
Pubblicate per la prima volta a Salamanca nel 1597, le "Disputazioni metafisiche" del gesuita spagnolo Suárez sono un'opera che ha fatto "epoca". È stato uno dei più celebri teologi del Siglo de Oro a tentare, per la prima volta, un trattato autonomo di "Metafisica", non concepito più come commento al testo di Aristotele, secondo l'usanza medievale, ma come fondazione di una disciplina autonoma e sistematica. Le Disputazioni possono essere considerate come l'ultima summa del pensiero scolastico, lì dove - in un estremo tentativo di sintesi della linea tomista e di quella scotista - si delinea quell"'ontologia" che fornirà il lessico concettuale di riferimento per i filosofi moderni, da Descartes, Spinoza e Leibniz sino a Wolff, Kant e Hegel. Non a caso questo testo ha avuto una diffusione straordinaria non solo nelle Università cattoliche ma anche in quelle protestanti del XVII e del XVIII secolo; ha attraversato silenziosamente tutto l'Ottocento ed è riemerso infine con grande risalto nella critica filosofica novecentesca. Dell'immensa mole delle 54 Disputazioni vengono tradotte qui le prime tre: esse si presentano come una vera e propria "introduzione alla metafisica", riguardo alla natura, all'oggetto e al metodo di questa scienza. Il testo è preceduto da un'introduzione del curatore e seguito da una nutrita serie di apparati: le note al testo, l'elenco dettagliato delle fonti, un lessico di parole chiave, l'indice completo di tutte le Disputazioni e un'esauriente bibliografia.
Cos'è la libertà? È un concetto che appartiene alla sfera privata di ciascun individuo, oppure ha a che fare con le relazioni tra gli individui e le leggi che regolano tali relazioni? I due concetti di realtà si escludono reciprocamente o possono convivere? Proprio al concetto di libertà sono dedicate le pagine delle Lezioni tenute da Guido De Ruggiero pochi mesi dopo la caduta del fascismo. L'opera può essere definita come una completa sintesi del pensiero politico, spesso mal interpretato, del filosofo napoletano. Per De Ruggiero la libertà è una inscindibile saldatura tra vita privata e politica, è la presa di responsabilità di ciascuno nell'ambito della collettività.
Cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme? Vale a dire, cosa hanno in comune la cultura dell’uomo e la trascendenza dell’esperienza religiosa? È la domanda che si pose, tra la fine del II secolo e l’inizio del III, lo scrittore cristiano Tertulliano. E la sua risposta, sicura e intransigente, fu: «Assolutamente nulla».
Questa stessa domanda è lo stimolo di partenza per la ricognizione, precisa e insieme appassionata, che O’Malley compie della cultura occidentale, delle sue radici e della sua specificità. In una prospettiva originale e con una singolare capacità di sintesi, vengono individuati quattro grandi paradigmi culturali che si fronteggiano, si alleano, si contaminano lungo tutto l’arco della storia dell’Occidente. Quattro modelli che, come altrettante correnti, attraversano l’oceano della nostra tradizione consentendo di dipanarne e interpretarne le variegate espressioni, dal mondo classico all’avvento del cristianesimo, dall’esuberanza del Cinquecento alla secolarizzazione moderna e postmoderna.
La prima è la cultura profetica, quella di Isaia e Geremia, ma anche di Gregorio VII, di Lutero e, tra i moderni, dell’apostolo dei diritti civili Martin Luther King. È la cultura che parla alto e forte, che parte per le crociate e va al martirio, che non conosce compromessi e punta dritto a un futuro di libertà e giustizia. La seconda cultura è il suo contraltare immediato: è il mondo dei filosofi e degli scienziati, di Platone e Aristotele, dell’università e delle summae medievali, del Concilio di Trento e delle accademie scientifiche del Settecento. Privilegia il ragionamento, procede per prove e dimostrazioni.
