
L'Introduzione alla sapienza è una piccola opera, presentata qui per la prima
volta in versione italiana e cinese con l’originale latino, rappresenta una sorta di compendio del pensiero vivesiano. Pubblicata nel 1524, essa conobbe un enorme successo. In essa traspare l’afflato pedagogico e cristiano di Vives. Tra gli argomenti eterogenei, il filo conduttore è la sapienza come discernimento, ossia retto giudizio
di valore. Il sapiente attribuisce ad ogni realtà il suo peso specifico, in relazione con la vera giustizia. Il tradizionale primato dell’anima sul corpo non snatura in un disprezzo dualistico verso le realtà materiali, ma orienta piuttosto, in chiave
“personalistica”, la ricerca del sano giudizio verso le virtù e la religione. Ed è per questo che la figura di Gesù Cristo assurge a centro o chiave di volta di tutto l’edificio. Le realtà, anche le più concrete e familiari, ricevono dagli insegnamenti dell’unico Maestro la loro determinazione ultima e la carità cristiana illumina tutto il convivere umano, dal modo di parlare al contegno verso gli altri e verso se stessi.
Afflitti da una profonda crisi culturale che si declina a livello europeo come ‘perdita di identità’ e a livello sociale e familiare come ‘emergenza educativa’, la lettura di Vives costituisce un valido contributo per attingere con discernimento al patrimonio classico e cristiano. La pubblicazione gioverà anche a far recuperare quei principi educativi che sono stati alla base del vero progresso dell’Occidente. Ragione e fede, sapienza umana e rivelazione divina, lungi dal contrapporsi, sono integrati secondo la migliore tradizione cattolica. Senso comune, dottrina biblica, proverbi grecolatini
e massime dei filosofi sono messi a servizio di un’unica sapienza di vita che esalta la scienza personale, la dignità umana, la vera fraternità e l’armonia tra esistenza terrena e destino nell’Aldilà. Tutto ciò fa di questo scritto un tassello irrinunciabile
di una ideale ‘Biblioteca della civiltà dell’amore’.
Juan Luis Vives (1492-1540) è il maggiore esponente spagnolo dell’umanesimo rinascimentale. Poco conosciuto in Italia, lo scrittore valenziano è un esempio di vero europeo, come i suoi amici Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro. Eredi della triplice fonte della civiltà occidentale (Atene, Roma e Gerusalemme) questi autori esprimono il meglio della cultura europea che sapeva congiungere razionalità critica, senso della giustizia e spiritualità religiosa. Pure la vicenda personale del Vives, che lo portò successivamente a Parigi, Lovanio, Londra, Oxford, Breda e soprattutto
a Bruges, documenta, dal punto di vista geografico, la sua europeità. Tra le sue opere ve ne sono alcune filologiche (lavori su Cicerone, Virgilio e Aristotele) e altre prettamente religiose (il Trionfo di Cristo, la Meditazione sulla Passione e la sua apologia sulla Verità della fede cristiana). Egli si occupò pure di giustizia sociale e di organizzazione della beneficenza (Il soccorso dei poveri) e fu un pioniere della letteratura pacifista in un’Europa dilaniata da guerre fratricide (Concordia et discordia humani generis e De Europae dissidiis). Ai temi dell’esistenza concreta, della morale familiare e sociale l’umanista ispano-fiammingo – noto come pedagogista ed educatore ‑ rivolge la sua attenzione con due trattati sulla vita coniugale (L’educazione della donna cristiana e I doveri del marito) e il suo celebre De disciplinis. In ogni ambito il suo ideale si esprime con queste parole: dignità, spiritualità, temperanza, operosità.
Agli antipodi di un cristianesimo triste e repressivo, Cencini conduce il lettore alla riscoperta dell’autentica dimensione della gioia, vero sale della vita del credente.
Cencini, approfondendo alla luce della parola di Dio e sotto l’aspetto psicologico il tema della gioia, afferma che essa "non la si può collocare tra gli optional della vita e della testimonianza credente, o ritenerla dote di natura o questione di carattere, e nemmeno semplice accessorio estetico che facilita l’approccio e rende simpatico l’annunciatore". La gioia è questione di contenuto, di maturità e solidità interiore, di esperienza e sapienza di vita, per cui i cristiani, uomini della gioia, del sorriso e del buon umore, devono diventare apostoli di un nuovo apostolato umanistico, quello dell’ottimismo cristiano, che nasce dalla speranza certa.
