
Descrizione dell'opera
È possibile dare un senso alla sofferenza? Due passi della Lettera agli Ebrei sono di fondamentale importanza per intraprendere un tentativo di risposta a tale domanda. Essi dichiarano che Cristo «imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8) e, poco più avanti, che la sofferenza è utile alla «correzione», al fine di poter partecipare della santità di Dio (cf. Eb 12,7.10).
L’autore scorre ed enuclea in modo particolareggiato le diverse sfumature che la sofferenza educatrice assume nelle varie tradizioni dell’Antico Testamento per approdare ad alcuni testi significativi del Nuovo Testamento e, quindi, ai passi-chiave della Lettera agli Ebrei. L’analisi letteraria ed esegetica di questi ultimi porta a comprendere in che senso è possibile parlare di valore educativo della sofferenza di Gesù, che ha scelto di condividere in tutto – fino alla morte – la vita dell’uomo, e di valore educativo della sofferenza dei cristiani, i quali possono attraverso di essa fare esperienza della salvezza.
«La lettura di questo bel volume richiede certamente un notevole sforzo, perché si tratta di uno studio approfondito, ma, per la stessa ragione, questo sforzo viene ampiamente ricompensato dai risultati ottenuti» (dalla Prefazione).
Sommario
Prefazione (card. A. Vanhoye). Introduzione. 1. La sofferenza educatrice nell’Antico Testamento. 2. La sofferenza educatrice nelle tradizioni neotestamentarie. 3. «Imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8). Il valore educativo della sofferenza in Gesù. 4. È per la vostra formazione che soffrite (cf. Eb 12,7). Il valore educativo della sofferenza nei cristiani. Conclusione. Bibliografia.
Note sull'autore
Filippo Urso, sacerdote dell’arcidiocesi di Taranto, insegna scienze bibliche all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Romano Guardini” della Facoltà teologica pugliese (Taranto), è direttore degli uffici per la pastorale della salute della diocesi di Taranto e della regione ecclesiastica Puglia ed è membro della Consulta nazionale della CEI per la pastorale sanitaria. Ha pubblicato Fragilità psichica e mondo giovanile, CVS, Roma 2006.
La lettera agli Ebrei, secondo una ormai nota espressione di E. Grässer, non è una lettera, non è di Paolo, né è stata inviata agli ebrei. È invece un magnifico e dotto "discorso di esortazione" (cfr. Eb 13,22) sul sacerdozio di Cristo, messo per iscritto e poi inviato a cristiani vittime di opposizioni e persecuzioni, bisognosi di una parola di incoraggiamento e di consolazione per rimanere saldi in Gesù, "autore e perfezionatore" della loro fede (12,2), unico mediatore tra Dio e gli uomini. Il titolo "Agli Ebrei" (Pròs Hebraíous) non fa parte dell'opera, ma è stato aggiunto successivamente. Infatti, non c'è alcun riscontro nel testo di questo nome o di quello di "giudei" oppure di "Israeliti", né ci sono allusioni a pratiche loro proprie come la circoncisione. Inoltre, non è indicata la regione in cui i destinatari vivono, né le loro origini etniche. Non si sottolinea, altresì, alcuna distinzione tra giudei e pagani. Ciò che è certo è che il predicatore si rivolge a dei cristiani (cfr. 3,14) - e cristiani di lunga data (cfr. 5,12) - i quali sono esortati a rimanere saldi nella fede in Cristo contro tendenze giudaizzanti di ritorno. Proprio questo aspetto, insieme a una conoscenza approfondita del culto giudaico, ha fatto pensare che l'autore si rivolgesse alla comunità di ebrei.
È l’ora dell’Apocalisse.
Mai come oggi il mondo si è trovato nel pericolo di una guerra che minaccia l’umanità intera: con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si è scatenata una guerra assurda, senza neppure ragioni o motivi giustificabili, e si è arrivati a temere una guerra mondiale e nucleare. In pochi giorni un’intera nazione è stata distrutta e milioni di profughi hanno invaso l’Europa.
“La terza guerra mondiale è già in corso, a pezzi”, ha ripetuto Papa Francesco: 30 guerre “dimenticate” si svolgono nel mondo. I blocchi orientali e occidentali anziché scomparire divengono sempre più minacciosi.
Il Mediterraneo è divenuto un grande cimitero: migliaia di profughi sono stati inghiottiti dal mare. Nel mondo dell’illuminismo, dell’umanesimo, del dialogo e della fraternità i nazionalismi e i fanatismi pullulano come non mai.
Il covid ha messo in ginocchio le certezze di una medicina all’avanguardia capace di affrontare ogni pandemia e l’umanità deve ricorrere alle mascherine e ai lockdown.
Già il profeta Osea aveva levato il grido: “Il mio popolo è duro a convertirsi, chiamato a guardare in alto, nessuno sa alzare lo sguardo”. E Gesù parlando di questi eventi invitava: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo perché la vostra liberazione è vicina”.
L’Apocalisse denuncia la Babilonia che ha estromesso Dio per costruire la città dell’uomo, e chiama al ritorno, al ravvedimento, alla conversione. È una parola attuale, che si realizza oggi.
Vito VACCA, Dopo un’esperienza di insegnamento nelle scuole salesiane della Palestina e poi di assistente cappellano dei diversi gruppi linguistici che lavoravano nei campi di petrolio dell’Iran, egli rientra nella diocesi di Roma e collabora con la parrocchia di S. Ireneo a Centocelle dedicandosi nello stesso tempo all’evangelizzazione con un’equipe del Cammino Neocatecumenale in Medio Oriente e in Uganda. Gli viene poi chiesto dal cardinale Ruini di Roma di dirigere la parrocchia di S. Andrea Corsini dal 1998 al 2008. A 65 anni, dietro richiesta del Patriarca Latino di Gerusalemme, viene inviato di nuovo in missione “fidei donum”, e fu parroco dei cristiani di Genin in Palestina, e del villaggio cristiano di Smakieh in Giordania. Dando la sua disponibilità dovunque ci fosse bisogno, si reca in Qatar dietro richiesta di Mons. Camillo Ballin, come responsabile diretto delle comunità italiana e francese, di quella araba latina, e in aiuto alla comunità maronita e alle celebrazioni in lingua inglese.
