
Il confronto tra Gesù e Socrate, implicito già in Erasmo da Rotterdam e successivamente esplicitato in Rousseau, Hegel e ora persino nei blog filosofici su Google, solleva l'interrogativo sull'identità del Nazareno. Non basta affermare, per esclusione, che egli non è un greco né di etnia né di cultura e nemmeno un giudeo della diaspora ellenistica. Tanto meno si può sostenere in modo acritico che la lingua greca degli evangelisti sia la stessa di Gesù, anche se era diffusa in Galilea negli ambienti più colti della società. Non si può nemmeno escludere che egli ne avesse una conoscenza almeno sommaria, ma di certo non era la sua lingua madre e nemmeno quella usuale come mezzo di comunicazione. Questo aspetto di Gesù si può forse misurare in certe parole dei vangeli che riflettono un'eco della tradizione sapienziale greca. Tuttavia, egli è sempre vissuto dentro i confini geografici del suo paese proiettato solo verso l'interno e non nella direzione del Mediterraneo - e la sua formazione è di impronta essenzialmente giudaica. Spetterà così ad altri, e non a Gesù di Nazaret, il compito di portare il messaggio del vangelo nel mondo della cultura greca.
La Bibbia ebraica dei giudei e il Vecchio Testamento dei cristiani sono due libri profondamente diversi, scritti con propositi politici, oltre che religiosi, molto differenti. In un tempo in cui la religione è venuta a occupare un posto centrale nella nostra arena politica, la provocatoria conclusione di Bloom, secondo la quale non esiste una tradizione giudaico-cristiana, dato che le storie, gli dèi e persino i testi sacri degli ebrei e dei cristiani sono tra loro incompatibili, spinge i lettori a rivedere tutto ciò che era ritenuto un patrimonio comune alle due fedi. Esaminando con il metodo della critica letteraria e storica la Torà ebraica, l'Antico e il Nuovo Testamento e i Vangeli gnostici contemporanei a quelli canonici, l'autore arriva alla conclusione che il Gesù ebraico di Marco, così umano, irascibile e incline all'ironia, potrebbe essere davvero figlio di quella divinità fin troppo umana che è lo Yahvè della Torà; mentre il Cristo degli altri libri del Nuovo Testamento proviene da una famiglia del tutto diversa; e lo Yahvè degli ebrei e il Dio Padre dei cristiani hanno ben poco in comune.
Più di duemila anni fa, in Palestina, un predicatore itinerante e sconosciuto, un uomo semplice, diventò agli occhi di molti il Figlio di Dio. Attorno alla sua parola nacque una chiesa destinata ad affermarsi rapidamente e con inaspettata fortuna, e ad acquisire un potere eccezionale: raccolta da narratori orali e seguaci, la sua testimonianza avrebbe raggiunto gli angoli più remoti della Terra. Che l'esistenza di Gesù di Nazaret sia una realtà è un'opinione sostanzialmente condivisa da storici e biblisti, ma a livello globale è diffuso un radicale scetticismo. Dai miticisti, convinti che la figura di Gesù appartenga al mito, ai teorici della cospirazione, che vedono in lui un clamoroso falso, un'invenzione della Chiesa delle origini prima e uno strumento di potere e di controllo sulle masse impugnato dalla Chiesa cattolica poi: i detrattori si rivelano una minoranza ostinata e rumorosa, capace di affermarsi in passato in paesi come l'Unione Sovietica e di conquistare attualmente un consenso crescente nel mondo occidentale. Dunque, Gesù è davvero esistito? Bart D. Ehrman, autorevole storico della Chiesa delle origini, affronta apertamente la domanda e prende in considerazione le prove che gli scettici più radicali portano a discredito della storicità di Gesù, analizzandole e confutandole in maniera rigorosa fino a costruire un'indagine dettagliata, condotta con la precisione a cui Ehrman ha abituato i suoi lettori.
