristianesimo e dell'islam, Obama unisce alla tradizione liberal americana una fede cristiana moderna, aperta e dialogante, riuscendo a parlare in modo convincente sia ai credenti sia ai "laici", e a proporre a tutti una vera e propria rigenerazione morale e civile della società.