C’è poi la cultura letteraria della poesia e della retorica, che accoglie anche l’attitudine pratica degli oratori e dei politici. È il modello umanistico, che realizza i suoi ideali nella lirica di Omero e Virgilio, ma insieme si preoccupa dell’educazione dei giovani e del bene comune; è la cultura della comprensione dell’uomo nelle sue mille sfaccettature, la cultura che accomuna attraverso i secoli Cicerone ed Erasmo, Molière ed Eleanor Roosevelt, Dante e il Concilio Vaticano II. Infine, c’è la cultura delle arti e dello spettacolo, che mette insieme Fidia e Prassitele, la musica e le cerimonie pubbliche, la liturgia e l’architettura barocca, la pittura sacra e la performance contemporanea. È la cultura del rito collettivo, dell’esperienza estetica, della bellezza fisica, materiale, ma insieme dell’incantesimo che trasporta in un luogo dove il linguaggio umano viene meno.
Nel disegnare il suo efficace ritratto della cultura occidentale, O’Malley ‘gioca’ con questi quattro modelli, mettendo a paragone situazioni storiche e personaggi esemplari e sottolineandone i momenti di rivalità e impermeabilità, ma anche di affinità e contatto. E infine ci invita a rileggere la nostra esperienza di uomini d’oggi, immaginando altri legami, altre combinazioni, per una comprensione sempre più stringente e consapevole della nostra storia e del nostro presente. Atene e Gerusalemme, lungi dall’essere incompatibili come le voleva Tertulliano, hanno insieme contribuito alla complessa architettura che chiamiamo Occidente. Sono la nostra eredità.
John W. O’Malley, gesuita, è professore emerito di Storia della Chiesa alla Weston Jesuit School di Cambridge (ma). Tra i curatori dell’edizione inglese dell’opera erasmiana, è autore di numerosi e pluripremiati saggi storici, tra cui, tradotti in italiano, I primi gesuiti (Vita e Pensiero 1999) e Trento e dintorni. Per una nuova definizione del cattolicesimo nell’età moderna (2005).
Un paradosso della storia della filosofia è il fatto che uno dei libri che l'hanno fondata non sia mai stato concepito come tale dal suo stesso autore. Questo volume, ridisegnandone la peculiare fisionomia storica, intende presentare le fondamentali questioni della "Metafisica" aristotelica, dalla polemica contro Platone e gli Accademici, alla dottrina dell'"essere in quanto essere", alla trattazione della "sostanza".
Il libro si presenta nella sua terza edizione ampliata e riveduta dall'autore: fin dalla sua prima apparizione contestava tradizionali dualismi e superficiali opposizioni. Per esempio tra formalismo logico e metafisica speculativa o tra semiotica empirica di tradizione anglosassone e pensiero ermeneutico continentale. Ponendo in modo radicale la questione della verità del segno e del linguaggio e articolandola in autori come Peirce e Nietzsche, Foucault e Derrida, il percorso del libro invita a considerare l'unità profonda del cammino della filosofia del Novecento. Nel contempo suggerisce nuovi orizzonti per l'elaborazione del significato e del senso, nuove figure possibili della verità.
Da sempre, il potere è una delle costanti più caratteristiche della storia umana e ha assunto forme assai diverse nel tempo, ma sempre sulla base di un tratto originario, che lo definisce: la capacità di ottenere obbedienza, se necessario con l'uso della forza, esercitando una coazione. Il potere è una volontà che si impone. Ed è sempre, nella sua più intima essenza, potere omicida, possibilità ultima di dare la vita e la morte. Il potere è tanto organizzazione istituzionale quanto discorso di legittimazione, tanto realtà di fatto quanto rappresentazione, tanto esperienza individuale quanto espressione collettiva. Esso da un lato ha un rapporto strutturale e biunivoco con il diritto (che serve a limitare e regolare il potere, ma ne ha anche bisogno per essere efficace), dall'altro incrocia le dinamiche psichiche e intersoggettive attraverso cui si costruiscono le identità che qualificano l'umano.
Questo libro configura un percorso nei massimi temi di indagine del pensiero filosofico, al di là o prima di ogni contrapposizione di scuola, attraverso dieci voci: Logica; Linguaggio; Realtà; Metafisica; Soggetto e coscienza; Credenza e immaginario; Desiderio e volontà; Essere e dover essere; Etica e politica; Morte e finitezza.
