
La Memoria in favore della libertà dei culti del teologo e letterato svizzero Alexandre Vinet (1797-1847) si presenta come un contributo imprescindibile nell'ambito dell'attuale dibatto italiano sulla separazione tra stato e chiesa, nonché in quello più ampio sulla laicità. Vincitore di un concorso bandito dalla parigina Società della morale cristiana e pubblicato nel 1826 a Parigi, è il primo contributo sistematico da parte protestante che proponga un modello civico per cui la chiesa e lo stato dovrebbero coesistere in modo assolutamente indipendente l'uno dall'altra. Si inserisce nel pieno del Risveglio protestante ottocentesco e contribuisce alla formazione di numerose Chiese libere in vari stati europei. La tesi centrale del libro è che la natura della società, che interessa lo stato, e quella della fede, di cui si occupa la chiesa, sono intrinsecamente diverse: la prima è sensibile ed esteriore e mira alla sopravvivenza degli uomini sulla terra; la seconda è spirituale ed interiore e mira al nutrimento e alla cura delle anime. Stato e Chiesa, essendo per natura e scopi così diversi, devono rimanere rigorosamente separati ed i diritti delle minoranze religiose di uno stato devono avere diritti pari a quelli delle confessioni più numerose. Il testo è preceduto da un saggio introduttivo del curatore, Stefano Molino, che lo colloca nel contesto teologico, sociale e politico del tempo.
Quest'opera è stata ideata per coloro che desiderano conoscere un disegno complessivo delle vicende che hanno segnato, nell'arco di oltre due millenni, il cammino della Chiesa Cattolica. Grazie a due noti studiosi di storia della Chiesa i volumi favoriscono lo studio agevolato di avvenimenti significativi collocati in quadri complessivi di riferimento che facilitano la comprensione di linee di sviluppo, di dinamiche interattive e di specifici elementi rilevanti. Si passa, in tal modo, da un concetto statico di storia ecclesiastica a una realtà dinamica di vita ecclesiale che si realizza nel mondo e nel tempo.
Accolto al suo primo apparire da vivaci discussioni e aspre polemiche, questo libro è qui riproposto in una nuova edizione che l'autore ha arricchito con un attento lavoro di chiarimento e approfondimento e con una stringente difesa dei metodi e dei risultati della propria ricerca. Oggetto dell'indagine è il mondo dell'ebraismo ashkenazita medievale, nel quale credenze popolari imbevute di superstizione e magia e di viscerali sentimenti anticristiani configurano una diffusa "cultura del sangue" contrastante con i precetti biblici e rabbinici. In questa cultura trova posto anche una ritualità religiosa stravolta, che porge suo malgrado argomenti alla calunnia dell'omicidio rituale, la terribile "accusa del sangue" origine di tante persecuzioni antiebraiche. E proprio nelle confessioni estorte nei processi per omicidio rituale (come quello famoso celebrato a Trento per la morte del piccolo Simonino) questa cultura viene in qualche modo alla luce. Scavando attorno allo "stereotipo calunnioso" dell'omicidio rituale Toaff fa così emergere una diversa immagine, per molti aspetti inedita, di quelle comunità e fornisce un contributo innovativo alla conoscenza dell'ebraismo europeo.
Quel che san Francesco Saverio, morendo nel 1552 al largo del continente cinese, aveva tanto desiderato, annunciare il Vangelo di Cristo all'Impero del Centro, fu possibile per i suoi confratelli gesuiti che inaugurarono, o quasi, un lungo periodo di reciproco fascino, ma anche di malintesi, tra il cristianesimo e la Cina. Étienne Ducornet, storico e teologo, profondo conoscitore della lingua cinese e della vita cristiana in Cina, conduce la sua ricerca fino ai nostri giorni, interrogandosi sui rapporti tra due mondi di pensiero. Individua tre sfide che la Chiesa cinese deve oggi raccogliere: l'inculturazione, la comunione e la modernità. Il suo libro, che sa far luce senza semplificare, rispettando le zone d'ombra e gli aspetti complessi, informa e, ponendo domande vere, fa riflettere sull'immensa posta dell'incontro di due destini.
In un’intervista rilasciata verso la fine della sua vita, Carlo Bo annoverava esplicitamente Clemente Rebora tra le tre o quattro figure letterarie del XX secolo che egli auspicava potessero essere traghettate nel III millennio. Maestro di un sapere che intreccia ardore poetico e passione religiosa, Rebora merita certamente di essere reso meglio accessibile al pubblico degli studiosi anche attraverso un’accurata edizione del suo epistolario.
Il volume, secondo di una trilogia, è frutto di una ricerca della Fondazione Bruno Kessler - Scienze religiose di Trento (già ITC-isr), avviata nel 1995 nell’ambito del «Progetto Rosmini» e tesa a creare un’edizione di grande rigore critico e completezza esaustiva dell’epistolario di Rebora. Fa seguito al primo volume (2005), relativo al periodo 1893-1928, e accoglie le lettere degli anni 1929-1944. Si tratta di un momento cruciale della scelta maturata da Rebora e che lo porta all’avvicinamento alla fede, alla pratica della vita cristiana, alla decisione di entrare nell’ordine rosminiano. Profondo fu infatti il legame Rosmini-Rebora: l’ideale di vita che il maestro chiedeva ai propri figli spirituali, concentrato nella triade dottrina, austerità, carità, fu assunto e incarnato da Clemente Rebora in modo eminente.
Sommario
Prefazione (A. Autiero). Nota all’edizione. Epistolario 1929-1944. Bibliografia. Indici.