I primi due capitoli delle versioni evangeliche secondo Matteo e Luca hanno occupato, nei secoli, l'attenzione di teologi, pittori, scultori e la pietà popolare, perché affrontano un tema estremamente suggestivo e importante: i presupposti e i primi tempi della vita di Gesù. Sono testi di storia? Sono pura invenzione? La riflessione teologica e culturale si è molto confrontata con questi due ultimi interrogativi, offrendo le risposte più diverse. Ernesto Borghi propone la lettura esegetico-ermeneutica di questi quattro capitoli evangelici per tentare di offrire degli elementi seri di risposta alle seguenti domande: quale importanza hanno questi testi per la fede e la cultura cristiane delle origini e di oggi? Quale genere di storia e quale verità esprimono? Questo volume si rivolge a un vasto pubblico: tutti coloro che vogliono andare al di là di qualsiasi fondamentalismo e devozionismo, quale che sia la loro formazione spirituale e il loro rapporto con la fede ebraica e la fede cristiana, potranno trovare in queste pagine tante occasioni di approfondimento culturale scientificamente fondato e culturalmente aperto e appassionato.
La vicenda di Gesù è strettamente legata al giudaismo del suo tempo: la famiglia, gli apostoli, i riferimenti alla Torah, la preghiera. La sua stessa morte avviene a Gerusalemme, centro della religiosità ebraica. Anche il primo annuncio pasquale è fatto ai giudei. Col tempo i convertiti dal paganesimo sopravanzano i giudeo-cristiani, si affermano sempre di più le categorie greche, ci si allontana dall'ebraismo. Nei secoli successivi l'antigiudaismo cristiano ha dominato il rapporto con il popolo eletto. Solo nella seconda metà del Novecento si è finalmente instaurato un nuovo clima, che, per la Chiesa cattolica, è stato sancito dalla Nostra Aetate. La rinnovata fiducia, che lentamente si è fatta spazio anche tra gli ebrei, ha portato alcuni loro studiosi a rivalutare la figura di Gesù, non più sentito come nemico, ma come fratello, come uno dei tanti maestri vissuti nell'ultimo periodo del secondo tempio. Le loro riflessioni, che, inevitabilmente, si fermano alla vita terrena di Gesù, possono racchiudere spunti interessanti anche per noi cristiani.
Come diceva A. von Harnack, è impossibile scrivere una biografia di Gesù (Vita Jesu scribi nequit). Fedele allo statuto dell’indagine storica, il saggio non si prefigge quindi di ricostruire chi è stato veramente il Nazareno, ma intende piuttosto mostrare che cosa di lui possiamo dire sulla base delle tantissime fonti documentarie criticamente vagliate oggi disponibili.
Da quasi tre secoli la ricerca si è infatti occupata del tema con alterne fortune, e in particolare l’ultimo ventennio ha visto fiorire studi di grande impegno e valore, soprattutto in area anglofona. Il risultato ne è stato una serie impressionante di ipotesi di ricostruzione.
Nello sforzo di potere maggiormente chiarire i termini della questione e proporre soluzioni fondate, l’autore procede con rigore critico e animo sgombro da preconcetti fideistici. Sin dal titolo vuole rendere conto di una importante peculiarità degli studi attuali: Gesù era un ebreo di due millenni or sono, figlio del suo tempo e della sua terra di origine, la Galilea. Il confronto con fenomeni, movimenti e figure della terra palestinese di allora lo mostra ben inserito nel suo mondo, erede della nobile tradizione religiosa giudaica, eppure presenza scomoda suscitatrice di opposizioni tenaci e reazioni violente fino alla condanna alla morte di croce.