L'Autore
Amedeo Cencini, sacerdote, è docente dei corsi di “Formazione permanente” e di “Problematiche psicologiche della vita sacerdotale e religiosa” all’Università Salesiana e di “Accompagnamento personale: aspetti teorici e pratici” al corso dei Formatori Vocazionali; presso la stessa università insegna “Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato” alla Scuola di teologia e diritto, organizzata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo la trilogia sul celibato sacerdotale e religioso (Per amore, Con amore, Nell’amore, Dehoniane, 1994-1996- 2001) e la trilogia sulla vita comune (Com’è bello stare insieme, Come rugiada dell’Ermon, Come olio profumato, Paoline Editoriale Libri, 1996- 1999). Con le Edizioni San Paolo ha pubblicato Vita consacrata. Itinerario formativo lungo la via di Emmaus (1994, 2003); Come fuoco che divampa. Il consacrato aperto al dono dello Spirito (1998); Il respiro della vita. La grazia della formazione permanente (2002, 2003).
La bellezza ha da sempre costituito un elemento privilegiato nella vita dell’uomo anche per i massimi problemi dell’esistenza: è infatti in grado di parlare di noi stessi, della vita, di Dio, come nient’altro.
La bellezza conosce tuttavia anche derive manipolative e seducenti, ben note a chi opera nel mondo degli affari, dell’informazione, della pubblicità. Nel libro si indagano i molteplici e controversi aspetti di questa tematica affascinante, raccogliendo il ricco contributo offerto dai saperi più diversi: l’estetica, la filosofia, la Bibbia, ma anche la psicologia, la letteratura e la storia.
Questa caratteristica “poliedrica” della bellezza viene mostrata anche dalla varietà dei capitoli che scandiscono il libro, accogliendo le sollecitazioni di discipline e autori che a diverso titolo si sono occupati di essa: pur provenendo da contesti sociali e culturali differenti, essi concordano nel riconoscere alla bellezza una dimensione più grande dell’uomo, non ultimamente “afferrabile”.
Tale ingresso in una dimensione più grande può avere a sua volta notevoli ripercussioni circa la relazione con Dio: non a caso essa ha trovato proprio nella bellezza artistica uno dei luoghi privilegiati della Sua manifestazione, associandola ad una pienezza che ogni uomo desidera e di cui fa esperienza solo in alcuni fugaci momenti.
La bellezza non è un mero optional, né un lusso superfluo: essa è indispensabile per una vita degna di questo nome.
Autore
P. Giovanni Cucci è laureato in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dopo l’ingresso nella Compagnia di Gesù ha compiuto gli studi di teologia a Napoli presso la Facoltà S. Luigi. Successivamente ha conseguito la licenza in psicologia e il dottorato in filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. È professore di filosofia e psicologia all’Università Gregoriana di Roma e a Padova. Esercita l’attività di psicologo e scrive sulla rivista La Civiltà Cattolica. Tra le sue pubblicazioni: Ricoeur oltre Freud. L’etica verso un’estetica, Cittadella, 2007; La forza dalla debolezza. Aspetti psicologici della vita spirituale, Adp, 2011 (trad. in spagnolo); Il fascino del male. I vizi capitali, Adp, 2012; Esperienza religiosa e psicologia, Ldc-La Civiltà Cattolica, 2009; Il sapore della vita, Cittadella, 2009; (con H. ZOLLNER), Chiesa e pedofilia. Una ferita aperta. Un approccio psicologico-pastorale, Ancora, 2010 (trad. in spagnolo, portoghese, polacco, croato, ucraino); (con A. MONDA), L’arazzo rovesciato. L’enigma del male, Cittadella, 2010; La maturità dell’esperienza di fede, Ldc-La Civiltà Cattolica, 2010; P come perdono, Cittadella, 2011.