Note sul curatore
Carmelo Giovannini, padre rosminiano, ha frequentato da giovane chierico Clemente Rebora nelle comunità rosminiane di Rovereto e di Stresa. Dopo il conseguimento della laurea in lettere moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano con una tesi su “L’ultimo Rebora”, ha proseguito la ricerca di lettere, testimonianze e manoscritti inediti del poeta lombardo, curando numerose pubblicazioni tra cui Epistolario Clemente Rebora. Volume I: 1893-1928. L’anima del poeta (EDB, Bologna 2005).
Cosa pensava quell’uomo forte, dai tratti nobili e dal passo deciso, di trentasei anni, il cui nome era Manuel da Nóbrega mentrerisaliva a piedi le pendici della Serra do Mar? Portoghese e missionario gesuita, era arrivato in Brasile, a Salvador da Bahia, il 29 marzo del 1549, insieme ad altri cinque confratelli, inviati alla Terra de Santa Cruz da Ignazio di Loyola su esplicita richiesta del re del Portogallo Giovanni III.La loro missione era l’evangelizzazione dei popoli nativi e il sostegno dell’educazione e dell’identità cristiana dei coloni portoghesi, identità che veniva gravemente minacciata dalla violenza, dalla cupidigia, dalla menzogna di cui loro stessi si erano resi responsabili.
Questo libro racconta l’avventura e la missione di Nóbrega ed i suoi compagni, Juan de Azpilcueta, Leonardo Nunes, Antonio Pires, Diogo Jacomé, Vicente Rodrigues e di tutti gli altri che li seguirono per prodigarsi nello svolgimento delle attività missionarie, specialmente centrate in quelli che erano i ministeri propri dei gesuiti: l’educazione dei bambini, la catechesi, l’amministrazione dei sacramenti.
Un racconto avvincente e drammatico, fino al terribile confronto con il potere coloniale, il dramma delle riduzioni, l’espulsione e il ritorno della Compagnia di Gesù in Brasile.
Marina Massimiè professoressa associata del Dipartimento di Psicologia e Educazione della Facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere dell’Università di São Paulo, Brasile. Ha all’attivo numerose pubblicazioni.
Nel secolo XI la lotta per le investiture scuote l'equilibrio fra identità cristiana e istituzioni politiche che aveva retto l'Occidente fin dall'età carolingia. Le altisonanti elaborazioni dottrinali a sostegno delle aspirazioni universalistiche di Papato e Impero non nascondono una quotidianità intessuta dalla perenne contrattazione di queste autorità universali con i poteri locali, laici ed ecclesiastici, in un gioco faticoso di reciproche legittimazioni. Allora la virtù monastica dell'obbedienza irrompe negli scritti dei polemisti di entrambi gli schieramenti fino a diventare la virtù politica per eccellenza, sempre pretesa ma mai completamente ottenuta dai teorici "sudditi", in un quadro complesso di continue sperimentazioni istituzionali.
Al centro di questo libro si staglia la figura della madre Marchi, fatta rivivere attraverso un limpido profilo culturale e spirituale, ed entro un vivace quadro di rapporti che si distribuiscono tra Bologna, sua città natale, Siena, Roma e Milano, e che hanno i loro caposaldi in personalità di grande rilievo, come mons. Giulio Belvederi, lo storico delle Catacombe, Aurelio Escarrè, abate di Montserrat, e, soprattutto, il card. Schuster. Di riflesso, prende risalto anche la comunità monastica da lei guidata, e con lei approdata, dopo varie peripezie, a Viboldone nel 1941, riuscendo ben presto a trasformare questa antica abbazia alle porte di Milano in uno dei centri più fiorenti del monachesimo femminile italiano. Avvincenti testimonianze, attinte al ricco epistolario della Madre, caratterizzano non solo l'intelaiatura dei saggi ospitati nel volume, ma ne fanno nel complesso un'opera ben orchestrata e pienamente fruibile da chiunque: purché "assetato" di valori culturali e spirituali, di cui la storia del monachesimo è portatrice.
Quando nel 1861 l'Italia fu unificata e fu avviato il processo di costruzione di un sistema pubblico e nazionale d'istruzione, la classe dirigente si trovò dinnanzi un'enorme messe d'istituti di fondazione preunitaria. Alla classe dirigente apparve, dunque, necessario estendere il proprio controllo su tutte le strutture educative esistenti, prima di tutto sui seminari vescovili che rappresentarono il grosso di quell'eredità: oltre 400 erano i seminari presenti sul territorio e che in gran parte funzionavano come scuole per laici. Il volume si concentra sulla trasformazione dei seminari vescovili italiani in rapporto alla costruzione di un sistema pubblico e nazionale di istruzione: nel caso dello Stato, dunque, come della Chiesa, la modernizzazione e specializzazione della formazione passò attraverso un percorso di definizione e delimitazione delle sfere d'influenza reciproche.
Le suppliche sono documenti inviati direttamente al papa per chiedere grazie, dispense, licenze e assoluzioni. Esse permettono dunque di indagare i rapporti tra la chiesa diocesana e la curia romana. Per la diocesi tridentina, appartenente al Sacro Romano Impero Germanico, le suppliche consentono inoltre di analizzare le relazioni tra i principi vescovi di Trento e i vertici politici rappresentati dall'imperatore e dal conte del Tirolo. Il volume raccoglie le suppliche trentine contenute nei "Registra Supplicationum" conservati presso l'Archivio Segreto Vaticano per i pontificati da Pio V (1566-1572) a Clemente VIII (1592-1605). Prosegue così il lavoro di edizione iniziato con la pubblicazione delle suppliche relative ai pontificati compresi tra Leone X (1513-1521) e Pio IV (1559-1565).