
Affascina Jean Baudrillard che a suo modo è stato ammaliato dal problema della debole realtà della realtà nel nostro tempo sempre più dominato dalla tecnica, dal mediatico, dallo sviluppo del virtuale, dal digitale e da Internet. È vano cercare una soluzione progressista, realista, come è stato per la cultura del secondo novecento sia francese che italiano, c'è soltanto la necessità di conservare uno sguardo che non è critico (Baudrillard ritiene superato il pensiero critico) ma aperto e lucido. Senza amarezza, in una tranquilla disperazione, con l'idea che la fine non si approssima, ma è già in atto, Baudrillard vive in queste pagine da noi scelte fra le opere un'apocalisse da padre sereno. Il valore del grande pensatore francese recentemete scomparso consiste nel suo lavoro di derealizzatore, eccellendo nel disgregare le evidenze, che ci risveglia, ci stimola.
Se tutto è in relazione, dobbiamo ammettere che la polis, la città, è la comunità umana nel mondo e non coincide con un ambito ristretto (regione, nazione o continente) di cui qualcuno possa dirsi padrone: ogni scelta rilevante è di fatto una scelta politica, perché incide anche sulla vita degli altri. Che cosa significa fare politica? E perché un impegno simile mi riguarda personalmente? Come potrò portare buoni frutti per la società? L'autore cerca di mettere in luce il senso della politica e le ragioni per scegliere l'azione in prima persona senza subire qualsiasi cosa nell'inerzia e nell'incoscienza. Maturare una scelta politica che porti ad agire per il bene comune porta necessariamente ad affrontare se stessi.
Le teorie politiche ragionano sui grandi scenari, discorsi affascinanti ma che spesso restano solo parole. C'è poi un pensiero politico che si occupa di quello che ciascun cittadino può fare dal luogo in cui è, agendo innanzitutto sul proprio modo di stare nel mondo. C'è necessità di cittadini e politici che siano consapevoli del valore della politica e agiscano mossi dall'intenzione di dedicare il giusto tempo alla cura della comunità. Così intesa la sapienza politica costituisce una necessità ineludibile. Si può dire che proprio dell'umano è l'esigenza della politica, di una politica capace di visione, di progetto, di forza di attuazione.
Il Green Deal, la transizione digitale, un'Europa più forte e democratica, una maggiore giustizia sociale sono progetti indispensabili e di grande portata che l'Europa sta portando avanti, e dobbiamo riuscirci per lealtà verso i nostri concittadini. Ma l'Europa ha anche e soprattutto bisogno di un nuovo progetto di speranza, un progetto che ci accomuni, un progetto che possa incarnare la nostra Unione, i nostri valori e la nostra civiltà, un progetto che sia ovvio per tutti gli europei e che ci permetta di unirci. Penso che questo progetto possa essere costruito intorno a tre assi forti, a un triplice desiderio di Europa che sia unanimemente condiviso da tutti gli europei: quello di un'Europa che innova, di un'Europa che protegge e di un'Europa che sia faro." Esistono diverse idee di Europa. La raccolta dei discorsi di David Sassoli nella stagione della sua presidenza del Parlamento europeo ci indica una strada: abbiamo bisogno di innovazione, non solo nella tecnologia, ma nelle istituzioni, nelle politiche, negli stili di vita, nel nostro essere comunità. La transizione ecologica, di cui l'Europa può farsi motore nel mondo, sarà possibile solo se verrà assicurata una vera equità sociale. Per far questo è necessario riaffermare la centralità della persona, la tutela dei diritti, il rispetto delle differenze e della pluralità. E, insieme, l'orgoglio del modello democratico europeo. È questo il senso dell'eredità di Sassoli: la svolta nelle politiche economiche e sociali di cui l'Europa è stata capace per affrontare la terribile pandemia può diventare un esempio per il tempo a venire. Pur fra contrasti e difficoltà, i principi di solidarietà e la ricerca di uno sviluppo sostenibile hanno prevalso sulle linee rigoriste che avevano prodotto politiche regressive. Ma ora nuove crisi e nuovi squilibri sono davanti a noi: per fronteggiarli l'Europa deve scongiurare passi indietro. I cittadini europei sentiranno di appartenere all'Europa se il suo modello di democrazia, di libertà e di prosperità si rafforzerà e sarà in grado di diffondersi, anche al di là delle nostre frontiere. Prefazione di Sergio Mattarella.
«Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov'è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l'ho con un tipico cekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino» (l'autrice)
La costruzione dei quartieri popolari, il Progetto Fori, la consacrazione dell'estate romana e la metropolitana che unisce il centro con le borgate: il ritratto del politico che in soli due anni ha trasformato la Capitale. Il 7 ottobre del 1981 scompare Luigi Petroselli: il sindaco di Roma "morto sul lavoro come un edile", per citare le parole dei giornali del tempo. I suoi funerali diventano un evento senza precedenti. Vi partecipano politici e personaggi di spicco, tra cui il primo cittadino di Parigi, il conservatore Jaques Chirac, nonostante un'idea di città completamente differente. Petroselli vuole unificare il centro storico alle periferie, dove vive confinata un'umanità usata solo come forza lavoro. Così, infatti, erano in quegli anni le borgate della Capitale, paragonabili agli slum delle metropoli del Terzo mondo. Il sindaco "umile" lotta per ridare dignità e diritti a un'intera città. In soli due anni rivoluziona il tessuto urbano: con l'Estate romana riporta in piazza i cittadini impauriti dagli Anni di Piombo, avvia i nuovi lavori della metropolitana, parte con la costruzione dei quartieri popolari e progetta la chiusura di via dei Fori imperiali, per restituirla alla storia riallacciandola al parco dell'Appia antica. È un infarto a spezzare il suo sogno di città ideale. Ella Baffoni, giornalista de "l'Unità", e Vezio De Lucia, tra i massimi urbanisti italiani, ricostruiscono la figura e l'operato di Petroselli a trent'anni dalla sua morte
Rivedere la Costituzione è un tema all’ordine del giorno nel dibattito politico italiano. Per attuare innovazioni e miglioramenti, è però essenziale conoscerla a fondo e saperla interpretare. Questo libro, curato da uno dei politologi più importanti del nostro Paese, offre gli strumenti più efficaci per farlo: a partire da un’ampia introduzione che inquadra storicamente la Costituzione, anche attraverso il confronto con i modelli stranieri, e che discute la sua funzione presente e futura, in rapporto alle istituzioni europee e alle esigenze della globalizzazione. Il volume offre inoltre al lettore un commento ricco e puntuale dei diverse articoli e un “Lessico politico-costituzionale”, che propone in ordine alfabetico e analizza in breve schede una serie di concetti connessi ai temi trattati nella Costituzione e nel commento, spesso di forte rilievo nel dibattito attuale.
Un patto scellerato. Quello tra lo Stato e gli evasori. Se il 93 per cento del totale del gettito tributario lo pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati vuol dire che troppi italiani vivono a sbafo: sono i possessori di partita Iva e i tanti professionisti che denunciano molto meno di quanto guadagnano. Intanto lo Stato li protegge: o non controllandoli, o con iniziative ad hoc come i condoni (uno ogni quattro anni), o con leggi specifiche (abolizione del falso in bilancio). Il messaggio è chiaro: rubare si può. Ecco la testimonianza di chi ha provato a far pagare le tasse, anche con la proposta di una nuova legge tributaria approdata in parlamento ma affossata dal partito trasversale degli evasori. E ora? La vera rivoluzione di Monti sarebbe quella di far pagare le tasse a tutti. 160 miliardi da recuperare, altro che finanziaria. Potremmo essere più ricchi: come dimostra Bruno Tinti, basterebbe poco per raggiungere un risultato straordinario. Ma bisogna volerlo e non aver paura di perdere il voto degli evasori.
