
Antologia di brevi riflessioni di vari autori, che ridonano il gusto delle parole che risuonano nella vita dell'uomo di oggi. Parole della vita, perché la vita è fatta di parole e le parole servono a spiegare la vita. Parole della vita, che un cristiano dovrebbe sempre confrontare e misurare con la Parola di Vita, affinché ogni parola ritrovi senso e pienezza. Sono parole spiegate nel loro senso letterale, intercalate da racconti e ritmate da brevi frasi sulla vita, disseminate nel volume come un leggero filo che lega il tutto.
La vita monastica ha per sua stessa conformazione la continua necessità di rinnovare il proprio contatto con Dio. In un'epoca come l'attuale, così magnifica ma anche così complicata, il monachesimo e in particolare quello femminile benedettino che questo volume analizza, si dimostra come l'elemento profetico e unificante portatore dei fondamentali valori religiosi dell'uomo. Madre Monica Della Volpe si rivolge, in queste pagine, alle consorelle di Valserena in una sorta di dialogo materno nel quale tocca alcuni nodi particolari dell'argomento ed insegna l'autenticità del servizio a cui tutte loro sono chiamate. La vita comune, in particolare, deve essere spunto per una maturazione umana che tocca l'apice nell'incontro: incontro con la realtà del monastero e con gli insegnamenti della badessa che, infatti, non a caso diventa maestra di vita per novizie e consorelle.
Mentre leggo, sono letto. È questa l'esperienza che si può fare aprendo il Vangelo. "Benvenuti al ballo della vita" lancia una scommessa: questo testo millenario può essere considerato un moderno manuale d'istruzioni per l'uso della vita, che come una danza ti fa fare un passo avanti e due indietro, ti fa incontrare qualcuno che ti pesta i piedi, ma soprattutto ti chiede di lasciarti coinvolgere nel ritmo della musica dell'amore. Non è un testo teologico né di catechismo. Sono chiacchierate sulla quotidianità profana alla luce di una pagina sacra: riflessioni sul Vangelo della domenica attorno a cui un gruppo di amici si è dato appuntamento settimanale tramite e-mail, innescando un passaparola via web che ha stimolato conclivi-sioni e dibattiti. Una prova che il Vangelo continua ad avere la forza di essere la buona notizia che, sebbene parta da "quel tempo", ti può raggiungere "adesso" e ovunque. Giulio Dellavite attraverso quattro momenti - l'incarnazione di Cristo, la sua vita pubblica, la passione e resurrezione, e infine la vita della Chiesa - ci accompagna nel mistero e nella bellezza dei testi evangelici. Mette in gioco la sua preoccupazione di prete che ogni domenica si trova tra le mani la preziosità di un messaggio da condividere, abbattendo pregiudizi su Dio e sulla Chiesa che troppo spesso impediscono di cogliere lo splendore della verità di Gesù Cristo.
Una gelida serata invernale, una sperduta stradina di campagna imboccata per evitare le code in autostrada, la potentissima auto superaccessoriata all'improvviso in panne, il navigatore e lo smartphone desolatamente muti e, intorno, una fitta nebbia: tutto sembra congiurare contro il rientro in città, quel venerdì sera, di un giovane manager frenetico. Alla ricerca di un telefono per chiedere aiuto, finisce per bussare al portone di un'antica e isolata abbazia. Accolto da un rustico padre portinaio sottilmente ironico e da un sereno abate dalle perspicaci doti introspettive, il manager si scontra subito con l'essenzialità della vita monastica. A poco a poco, però, il suo spaesamento e la sua impaziente irritazione iniziale si stemperano, finendo per trasformare il pernottamento in un viaggio alla scoperta di una realtà solo in apparenza lontana da quella fuori delle mura dell'abbazia e, soprattutto, in un viaggio dentro se stesso. A fargli da guida i dialoghi con l'abate e il padre portinaio, e con i loro confratelli (il bibliotecario, lo speziere, l'ortolano), su temi universali come politica, economia e bene comune, ecologia e ambiente, verità e fake news, ruolo delle donne, apertura al mondo. Chi dei due ha più da insegnare all'altro? È il monaco che ha bisogno del manager o il manager del monaco? Nell'irreale silenzio che abita gli antichi spazi del chiostro il manager scoprirà un modo nuovo di essere leader. Quello della sfida del Pope Francis' Style. Così come l'abito non fa il monaco, infatti, il ruolo non fa il manager. Abituato a dare lezioni di management e a gestire problemi-eventi-persone, l'ospite imparerà che niente è pericoloso come l'illusione di avere potere sugli altri. Usato come sostantivo, infatti, il potere è un motivetto che si fischia da soli. Diventa una sinfonia solo se inteso come verbo: poter essere, poter fare, poter guidare, poter decidere. E per essere suonata, una sinfonia richiede sia la capacità del direttore d'orchestra di amalgamare le voci di strumenti distinti, sia l'abilità dei singoli, che dovranno dare il meglio di sé, in armonia con tutti. In "Se ne ride chi abita i cieli", don Giulio Dellavite affronta, attraverso la lente particolarissima della cultura monastica, tutti i temi cari ai manager di oggi: dal pensare in ottica relazionale alla gestione delle organizzazioni, dai modelli di leadership responsabile alle migliori strategie per vivere il cambiamento. Così facendo, attualizza insegnamenti millenari e suggerisce a chi legge che la vera grandezza sta nel non perdere mai di vista la propria dimensione interiore, spirituale. Soprattutto, la propria umanità.