Durante tutti questi anni ha fatto conoscere l’importanza dei cristiani della terra di Gesù e ha portato centinaia di fedeli a visitare le piccole comunità cristiane della sua missione. I numerosi pellegrinaggi tendono a far scoprire il senso della vita intesa come pellegrinaggio alla Gerusalemme celeste e ad approfondire da un lato i vangeli visitando i luoghi santi sulle orme di Gesù, dall’altro il Vecchio Testamento camminando sui passi dell’Esodo e infine gli Atti e l’Apocalisse visitando le prime comunità evangelizzate in Asia Minore.
Il saggio è dedicato a quattro “arazzi” biblici di straordinaria intensità e bellezza: Giona, il Cantico dei Cantici, il libro di Giobbe e Genesi 22, con Abramo che alza il coltello sul figlio Isacco, per immolarlo.
I testi scelti sono “esperienze-racconto” profonde, capaci di interpellarci e coinvolgerci ad ogni livello. I personaggi fanno esperienza della vita, in tutto il suo “fascinoso e tremendo”. Può essere l’esplodere dell’amore, il morso del dolore o una richiesta divina che sfiora l’assurdo. Ed eccoli allora, gli uomini biblici, precipitare nel fondo, scendere negli abissi oscuri dell’esistenza, dove angoscia, non-senso, oscurità sembrano prevalere. Eppure nella Bibbia qualcosa sempre i personaggi vedono: può essere la mirabile visione di Giobbe, il perdersi e ritrovarsi incessante degli amanti del Cantico o solo uno spiraglio, come Giona finalmente fuori dal ventre del grande pesce.
L’esperienza biblica è esperienza umana: nessuno se ne può dire estraneo, perché di amore, di dolore, di ricerca incessante di se stessi, di Dio, della realtà intera si parla.
I racconti biblici sono viaggi iniziatici e di divinizzazione: narrano iniziazioni e chiamano il lettore a viverne, perché scenda dentro se stesso, visiti la sua interiorità, si apra alla realtà tutta e la scopra trinitaria, umana, divina e cosmica insieme, «cosmoteandrica» (Panikkar)
Il saggio propone una lettura "intera", olistica, che tenga insieme il livello letterario con quello psicologico e mistico, il simbolo con la poesia e la vita.
Prefazione di Raimon Panikkar
GLI AUTORI
GIANNI VACCHELLI è professore di letteratura italiana in un liceo classico milanese e insegna al Dipartimento di Italianistica (Scienze della Formazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Tiene corsi e conferenze, scrive libri per la scuola, racconti e saggi. La Bibbia e Dante, letti in una prospettiva simbolica che tenga insieme il livello interiore con quello letterario e mistico, sono i suoi principali oggetti di studio. La sua lettura, attenta al dialogo interculturale, è al crocevia delle tradizioni spirituali d’Oriente e d’Occidente.
Sono necessari, più che mai oggi, nuovi orizzonti di lettura della Bibbia, capaci di aprire al dialogo autentico, alla trasformazione, alla pace.
In questo senso le intuizioni del grande filosofo e teologo Raimon Panikkar sono imprescindibili: si pensi alla necessità del dialogo intrareligioso e alla visione cosmoteandrica, Dio-Uomo-Mondo.
L’Alleanza delle religioni è una realtà simbolica, mistica, non solo un’aspirazione o un’utopia. Un’immagine può significarla: l’arcobaleno, “segno di alleanza”. E la Bibbia ne è un colore, così come ogni religione e tradizione, scritta o orale, che sia.
Al centro è l’armonia, che non toglie le differenze, ma che pure fa danzare insieme gli uomini – di ogni razza, credo ed età –, il cosmo e il mistero divino.
Il saggio si apre a nuovi orizzonti di lettura della Bibbia. Al centro questioni decisive per il nostro tempo quali la pace, il dialogo, l’interpretazione (di un testo sacro, ma anche della realtà stessa).
Due movimenti, diversi e complementari, sono indispensabili: uno sguardo in profondità nella propria tradizione (ebraica, cristiana) e insieme un’apertura reale ad altre visioni del mondo (l’Oriente e non solo).
In questa direzione i contributi dell’ermeneutica di Raimon Panikkar sono fondamentali: basti pensare al dialogo intrareligioso, all’intuizione cosmoteandrica, al superamento del «mito della storia».
Aprirsi all’“altro” non significa rinnegare le proprie origini: il patrimonio della “radice ebraica” è essenziale e da approfondire. L’“albero biblico” non va sradicato, ma trapiantato con la parte migliore del suo luogo natio, in modo che possa attecchire al proprio terreno in un nuovo ambiente, con reciproco arricchimento.
Il misterioso personaggio di Melchisedec, «re di Salem» e di pace, che benedice Abramo (Gn 14, 18-20), ci conduce a un’altra intuizione fondante del saggio: quella dell’Alleanza mistica delle religioni. La Bibbia sarebbe un colore di questo “arcobaleno cosmico”. E così ogni religione, scritta o orale, senza mai dimenticare la tradizione secolare.
L’approccio non è solo teorico: il libro presuppone una prassi e ad essa invita. E soprattutto vuole suggerire processi liberatori, nell’ambito umano, interiore, religioso.