
L'inatteso evento della risurrezione del Signore, qualunque siano state le forme con cui i discepoli ne hanno goduto, sta all'origine sia "della Scrittura", come memoria dei fatti concernenti la vicenda di Gesù, sia "della liturgia", come sistema rituale destinato a rendere quella memoria esperienza di una presenza vivente. Questo comune fondamento della Scrittura e della liturgia negli eventi della risurrezione trova la sua principale testimonianza nei "racconti di apparizione" che costellano le parti finali dei quattro Vangeli, in particolare nel Vangelo di Luca e nel Vangelo di Giovanni.
«La Bibbia non è un sito archeologico. Noi dobbiamo imparare a leggerla come luogo da cui qualcuno ci parla adesso, nel presente, per capire il nostro mondo, interpretare la nostra realtà e poter vivere tutto questo con fede» (dall’Introduzione), ed è proprio questo che fa Giuliano Zanchi in questo volume in cui rilegge com maestria e semplicità l’Apocalisse di Giovanni partendo dalle sue origini per metterne in luce il significato sempre attuale.
Sommario
Introduzione. Sulla Bibbia e noi. Crisi della profezia, nascita dell’apocalittica. Un sentimento antico e sempre nuovo. 1. Il mondo non era il trono di Dio? Il libro dell’Apocalisse di Giovanni. Ingresso nella visione. Il grande atto penitenziale. 2. Al cospetto dei vegliardi. Il rotolo: una liturgia della Parola. I sette sigilli: sintesi della storia della salvezza. Il settimo sigillo e le sette trombe. 3. Convivere col male. Le sette visioni. La grandezza di Dio e il potere del mondo. Sette coppe. Armagheddon. La caduta di Babilonia. 4. Gran Finale. Un linguaggio speciale. Fidanzamento in città. 5. Un sentimento permanente. Quattro grandi poste in gioco. Consigli in caso di vita alla fine dei tempi.
Note sull'autore
Giuliano Zanchi (1967), prete di Bergamo dal 1993, è direttore della Rivista del Clero Italiano e docente di Teologia presso l’Università Cattolica di Milano. Membro del comitato di redazione della rivista Arte Cristiana, si occupa di temi ai confini tra estetica e teologia. Per EDB ha pubblicato: Le migrazioni del cuore (2017); Un amore inquieto (2020); La giustizia più grande (2021).
In un mondo ormai "uniforme", in cui si fa sempre più ampio lo spazio dei non luoghi, diventa fondamentale riflettere sulla forma che la chiesa viene assumendo, come assemblea di credenti, ma anche come edificio, spazio per la celebrazione liturgica. L'autore rilegge gli elementi essenziali di una chiesa - altare, ambone, battistero, cattedra - alla luce della loro evoluzione storica e della riforma liturgica del Vaticano II. L'itinerario si conclude sulle "soglie", ossia i luoghi di ingresso che svolgono una funzione di cerniera tra spazio esterno del mondo e spazio interno della liturgia, frontiera che delimita i due spazi e che nel contempo li invita al dialogo perché, "come sempre succede nella storia, è il senso che l'uomo assegna ai suoi gesti a generare i segni e i luoghi nei quali essi vogliono prendere corpo".
Lungo tutto il primo millennio dell'era cristiana, le immagini religiose erano state elevate a una dignità che le avvicinava al potere simbolico del sacramento Nei secoli moderni, questa gloria storica dell'icona perde progressivamente significato. Si inaugura, con l'Umanesimo, quella che Giuliano Zanchi chiama «l'epoca dell'Arte e della Ragione», in cui il pensiero scientifico diventa lo strumento di interfaccia col mondo e l'immagine viene codificata secondo i canoni squisitamente qualitativi della formalità artistica. La cultura religiosa si ritrova così in esilio nella sua stessa epoca, guardata con sospetto e spesso assimilata alle regioni occulte della magia e della credulità. Eppure, la materia simbolica continua a muoversi, nella 'clandestinità' della devozione popolare. Compaiono immagini sacre 'residuali' che però riescono ad aprire brecce a quanto era stato lasciato fuori da porte ormai chiuse. 'Immagini vive' come quella del Sacro Cuore (ma anche le immagini miracolose, le apparizioni mariane, la Sindone di Torino) che esprimono un disagio e veicolano un rimosso. Storie che possono illuminare anche spazi della nostra 'civiltà delle immagini'.