La normalità spesso ci sembra sinonimo di noia, grigiore, rassegnazione. Una ruota da criceti su cui continuiamo a correre, una prigione dalla quale vorremmo evadere. In realtà, se affiniamo lo sguardo e apriamo il cuore, le piccole cose quotidiane hanno un valore immenso, possono permetterci di evolvere e migliorare, possono renderci generativi. La sfida che Giulio Dellavite ci propone in questo nuovo libro è quella di superare una visione «avvilente» della normalità e di riscoprirvi invece il lato «avvincente», che può portarci a vincere. Con la sua scrittura attuale e originale, torna dunque a parlare di Vangelo, per suggerirci un cambio di prospettiva: ritrovare la straordinarietà dell'ordinario. Compone così un abbecedario, che mescola le caratteristiche della quotidianità con aspetti più curiosi: amoressia (con la emme!), decriptazione, fashion style, liminarità, mecciare, opinionismo, performance, quinto quarto, viralità. In questa chiave, l'autore riflette ancora una volta su quella storia profondamente umana che il Vangelo offre come specchio per vedere il proprio volto. Anche Gesù - a parte gli ultimi tre anni della sua vita - ha condotto un'esistenza normale, ma proprio viverla a fondo è stato per lui scuola e palestra per imparare a essere uomo e scoprirsi Figlio di Dio. Lo spiegano, dalla A alla Z, i personaggi meno conosciuti del Vangelo, figure secondarie come il cameriere dell'Ultima cena, Giairo, Nicodemo, la moglie di Pilato o il quarto Re Magio. «Perché loro sono noi.» Partendo da queste figure, l'autore tesse un elogio della normalità intesa come spazio in cui ciascuno può mettersi alla prova e imparare a leggere la propria storia come una nuova pagina sacra. Dimostrandoci che anche le cose e le azioni più semplici restano comunque e nonostante tutto divine.
Con l'aiuto di alcuni esempi, l'autore ci porta a riconoscere che la nostra fragilità, se non è accettata e viene soffocata dall'egoismo e dalla chiusura a Dio e agli altri, diventa non vita. Invece, se accolta nella certezza che davvero la nostra vita è nelle mani e nel cuore di Dio, il suo amore diventa «stampella» alla nostra fatica. Questo libro può essere usato come un piccolo corso di esercizi spirituali; sono sette capitoli da leggere uno al giorno per sette giorni. Utilizzando gli spunti di riflessione e le proposte in fondo ad ogni capitolo, può diventare uno strumento per guardare il nostro cuore e aprire la porta a Dio. Vorrei che, leggendo queste pagine, sentiste la vostra fragilità, debolezza e sofferenza abbracciate dall'amore di Dio, che dona la forza di rialzarsi e ricominciare ogni giorno. Prefazione Guido Marini.
Quattro celebrazioni che partendo dalla missione, dal carisma e dalle parole del Santo dei giovani vogliono trasmettere la passione per la vita che caratterizza l'attività e lo spirito salesiani.
Con stile affettuoso e ironico l’Autore racconta un mondo che ben conosce, quello che gravita attorno alla chiesa, alla canonica, all’oratorio con tutti i suoi attori e comprimari: il parroco e gli altri sacerdoti, i giovani, i membri del consiglio parrocchiale, i volontari, le catechiste, i devoti zelanti... Un mondo con tanti difetti, perché fatto da persone diverse e con i propri limiti, ma ricco di umanità e aperto a tutti.
Destinatari
Un ampio pubblico di sacerdoti e semplici fedeli.
Autore
Mario Delpini, nato a Gallarate (Varese) nel 1951, è sacerdote dal 1975. Laureato in lettere e diplomato in teologia patristica ha dedicato molti anni all’insegnamento ed è stato rettore del Seminario di Venegono. Nel 2007 è stato ordinato vescovo dal cardinale Dionigi Tettamanzi e attualmente ricopre l’incarico di vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Milano. È autore di molte opere finalizzate all’educazione cristiana e vocazionale, in particolare per i giovani; i suoi scritti sono spesso contraddistinti da uno stile acuto ed ironico.
Punti forti
Un ritratto dal carattere molto “ambrosiano”. ●● Un autore noto, che per anni ha tenuto una
rubrica su «Avvenire». ●● Situazioni e personaggi in cui è facile rico-
noscersi.