In questo trentunesimo volume della collana «Pubblicazioni dell'Istituto Paolo VI» sono raccolti gli Atti dell'XI Colloquio Internazionale di Studio, svoltosi a Concesio (Brescia) nei giorni 24-25-26 settembre 2010 sul tema «Verso la civiltà dell'amore. Paolo VI e la costruzione della civiltà umana». Il tema della civiltà dell'amore fu sempre caro a Giovanni Battista Montini, che, durante il pontificato, si dedicò con particolare impegno e con fede incrollabile al suo sviluppo teologico, magisteriale e pastorale, in una lucida e realistica visione di un mondo sempre più indifferente ai veri valori, sempre più incapace di superare il ristretto ambito personale per ispirarsi alla legge dell'amore, per la realizzazione della quale Cristo si fece uomo e morì sulla croce. Paolo VI cercò di dialogare con questo mondo, senza sovrastarlo, e di esserne un interlocutore paterno e illuminato. L'articolazione del Colloquio si svolge secondo due linee principali, quella storica e quella teologica, e ci guida lungo un cammino che inizia nella prima metà del Novecento dalla «civiltà cattolica», fin verso le varie modulazioni della «civiltà cristiana» (De Giorgi), per approdare, dopo Pio XI, alla ricerca della «civiltà dell'amore» (Veneruso). Questa, necessariamente, deve essere costruita su una «civiltà umana» nella sua accezione più profonda e completa (Durand), formata da uomini in quanto persone e in quanto esseri sociali (Sesboüé). In tale prospettiva una particolare importanza assunsero nel magistero di Paolo VI l'enciclica Populorum progressio e i Messaggi per la Giornata della Pace che egli stesso istituì (Joblin), dove si evince che il superamento armonico del contrasto tra religione e secolarizzazione, nell'interpretazione cristiana della transizione occidentale (Sequeri, conduce alla realizzazione di un nuovo legame sociale, la «civiltà dell'amore» appunto.
C'è sicuramente qualcosa di miracoloso, a pensarci bene, nel ritmo del tempo di Gesù e della sua rivelazione. Una rivelazione che si fa quasi tutta per strada: a passo d'uomo. Per prendere la misura dell'uomo, e assimilarne tutti i dettagli, il Figlio incarnato visse anni e anni fra le donne e gli uomini del fazzoletto di terra che aveva scelto. Perché la sintonia e l'assimilazione dell'umano vogliono tempo. Il tempo lavora l'anima e fa la differenza. Allo stesso modo, la Chiesa ha le sue stagioni migliori quando accetta di andare a passo d'uomo. Non più veloce, non più piano. Cercando di avere tenuta di strada, sguardo acuto sul solco e mano ferma all'aratro. Se vuole capire la terra deve abitarla, riconoscerne i profumi, saperne la vita. Nel trovare, o ritrovare, questa sapienza partecipe e senza affanno ci guidano i testi di PierAngelo Sequeri qui raccolti. Testi spesso molto brevi, che accompagnano occasioni del tempo dell'uomo e del cristiano, mettendole in risonanza con i tempi di Dio. Perché se il discepolo, il testimone viandante, va a passo d'uomo, seguendo il suo Signore, cammin facendo imparerà l'uomo. Saprà decifrare segni per altri impercettibili. Segni in cui si formano legature di Dio che sfidano il tempo. Autentici miracoli o piccole tracce. E a volte, le due cose coincidono.
Qual è il Dio vivente? Per Elizabeth Johnson è quello che si illumina di un nuovo significato ed è capace di accendere nuovi aneliti di fede nei diversi contesti della vita contemporanea. Ma soprattutto è un Dio degli umili, intravisto dagli oppressi nella sofferenza e nella miseria. "A partire dalla metà del xx secolo", scrive l'autrice, "si è assistito a un rigoglioso rinnovamento delle intuizioni su Dio. In tutto il mondo, gruppi diversi di cristiani, spinti da particolari congiunture storiche, hanno colto aspetti del Dio vivente da angolature nuove e inaspettate". Johnson ci accompagna così in un viaggio intenso attraverso le teologie più contestate: scopriamo che c'è una teologia dei latinos e dei neri, delle donne, di chi lotta per la liberazione, di chi dialoga con le altre religioni e con la scienza, e persino una teologia "ecologica". Questo saggio che incrocia la riflessione teologica con gli studi post-coloniali e il femminismo, la teoria sociale, la ricerca storica e la lotta per la liberazione, proponendo anche una nuova interpretazione della Trinità, ha scosso l'opinione pubblica mondiale e ha portato alla condanna di suor Elizabeth da parte dei vescovi degli USA.
Chi sono “le vecchie zie”? Sono il simbolo di coloro che, con pazienza, intelligenza e fede, ricostruiranno il mosaico della Tradizione. Tassello per tassello, figura per figura, senza la necessità di troppa teoria e senza sentirsi in dovere di giudicare i compagni di strada. Rifacendosi al titolo di un celebre pamphlet di Leo Longanesi, Gnocchi&Palmaro mostrano come saranno proprio loro, “le vecchie zie” a indicare quale sia la strada giusta per porre riparo ai disastri che il neomodernismo ha portato dentro la Chiesa cattolica. E, dicono i due autori, lo potranno fare per il semplice fatto che vivono di Tradizione, quindi hanno il privilegio di evitare di perdere tempo a parlarne. Con questo nuovo libro, che inaugura la collana “I libri del ritorno all’Ordine” da loro diretta per Fede & Cultura, Gnocchi&Palmaro susciteranno come sempre scompiglio e più di una reazione scomposta in campo progressista. Ma questa volta sapranno essere urticanti anche nei confronti di certo tradizionalismo e certi tradizionalisti. Per fare veramente “ritorno all’Ordine”, bisogna prima avere il coraggio e la lucidità di fare chiarezza anche nel proprio campo.