Il 'Discorso della montagna' parla di una giustizia più grande, che però non è presentata come una cosa diversa rispetto alla piccola giustizia delle cose quotidiane. Al contrario, la sollecita e la permette.
"Una riflessione profonda, originale, poliedrica sulla pandemia ancora in corso: perché non siamo riusciti a capire ciò che stava accadendo?"
È molto difficile per ora capire veramente cosa significa per noi una pandemia che ancora ci tiene prigionieri. Ci vorrà ancora molto tempo. Per adesso si può solo raccontare. Quando questo libro sarà nelle mani di qualche gentile lettore, sapremo se e con chi avremo celebrato il natale, festeggiato il capodanno, condiviso gli eventi. Tutte queste parole, che ora metto in fila una dietro l’altra, avranno una luce diversa da quella che le ha viste nascere. Vi arriveranno già coperte di molta polvere. Io stesso incontrerò l’altro me stesso che è stato qui, in questo tempo indecifrabile, a scrivere sulla sabbia di cose che mutano in continuazione. Per quanto evanescenti, queste parole avranno provato lo stesso a tracciare un ricordo, parziale e soggettivo, della strada compiuta per arrivare a quel prossimo presente. Le avrò con imbarazzo messe alla prova di un trascorrere del tempo che come sempre ci avrà di nuovo sorpreso.
Autore
Giuliano ZANCHI (1967), prete di Bergamo dal 1993, è direttore scientifico della Fondazione Adriano Bernareggi di Bergamo. Licenziato in teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, si occupa di temi ai confini tra estetica e teologia. Tra le sue recenti pubblicazioni ricordiamo: Rimessi in Viaggio. Immagini da una chiesa che verrà (2018); I giorni del nemico (2020); Un amore inquieto. Potere delle immagini e storia cristiana (2020); La bellezza complice. Cosmesi come forma del mondo (2020). È membro di redazione della «Rivista del clero italiano» e della rivista «Arte Crisitiana».
Arte, cucina, moda, design, spettacolo, fiction, arredamento, grafica, comunicazione, insomma tutto quanto coinvolge la nostra vita viene confezionato con attenzioni estetiche persino ossessive. La seduzione è diventata un comandamento sociale. La bellezza ha riempito il mondo e plasmato i nostri occhi. Ma che sia anche in grado di salvarlo è tutto da vedere. Sembra piuttosto che, negli automatismi che regolano il nostro inconscio culturale, essa svolga una sorta di funzione riparatrice. Dove non sembra più possibile, per conclamata mancanza di esistenza, affidarsi a qualcosa di vero e reale, restano le strategie della simulazione estetica, dove tutto quello che conta - Dio, il senso, l'identità e i legami - diventa oggetto di una costruzione artificiale. La bellezza ha così preso il posto lasciato vuoto dalla verità. Una strabiliante industria dello spettacolo ci intrattiene con quelle mitologie, favole e narrazioni che secoli di paziente decostruzione hanno dichiarato defunte. La cultura artistica si è tramutata in una spiritualità laica e le religioni sopravvivono come offerta estetica. La congiunzione tra mercato e tecnica fornisce con prodigiosa efficienza quegli strumenti magici, soprattutto digitali, che sono indispensabili agli individui di questo tempo per modellare identità dove regnano incertezze. La cosmesi è così diventata la forma del nostro mondo. Ma si tratta solo di apparenza?
La lunga vicenda del legame tra storia cristiana e il potere delle immagini non si lascia facilmente rinchiudere dentro la comoda definizione di «arte sacra». Essa riguarda quel segmento di produzione artistica a soggetto religioso che ha trovato la sua più compatta codificazione dottrinale nei secoli della controriforma cattolica. Un diffuso riflesso mentale della cultura credente ha elevato questo specifico momento storico a forma permanente e quasi immutabile del secolare legame tra arte e fede. Per questo il suo declino moderno viene vissuto come un lutto che ha qualcosa di irreparabile.