Il primo libro del nuovo arcivescovo di Milano. Con una scrittura sempre arguta ed efficace, monsignor Delpini rilegge situazioni di vita quotidiana delle nostre parrocchie, stigmatizzando i difetti più comuni del rapporto tra preti e fedeli, delle "pie donne" e dei sacerdoti "manager". Brevi quadri di vita concreta in cui tutti possono ritrovarsi. Tanti spunti per riflettere e per sorridere, ricchi di autoironia. «Leggete e rileggete, meglio ancora scanditele piano e ascoltatele davvero, le "voci" del Vocabolario della vita quotidiana che il vescovo Mario Delpini ha scritto tra l'11 settembre 2016 e il 2 luglio 2017 per la prima pagina di Avvenire-Milano Sette e che abbiamo raccolto in questo agile libro. Provate a farlo, e capirete perché quando venerdì 7 luglio è risuonato l'annuncio della nomina di "don Mario" a nuovo Arcivescovo di Milano, successore del cardinale Angelo Scola, erede della cattedra e della tradizione di Ambrogio, in tanti hanno "sentito" immediatamente che papa Francesco aveva deciso di dare alla città e all'intera diocesi una guida che di questa Chiesa e in questa Chiesa è davvero e profondamente figlio e padre». (dall'introduzione Marco Tarquinio, direttore di Avvenire)
«In un tempo di fatica esistenziale per tutti, per il crescere dell'ansia, a seguito della interminabile pandemia, occorre uno stile nell'esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza, anticipando, nella fermezza e nella gentilezza, il senso promettente e sorprendente della vita, con un agire non tanto e non solo solidale ma sinceramente fraterno». Spesso chi ha responsabilità si trova di fronte «il singolo individuo, incline a pensare solo a sé e a ritenersi il centro dell'universo, secondo un individualismo troppo diffuso e troppo approvato, ritenga che i suoi desideri, bisogni, pretese, tutto sia legittimo e urgente». La priorità irrinunciabile è innanzitutto la famiglia, a partire dalla «promozione delle condizioni che rendano desiderabile e possibile la formazione delle famiglie». Una stabilità del nucleo familiare avviene se «trova nella società condizioni di vita serene, sane, per la disponibilità di case accessibili, per occasioni di lavoro propizie, per il sostegno necessario alla paternità e alla maternità responsabili, per alleanze educative». Altra priorità sono i giovani. «L'emergenza educativa deve richiamare l'attenzione di tutti non solo nello sconcerto di episodi di cronaca impressionanti per aggressività, degrado, depressione. La stagione indefinita del Covid-19 ha diffuso, soprattutto negli adolescenti e nei giovani, svariate forme depressive, con un aumento considerevole dei disturbi alimentari sino alle forme estreme della bulimia, dell'anoressia, del buttar via la vita nei rischi estremi e nel suicidio». La riconoscenza e la gratitudine vanno a tantissime persone impegnate sui vari fronti: sindaci, amministratori, forze dell'ordine, insegnanti, personale sanitario, sindacati, volontari, professionisti. «Ringrazio tutti coloro che vivono con onestà, impegno, fiducia i rapporti ordinari e che contribuiscono a dare della nostra città e del nostro territorio l'immagine di una società in cui è possibile una vita buona». «È mio desiderio incoraggiare tutti nella pratica della lungimiranza, fieri della nostra identità ambrosiana e proprio per questo forti nel resistere a ogni illegalità, tentazione divisiva, mancanza di speranza, certi che la potenza d'amore dello Spirito continua ad abitare anche la nostra Milano facendo germogliare infiniti semi di bene».
Per far giungere nelle case i consueti auguri natalizi, l'arcivescovo Mario Delpini ha immaginato quest'anno che a scrivere fosse la "Mamma di famiglia" Gianna Beretta Molla. Si rivolge così, attraverso una serie di lettere "firmate" dalla santa, alle persone che si preparano a festeggiare il Natale: la nonna, la ragazzina, il bambino vivace, il medico, il sindaco, il parroco, lo straniero... per concludere con un pensiero dedicato a chi il giorno della festa lavorerà. Una benedizione, un messaggio di vicinanza e di speranza per superare i momenti difficili e gioire della nascita di Gesù.
«È un momento istituzionale. Eppure non posso trattenermi da una confidenza personale. Con il passare degli anni trovo sempre più insopportabile il malumore.» Inizia così l'atteso discorso che l'Arcivescovo di Milano rivolge, come ogni anno, alla città di Milano in occasione di Sant'Ambrogio. L'Arcivescovo Delpini incoraggia a perseguire «il realismo della speranza», per contrastare ogni sterile disfattismo. Si rivolge a tutti noi, dai cittadini alle istituzioni, dai credenti ai laici, incoraggiandoci a guardare oltre noi stessi, a porci l'importante domanda: «E gli altri?». La risposta è fare degli altri i veri interlocutori di ogni nostro pensiero e azione, nutrirli dei frutti prodotti dal realismo della speranza.