Nell'attuale linguaggio dominante, costituito prevalentemente da un lessico economico e quantitativo, non ricorre mai l'espressione "purezza di cuore". Nella nostra società secolarizzata sono scomparsi i "puri di cuore" ai quali è promessa la futura visione di Dio (Mt 5,8)? A questa domanda cercano di rispondere Salvatore Mannuzzu e Goffredo Fofi, che si confrontano, in modi diversi ma ugualmente liberi da pregiudizi ideologici e da dogmatismi religiosi o laicisti, con la sesta beatitudine. Il personaggio creato da Mannuzzu, un ottuagenario cristiano senza qualità, si misura con la parola evangelica, ne esplora la valenza teologica alla luce dei Salmi e della grande tradizione filosofica cristiana; confessa, in un coraggioso e spietato diario dell'anima, la sua tormentosa e tormentata ricerca di una purezza del cuore, ahimè perduta con i lontani e irrecuperabili natali dell'infanzia. Fofi analizza le ragioni storiche e sociali della perdita della purezza di cuore, causata dalla mutazione antropologica avvenuta con il passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà industriale e poi all'attuale, disumanizzata, società dei consumi; solo nell'Italia pre-industriale, arcaica e pasolinianamente innocente, ormai irrimediabilmente scomparsa, in certe personalità straordinarie come Elsa Morante e Aldo Capitini e in alcuni personaggi dei romanzi di Tolstoj e Dostoevskij, si possono ritrovare i puri di cuore.
Che ci troviamo di fronte a una svolta epocale nella civiltà umana, tutti lo avvertiamo, più o meno lucidamente: come mai in passato, oggi l’individuo cerca di costruirsi da sé, insofferente a ogni limite, sia esso la tradizione o la natura. Una sorta di mutazione antropologica sta cambiando le strutture profonde dell’umano, esito sempre più appariscente della postmodernità. Giuliano Zanchi ne illumina il meccanismo coerente, implacabile e potente nei suoi diversi risvolti, da quello scientifico a quello economico, politico ed estetico. Di fronte a questo sogno estremo di emancipazione, la coscienza cristiana si sente profondamente turbata. Essa oscilla tra un rifiuto arroccato sulle vestigia di un passato glorioso e una resa spesso inconsapevole allo spirito del tempo. La grande bussola del Concilio Vaticano II, che negli anni Sessanta aveva restituito slancio e idealità a un cattolicesimo alle prese con le sfide moderne, sembra aver perso le sue capacità magnetiche. Eppure il credente sa di non poter restare umano separandosi dalla storia. Semplicemente perché il Dio di Gesù Cristo ad essa si è legato per sempre. I discepoli pertanto accompagneranno queste «prove tecniche di manutenzione umana» con una cordialità non acritica, mettendo in gioco la propria antica sapienza a proposito dell’umano: «La presenza cristiana», ci ricorda Zanchi, «è chiamata, proprio mentre la civiltà sembra impegnata in un lungo esodo verso mete ancora incerte, a riaffermare la sua irrinunciabile affezione per una forma comunitaria della vita evangelica impiantata nel cuore dell’esistenza comune, umilmente a fianco della costruzione umana collettiva, decisa a scegliere sempre per propria dimora il luogo dove gli umani hanno le loro case, la loro vita, le loro speranze».
Giuliano Zanchi, licenziato in Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, è Segretario generale della Fondazione «Adriano Bernareggi» di Bergamo. Si occupa di temi al confine fra l’estetica e la teologia. Ha pubblicato Lo spirito e le cose (Vita e Pensiero, 2003); La forma della chiesa (2005); Nella luce dell’essere: conversazioni sul caso Van Gogh (2005), Il destino della bellezza (2008), Salomone e le formiche. La legge di tutti i giorni (Vita e Pensiero, 2010), Il Genio e i Lumi. Estetica teologica e umanesimo europeo in François-René de Chateaubriand (Vita e Pensiero, 2011).
