
Il Meridione d'Italia è segnato da una condizione di complessità e di difficoltà che coinvolge le persone e le città. Particolarmente in un contesto come quello partenopeo, risulta significativo cogliere la sfida di un nuovo progetto di convivenza che richiede un confronto di alto livello, perchè le soluzioni da trovare nei vari campi dell'esperienza umana siano all'altezza della complessità globale. Discipline come l'antropologia, l'architettura e l'urbanistica, la filosofia, la sociologia, la psicoanalisi, la storia, la teologia si trovano qui in dialogo per attivare un canale di comunicazione tra ambiti spesso considerati distanti, ma che hanno in comune l'interesse per l'uomo e la vita di relazione con i suoi simili. L'augurio è che questo dialogo prosegua anche e soprattutto a livello di coscienze e istituzioni, producendo frutti duraturi per la promozione di una convivenza urbana e civile che possa dirsi autenticamente umana.
L'idea di laicita', il rapporto tra cultura e integrazione, la questione antropologica, l'educazione, la famiglia, il rapporto della persona con i processi economici e con la giustizia: scandagliando i temi piu' rilevanti del dibattito pubblico, Gaetano Quagliariello delinea in questo libro gli antidoti culturali affinche' nella societa', e fra i piu' giovani, non si affermi un'altra religione civile basata sulla ideologia dell'autodeterminazione, sul relativismo, sul nichilismo. E interpreta il senso dell'appello per una nuova generazione di cattolici in politica che dalla Chiesa proviene sempre piu' pressante.
«Raggiungeremo l'ordine democratico solo con la partecipazione di tutti in quanto persone, il che corrisponde alla realtà umana. E l'uguaglianza di tutti gli uomini, "dogma" fondamentale della fede democratica, dovrà essere uguaglianza tra persone umane, non tra qualità o caratteri, perché uguaglianza non significa uniformità. È, al contrario, il presupposto che permette di accettare le differenze, la ricca complessità umana e non solo quella del presente, ma anche quella dell'avvenire. È la fede nell'imprevedibile. Sarà un'utopia pensare che quest'ordine, invece di escludere delle realtà, le possa includere piano piano tutte quante?»
La prima istantanea ritrae i Black Hawk americani che calano silenziosi su Abbottabad, Pakistan. Ventitré militari penetrano nel compound che nasconde Osama bin Laden, lo finiscono con una pallottola alla testa e una al petto, catturano la sua famiglia, si allontanano portando con loro il corpo del terrorista, cinque computer, vari hard disk, più di cento memorie flash. Allargando lo sguardo, Ahmed Rashid ricostruisce uno scacchiere su cui si muovono tre protagonisti. Da un lato gli Stati Uniti di Barack Obama, divisi tra la promessa di pacificazione della regione e le derive di un'azione contraddittoria, gestita da lobby politiche e militari in lotta. Dall'altro l'Afghanistan, un paese oppresso dal regime talebano, devastato da trent'anni di guerre ininterrotte, segnato da un intervento americano militarmente inefficace e politicamente incapace di costruire le basi per un'alleanza futura. E infine il Pakistan. Formalmente alleato degli Usa. Di fatto preda di un'élite corrotta, militari spietati, servizi segreti doppiogiochisti. E transfughi jihadisti sistematicamente accolti e sostenuti nella loro azione. Solo un impegno finalmente coerente da parte degli Stati Uniti, questa la tesi di Rashid, potrà risollevare una popolazione martoriata e stabilizzare una nazione e un'area esplosiva. Un'area dalle cui sorti dipendono il destino della potenza americana, il suo posizionamento rispetto a Cina e India, il suo effettivo contributo a un nuovo equilibrio mondiale.
La libertà politica, secondo Benjamin Constant, permette ai membri di una comunità di influenzarne i modi di governo, di elevare proteste per qualcosa che è giudicato contrario al bene comune, di porre qualcuno nella posizione di guida e di sostituirlo se necessario. Sembra il minimo. Eppure attualmente neanche metà degli Stati del mondo possono dirsi pienamente liberi. Perché la libertà politica si perde. La storia ne offre molti esempi: dai tiranni di Atene fino a Mussolini, è possibile verificare quanta libertà politica sia stata conculcata o addirittura eclissata per anni, decenni o secoli. Gli stessi rischi si ripropongono agli attuali sistemi politici e lasciano aperta una domanda di fondo alla quale occorre sempre tornare: oggi stiamo davvero esercitando la nostra libertà politica?
Un analista americano che conosce bene anche l'Italia spiega le vere motivazioni dietro al successo di Donald Trump e l'opportunità offerta da questa rivolta degli elettori. L'atteggiamento dei media è stato superficiale, tant'è che nessuno credeva che Trump potesse davvero vincere la nomina. In questo libro si indaga sulle correnti profonde della società americana che hanno spinto il candidato repubblicano - e anche il "socialista" Bernie Sanders - a stravolgere la politica americana. È in atto un riallineamento dell'elettorato statunitense: la divisione sta andando da democratici-repubblicani a establishment-outsider. Dopo quest'anno l'America non sarà più la stessa: l'establishment dovrà tenere conto dei rischi di ignorare la fetta crescente della popolazione lasciata indietro dalla globalizzazione dell'economia. Si tratta di una grande opportunità per rivedere certi errori da entrambe le sponde dell'Atlantico, dalla deindustrializzazione alle guerre continue nel nome del "cambiamento di regime".