Negli ultimi trent’anni l’Italia e gli italiani sono profondamente cambiati. Assetti demografici, lavoro, welfare, produzione, consumi, stili di vita, forme della partecipazione e della comunicazione, partiti, sistema politico: quasi nulla è più come prima. Il libro prova a ricostruire i più importanti tra questi mutamenti – lo choc migratorio, il declino economico, la metamorfosi dei valori e delle appartenenze, gli effetti della rivoluzione digitale – per concentrarsi quindi sulle trasformazioni del sistema politico tra Prima e Terza Repubblica. Riprendendo e aggiornando le tesi di Karl Polanyi sulla ‘grande trasformazione’, l’autore colloca al centro del quadro l’urto strisciante e poi frontale tra le forze sempre più invincibili della globalizzazione, in particolare del mercato e dell’economia globali, e un paese messo progressivamente in ginocchio dai suoi effetti distruttivi. Ne è derivata una confusa e disordinata ‘rivolta della società’, che ha voltato le spalle alle vecchie forze politiche della Seconda Repubblica, sempre più incapaci di proteggerla, e che ha ceduto infine alle velleitarie promesse di riscatto dei populismi. Una trappola insidiosa, dalla quale – almeno per un po’ di tempo – sarà assai difficile uscire. In Italia e in molte altre parti del mondo.
Dal 2016 il mondo non è più lo stesso. La Brexit, la vittoria di Trump negli USA, il No al referendum in Italia hanno inviato ai poteri occidentali un forte segnale di protesta. Se per i media e i vertici politici questi eventi sono stati del tutto imprevisti, per chi aveva compreso gli errori commessi dalla classe dirigente degli ultimi 40 anni il destino era già scritto. Dopo aver anticipato il successo di Donald Trump con il libro Perché vince Trump (quasi seimila copie vendute in sei mesi), l’analista americano Andrew Spannaus volge lo sguardo al 2017, con le elezioni nei più influenti Paesi europei.
"La Repubblica grigia" intende studiare la moralità nella Ricostruzione italiana (dal 1943-45 al 1953-55 e, in qualche caso, al 1958) attraverso l'impegno per l'educazione alla democrazia svolto dai cattolici in forme diverse. Si ricostruiscono, dunque, le iniziative di educazione popolare, di educazione dei tecnici, di educazione sociale, di educazione dei poveri, attraverso l'opera di personaggi con ruoli diversi, da Gonella a Colonnetti, da Moro a Nosengo, da La Pira e Lazzari a don Milani. Una storia che è anche un esempio di disciplinamento sociale. Il "grigio" indica un sentimento democratico umile e sereno, non retorico, in cui i diritti si intrecciano ai doveri, allo spirito di servizio. Il volume esplora un passaggio storico cruciale per la storia d'Italia: dalla Resistenza agli anni Cinquanta, la charitas cristiana si misurò, per la prima volta (almeno su scala di massa), con la scelta per la democrazia, innervando percorsi educativi e formativi differenti, ma tutti rivolti agli uomini e alle donne di ogni classe sociale. Non mancarono opportunismi e clientelismi: vi fu tuttavia, in modo preminente, una grande passione educativa democratica e sociale.
"Barbapapà è il soprannome che la redazione di 'Repubblica' aveva dato a Eugenio Scalfari, il fondatore e il primo direttore. Ho lavorato accanto a lui per quattordici anni, più altri diciassette all"Espresso'. E oggi qualche amico mi domanda sorpreso: 'Perché hai voluto scrivere da canaglia la storia del trionfo di Barbapapà e di quanto è accaduto dopo?'. Rispondo che l'ho fatto per non sottostare alla regola plumbea che tutela i grandi giornali. Fortezze sempre ben difese, capaci di incutere un timore riverenziale che induce a cautele cortigiane e narrazioni felpate. Con un po' di presunzione, sono convinto che nessun altro fosse pronto a costruire un racconto fondato su un'infinità di ricordi personali e con l'aiuto di un diario tenuto per decenni. Tuttavia questo non è un libro riservato ai soli addetti ai lavori. L'importanza acquisita da 'Repubblica' nell'ultimo trentennio fa del quotidiano guidato da Scalfari e oggi da Ezio Mauro un testimone unico dell'Italia odierna. Uno specchio autorevole, e in molti casi autoritario, che rimanda a un potere invisibile, ma concreto. Lo detiene il gruppo raccolto attorno a una testata in grado di influenzare partiti, governi, mode culturali, comportamenti di massa. Il mio racconto riporta sulla scena le stagioni che hanno reso forte 'Repubblica': l'epoca violenta del Settantasette, la bufera del terrorismo, l'assassinio di Moro, il caso P2, le battaglie con il Psi di Craxi e il Pci di Berlinguer...