Il tema dell'educazione nella post-modernità è affrontato da vari studiosi e analizzato sul piano delle scienze umane, della teologia e delle arti in generale. Questione che non iveste i soli metodi educativi, il come fare, bensì l'esperienza stessa della educazione , il suo senso e il suo valore.
Interventi che ruotano attorno al tema della “grande emergenza educativa” provenienti dallo scibile della teologia, delle scienze umane e delle arti in generale. Proposto dalla Cattedra di «Dialogo tra culture» di Ragusa, questo libro propone come rimedio allo smarrimento e al malessere dell’uomo contemporaneo 1. la costruzione di legami affettivi forti, perché questo rimedio è la radice degli altri rimedi 2. di rimettere al centro la ricerca della verità dell’uomo, la “questione antropologica” 3. di affrontare le grandi questioni del vero e del bene, coniugando tra loro teologia, filosofia e scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi e della loro reciproca autonomia. Interventi di Biagio Aprile, Giacomo Baroffio, Gianni Colzani, Zdzislaw J. Kijas, Ivo Lizzola, Domenico Paoletti, Luciana Pepi, Elena Pontiggia, Brunetto Salvarani, Ugo Sartorio, Abderrazak Sayadi, Edoardo Scognamiglio, Domenico Simeone, Italo Spada, Carmelo Vigna, Roberto Vignolo.
Destinatari
* Educatori, formatori, genitori, insegnanti * Tutti e in generale chi è interessato al dialogo tra culture
Autore
BIAGIO APRILE, francescano conventuale di Sicilia, ha conseguito il dottorato in teologia patristica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. È docente di discipline patristiche presso lo Studio teologico San Paolo (Catania) e l’Istituto teologico ibleo San Giovanni Battista (Ragusa). Collabora con la Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura (Roma), per la quale dirige la Cattedra di «Dialogo tra culture». È direttore dell’Ufficio per l’educazione cattolica, la cultura, la scuola e l’università della diocesi di Ragusa. Ha pubblicato La Passione di Cristo sulla croce. Studio sul commento II, al salmo 21 di Agostino d’Ippona (Pontificia Università Gregoriana, Roma 2007), curato Dialogo tra le culture (Edizioni Messaggero, Padova 2011) e collabora con diverse riviste, tra cui «Synaxis», «Asprenas» e «Horeb».
Il grande teologo tedesco si confronta con il tema dell'ermeneutica in uno scritto che unisce la profondità e l'ampiezza dello sguardo a un linguaggio volutamente chiaro, accessibile a tutti. La sintesi storica che Jürgen Moltmann magistralmente traccia non dimentica il tema escatologico che ne ha connotato la teologia.
Jürgen Moltmann è docente emerito di teologica sistematica alla Facoltà evangelica dell'Università di Tübingen. La sua riflessione ha segnato profondamente la teologia del Novecento.
Si tratta di un testo utile anche per l’anno della fede. L’autore ricorre al metodo che caratterizza la maggior parte dei suoi scritti: la teologia narrativa. Sono racconti, fatti di vita, esperienze, incontri che hanno il profumo delle parabole e sono presentati con immagini miranti a toccare il cuore, oltre che a dare scintille di saggezza alla ragione. Il libro è diviso in tre parti che raggruppano i racconti in un orientamento
di fondo che permetta di promuovere la crescita spirituale del credente: uno sguardo al passato, per rendere robuste le radici della nostra fede; la contemplazione del presente, per nutrire il nostro vivere di attimi che l’amore rende eterni; un’apertura al futuro per chi, credendo, ama e amando spera.
Autore
Valentino Salvoldi, già docente di filosofia e teologia morale all’Accademia Alfonsiana in Roma e in varie facoltà teologiche dell’Africa, America Latina e Asia, è incaricato dalla Santa Sede per la formazione del clero delle giovani Chiese. Ha creato attorno a sé un vasto movimento di solidarietà con i popoli del Sud del mondo. Ha fondato Shalom, un’organizzazione non lucrativa avente come finalità la crescita morale e culturale dei giovani in Italia e nei Paesi impoveriti. Dal 1998 il suo nome compare nell’annuario Distinguished leadership, che lo segnala per i suoi eminenti contribuiti come scrittore e come promotore di giustizia e di pace (American Biographical Institute). Tra le sue numerose pubblicazioni: Dalla legge all’amore. Dai comandamenti alle beatitudini (2005), Vivere... se questo basta. Un sentiero d’amore (2006), Prima martire del creato. Dorothy Stang (2011) editi con Paoline Editoriale.