Note sull’autore
Giuseppe Barbaglio, studioso di scienze bibliche, ha pubblicato insieme a R. Fabris presso Cittadella il Commento ai Vangeli; presso le EDB, di cui dirige due collane di testi biblici, ha curato gli otto volumi di Schede bibliche pastorali, Bologna 1982-87 e la riedizione di Nuovo Testamento greco-italiano di A. Merk, Bologna 1991, 21933. Ha inoltre pubblicato: Davanti a Dio. Il cammino spirituale di Mosè, di Elia e di Gesù, EDB, Bologna 1995, 22001, insieme a Piero Stefani; La Prima lettera ai Corinzi. Introduzione, versione, commento, EDB, Bologna 1996; La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare, EDB, Bologna 1999, 22000; San Paolo, Lettere, 2 voll., Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997, di cui ha curato l'introduzione e la traduzione.
Come diceva A. von Harnack, è impossibile scrivere una biografia di Gesù (Vita Jesu scribi nequit). Fedele allo statuto dell'indagine storica, il saggio non si prefigge di ricostruire chi è stato veramente il Nazareno, ma intende mostrare che cosa di lui è possibile dire sulla base delle tantissime fonti documentarie criticamente vagliate oggi disponibili. Da quasi tre secoli la ricerca si è infatti occupata del tema con alterne fortune, e in particolare gli ultimi decenni hanno visto fiorire studi di grande impegno e valore, soprattutto in area anglofona. Il risultato ne è stato una serie impressionante di ipotesi di ricostruzione. Nello sforzo di potere maggiormente chiarire i termini della questione e proporre soluzioni fondate, l'autore procede con rigore critico e animo sgombro da preconcetti fideistici. Sin dal titolo vuole rendere conto di una importante peculiarità degli studi attuali: Gesù era un ebreo di due millenni or sono, figlio del suo tempo e della sua terra di origine, la Galilea. Il confronto con fenomeni, movimenti e figure della terra palestinese di allora lo mostra ben inserito nel suo mondo, erede della nobile tradizione religiosa giudaica, eppure presenza scomoda che genera opposizioni tenaci e reazioni violente fino alla condanna alla morte di croce. Il volume, che nella prima edizione del 2002 ha suscitato ampio dibattito, documentato anche da stampa, radio e televisione, riconferma l'inesauribile interesse attorno alla figura di Gesù.
La ri-giudaizzazione del Cristo e una visione parziale e deviante della sua figura e svuota il significato della sua vita e del suo insegnamento. Questa la tesi centrale del volume Gesu non e stato ne un pio Giudeo ne un riformatore venuto a purificare la religione o il Tempio. Il Cristo e venuto a eliminare Tempio e religione. Gesu non e neanche un profeta inviato da Dio. Il Cristo e l'Uomo-Dio, manifestazione visibile del Dio invisibile, l'unico che poteva cambiare la relazione tra gli uomini e il Padre. E' stato rifacendosi al Padre, anziche ai padri, che Gesu ha potuto distaccarsi dal mondo culturale giudaico, nel quale era cresciuto ed era stato educato, e dare inizio a un cambio radicale e irreversibile non solo alla storia, ma a ogni fenomeno religioso.
Paolo Sacchi, grande figura di ebraista e storico di fama internazionale, ben noto per la ricchezza del suo lavoro sulla Apocalittica e la "Bibbia dei Settanta", ritorna qui a interrogarsi su Gesù e dunque sui Vangeli. Focalizzandosi sul Vangelo di Marco, tenta di capire che cosa Marco abbia voluto dire mettendo in bocca a Gesù l'enigmatica e ancor oggi discussa espressione "Figlio dell'Uomo", che va intesa a partire dal rapporto dell'evangelista con la tradizione apocalittica: «Gesù si autorivela come Figlio dell'Uomo perché Dio lo rivela come Figlio di Dio». Tale rivelazione dà anche il significato all'Ultima Cena, dove Gesù stringe il suo Patto, con la promessa di risurrezione, con i discepoli e quindi con tutti gli uomini. Sono pagine che sorprendono il lettore, perché, come scrive l'autore, «nello scorrere degli anni ho amato sempre più Gesù. Ho studiato la sua vicenda con un entusiasmo particolare che vorrei comunicare al lettore con parole che, pur nella freddezza dell'esposizione, lo lasciassero trapelare».