Nella storia cristiana il rapporto fra la vita credente e il potere delle immagini non si è dato in un modo univoco e secondo modalità immutabili, ma sempre in modo dinamico e secondo modelli diversi. A lungo il cristianesimo si è tenuto lontano dalla seduzione idolatrica delle immagini per poi assegnare loro un potere molto vicino a quello del sacramento. In altre stagioni esse sono state separate da un potere che appariva eccessivo per essere ricondotte a un compito di rappresentazione del sacro. Nel nostro tempo le immagini sono a servizio di una potente cultura visiva che rende difficile il loro rapporto coi tradizionali bisogni dell’esperienza credente. Insomma, quella tra il potere delle immagini e la vita cristiana è da sempre un’amicizia inquieta. Una reciproca attrazione fatale che deve continuamente trovare i suoi punti di equilibrio.
Sommario
Introduzione. Tirare fili diversi. I. Il mondo delle icone. Le immagini nell’orbita del sacramento. II. I secoli della rappresentazione. Le immagini nell’orbita del sacramento. III. Il tempo della videosfera. Nel dominio dei simulacri mediali. Come si andrà avanti (invece di una conclusione). Bibliografia.
Note sull'autore
Giuliano Zanchi, direttore del Museo Bernareggi e del Museo e tesoro della cattedrale di Bergamo, è segretario generale della Fondazione Adriano Bernareggi. Licenziato in Teologia fondamentale e sistematica alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, si occupa di temi al confine fra l’estetica e la teologia e collabora con L’Osservatore romano e la Rivista del clero italiano. Con EDB ha pubblicato Le migrazioni del cuore. Variazioni di un’immagine tra devozione e street art (2017).
Come l’essere umano è intrinsecamente legato al corpo che abita, così anche la grazia di Dio ha bisogno di situarsi nel tempo e nello spazio per “accadere”.
E anche se nel cristianesimo gli spazi rituali sono ormai relativi, ovvero non costituiscono più la sostanza della liturgia, ne defi niscono comunque la qualità. Per questo meritano ancora che gli si riservi una certa cura. È ciò che cerca di fare Giuliano Zanchi con questo libro in cui ci offre una rassegna di quelli che lui stesso defi nisce “luoghi della grazia”. Perché, per usare le stesse parole dell’Autore, «predisporre la consistenza di un altare, di un ambone, dare forma a un’assemblea, disegnare luoghi di passaggio, illuminare lo spazio non sono esercizi puramente ornamentali [...]. Non si tratta semplicemente di arredi. Ma di luoghi della presenza».
Attraverso un’analisi storico-artistica delle forme si cercherà quindi di comprendere l’importanza di questi luoghi anche per il presente, svelando l’evoluzione teologica di cui sono segno.
Come ha efficacemente sintetizzato papa Francesco, non ci troviamo in un'epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d'epoca. Un intero scenario di paradigmi e valori, nel quale la cultura cristiana ha potuto radicare le proprie forme pastorali, sembra di colpo svanito. Lo stato d'animo di molti credenti è esposto ai rischi dello smarrimento, dell'accidia o dell'attaccamento risentito al passato. Ma i cristiani, almeno in Occidente, sono come rimessi in viaggio sulle strade di una storia nella quale testimoniare, senza acrimonia e senza pigrizia, il Dio di Gesù in compagnia di questa umanità irrequieta. Anche oggi, come in ogni tempo, il cristianesimo è possibile. Il complesso panorama di questo passaggio storico esige però lucida consapevolezza e acuto discernimento, condizioni per essere all'altezza del compito pastorale che lo Spirito chiede alle Chiese. Le linee maestre e le prospettive spirituali tracciate dal Concilio si stanno rivelando ancor più preziose, e attendono di essere compiutamente acquisite nella mentalità comune dei credenti. Le concrete pratiche della cura pastorale hanno bisogno di essere creativamente riprese e ripensate attorno ad alcuni nuclei essenziali: la liturgia, la parola, la carità, la trasmissione, la responsabilità. In ognuno di questi ambiti si può immaginare come, passo dopo passo, senza fughe in avanti e senza volgersi indietro, si può stare accanto agli uomini di oggi perché siano toccati dal mistero della grazia di Gesù.