Un malato d'eccezione: la sinistra italiana. Una malattia subdola: l'antipatia. Una cura possibile: prenderne coscienza e correre ai ripari. In questo libro si evidenzia come la sinistra sia antipatica non solo alla destra, ma anche ai non schierati, al vasto arcipelago degli elettori che non si sentono né di destra né di sinistra. Quattro sono le sue malattie: il linguaggio codificato (io sì che la so lunga), il politicamente corretto (tu non devi parlare come vuoi), gli schemi secondari (tu non puoi capire) e la supponenza morale (noi parliamo alla parte migliore del paese). Luca Ricolfi insegna Metodologia della ricerca psicosociale all'Università di Torino, dirige l'Osservatorio del Nord Ovest e una rivista di analisi elettorale.
Perché sì. Perché... fa quello che i partiti promettono da trent'anni senza esserci fin qui riusciti, trasforma un doppione della Camera in un Senato che rappresenta le autonomie, semplifica il procedimento legislativo, impedisce l'abuso dei decreti-legge e limita il ricorso alla fiducia, razionalizza il riparto delle competenze fra Stato e Regioni, ridisegna la repubblica delle autonomie, rende più efficienti le istituzioni eliminando gli sprechi, potenzia gli strumenti di partecipazione popolare o amplia le garanzie democratiche, delinea istituzioni più stabili e rende la nostra voce più forte in Europa, non tocca i principi della prima parte della Costituzione, ma anzi li valorizza, non aumenta i poteri del governo, ma anzi li razionalizza, non riguarda la legge elettorale, ma anzi la sottopone a controlli più stringenti, semplifica la vita dei cittadini e delle imprese, migliora la qualità della democrazia. Prefazione di Maria Elena Boschi. Introduzione di Massimo Rubecchi.
"Mi spiace, ma i fatti sono questi," risponde Han quando, in un'intervista uscita su Zeit Wissen, gli fanno notare che le sue riflessioni non sono molto incoraggianti. "Scrivo quel che vedo. I miei libri possono ferire poiché mostro cose che la gente non vuol vedere. Ma non sono io, non è la mia analisi a essere spietata, bensì il mondo in cui viviamo, con la sua follia e la sua assurdità". Questo volume raccoglie gli interventi più significativi di uno dei massimi critici dell'assurdo mondo contemporaneo. Han ci restituisce un affresco lucido e dissacrante dell'epoca neoliberista e dei suoi paradossi, dai "ragazzi che si fanno fotografare mentre saltellano all'impazzata" al burnout, dai migranti alle sculture levigate di Jeff Koons, da Big Data al coronavirus e alle misure di contenimento della pandemia, in una società già di per sé "organizzata in chiave immunologica" e sull'orlo del collasso. Nel presente la coazione a produrre assume sempre più esplicitamente le forme dell'autosfruttamento e soprattutto dell'autodistruzione, giacché noi per primi "sacrifichiamo volontariamente tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta" e le conseguenze devastanti del capitalismo giunto al suo culmine richiamano in modo preoccupante il concetto freudiano di pulsione di morte. "Perché oggi non è possibile una rivoluzione" è una perfetta introduzione al pensiero radicale di Byung-Chul Han, e dunque è anche un invito, aperto e appassionato, a invertire la rotta.
"Perché non possiamo aspettare" è un vivido documento su una stagione chiave della storia americana e mondiale, capace di illuminare il lungo e difficile percorso che da Abraham Lincoln, il grande emancipatore, ha condotto sino a Barack Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti. In "Perché non possiamo aspettare" Martin Luther King descrive con prosa incalzante e ispirata, in una specie di impressionante reportage, i fatti che nel 1963 condussero allo scoppio della "terza rivoluzione americana: la Rivoluzione Negra". La resistenza non violenta e la disobbedienza civile come tecniche rivoluzionarie da impiegare contro la segregazione sono i temi principali affrontati in questo libro dal leader dei diritti civili statunitense. Prendendo ideale avvio dalla celebre "Lettera dal carcere di Birmingham", King passa a descrivere i passaggi chiave che dai moti di Birmingham condussero sino alla Marcia su Washington, nell'anno fatale della "Terza rivoluzione americana", il 1963. L'anno seguente King sarà poi insignito del Premio Nobel per la pace. La filosofia della non violenza è l'altro grande tema affrontato in "Perché non possiamo aspettare": essa è infatti la "lama che rimargina" che riuscì a sconfiggere la segregazione e ad affermare il celebre sogno di King: "che tutti gli uomini siano creati uguali".