"Il lirico -- insieme alla preghiera personale, che pone al centro del rapporto la propria persona e il suo patema -- è il luogo, "eterno ed universale", dove la coscienza umana scopre L'"esistenza" e il sé si lega, nei flutti del principium individuationis, all'albero dell'Io per non soccombere".Una definizione a partire dalla quale l'autore si interroga sulla relazione tra lirica e filosofia nell'età moderna -- ove il soggetto da presupposto diviene problema -- e in Qohélet, ove lo sguardo poetico getta una fredda luce sulla creaturalità dell'esistenza e fa da controcanto alle certezze della sapienza. Quasi che lirica e filosofia, con movenze linguistiche diverse, si incontrino al cospetto di quell'enigma che va sotto il nome di uomo.
Nello Stoicismo antico prima, e nel Neoplatonismo poi, nacquero svariati tentativi di interpretare filosoficamente la tradizione religiosa politeista. Lo strumento principale di questa interpretazione filosofica della pietas popolare è stato l'allegoria, utilizzata in molti modi a seconda delle Scuole: per esempio, gli Stoici misero in atto un'allegoria di tipo fisico, in cui i nomi degli dèi altro non sono che i nomi degli elementi naturali, mentre i Neoplatonici predilessero un'allegoria di tipo metafisico, in cui gli appellativi degli dèi designano le realtà ipostatiche del cosmo. In questa raccolta viene fornita per la prima volta una rassegna di tutti i testi dell'allegoresi pagana antica dalle origini al primo secolo, comprendente, fra gli altri, i frammenti e gli scritti di Teagene di Reggio, Metrodoro, Diogene di Apollonia, Zenone, Cleante, Crisippo, Diogene di Babilonia, Antipatro di Tarso, Apollodoro, Cratete di Mallo, Palefato, Anneo Cornuto, Cheremone di Alessandria, Ecfanto e della Tavola di Cebete. In appendice il "Papiro di Derveni" con testo greco a fronte.
Questi sono gli ultimi colloqui con Hans-Georg Gadamer annotati nell’agosto, nel settembre e nel dicembre 2001, quindi pochi mesi prima della sua morte. Il colloquio aperto con Silvio Vietta inizia con la domanda sulla valutazione del Moderno nella storia occidentale e del connesso problema se una possibile nuova costruzione biologica dell’uomo potrebbe mutare i fondamentali parametri ermeneutici della comprensione umana. Gadamer parla più volte e dettagliatamente del suo maestro Heidegger, e lo fa riconoscendone la lezione, ma anche non risparmiandogli critiche severe. I ricordi di Gadamer riportano alla luce nella nostra vita interiore i più importanti influssi storico-culturali della sua biografia filosofica, che ha abbracciato tutto il XX secolo. Passaggi centrali di questi colloqui affrontano il significato delle arti nel Moderno. L’arte moderna, con la sua problematica interpretazione, costituisce un caso particolare dell’ermeneutica moderna? Le ultime riflessioni di Gadamer girano intorno a Nietzsche e alla forma frammentaria del suo pensiero come orientamento per un futuro metodo ermeneutico. Ma questi colloqui offrono anche molti episodi illustrativi e frammenti di memoria di uno dei grandi saggi del Novecento.
GLI AUTORI
Hans Georg Gadamer (Marburgo 1900), allievo di Natorp prima e di Heidegger poi, docente di filosofia a Lipsia, a Francoforte e infine a Heidelberg, è autore di numerosissime pubblicazioni ora raccolte nei Gesammelte Werke presso l'editore Mohr di Tübingen.
In un mondo di copie e di cloni dove tutto può essere creato all'istante dalla tecnologia, tempo e spazio sembrano annullati e l'umanità proiettata in un futuro virtuale dove l'uomo non lascerà traccia di sé. Immortalità, omologazione e clonazione: questi sono, secondo Baudrillard, i valori fondanti del terzo millennio, il cui passaggio ha rappresentato un'occasione mancata, gettandoci verso un regresso storico, spirituale e culturale. Reso vivace dalle intuizioni, dalle visioni profetiche e dal sarcasmo che contraddistinguono lo stile di Baudrillard, L'illusione dell'immortalità esprime le contraddizioni che guidano la cultura contemporanea e regolano le nostre vite.