
In una civiltà con pretese di immortalità parlare di morte è sempre più difficile. Eppure la morte non è l'opposto della vita, ma parte della vita stessa. Il problema oggi non è tanto se ci sia vita dopo la morte, profonda convinzione degli autori di questo volume, ma se siamo vivi prima di morire, in modo da essere vivi per sempre. Prendere coscienza del fatto che la nostra vita è limitata ci fa capire quanto ogni istante che viviamo, in quanto unico e irripetibile, sia preziosissimo e ogni attimo vissuto con amore sia sacro. La contemplazione della morte dunque, anziché terrorizzarci, può costellare la nostra vita di una catena di gemme preziose.
Una lucida analisi delle opportunità che l’esperienza e le virtù cristiane possono offrire a una società secolare e a una laicità scosse nelle loro fondamenta. Il testo – scritto da uno dei massimi filosofi contemporanei – è, al tempo stesso, una riflessione per recuperare, valorizzandoli, i princìpi religiosi alla base dello stesso universo democratico laico, ma anche una ripresentazione del cattolicesimo rivolta ai tanti che ne hanno dimenticato la logica che lo struttura e le ragioni che lo alimentano.
Una chiarificazione dei fini e dei criteri dell'agire politico che l'autore individua in quell'etica interculturale della dignita che e l'unico riferimento credibile per porre quotidianamente i diritti umani al centro dell'agenda politica nazionale e internazionale. Scopo di questo volume e`offrire una chiarificazione dei fini e dei criteri dell'agire po litico, che l'autore individu a non nell'ideologia o nel pr ogetto di un dato schieramento, ma in quell'etica intercult urale della dignita che e`l'u nico riferimento credibile per porre quotidianamente i diritti umani al centro dell'agend a politica nazionale e internazionale. Il percorso del libro si sviluppa a partire da una cruda diagnosi della globalizzazione, dei suoi costi sociali ed ecologici, poichi questo h il dato con cui la politica deve fare i conti per tornare a curare il bene comune. La tappa successiva e`dedicata a un bilancio dell'attuale rifless ione sui fondamenti dell'etic a interculturale della dignita, quindi si passa alla riflessione sul criterio e sulle linee di azione concreta per una rigenerazione della politica.
Nove riflessioni filosofiche per pensare il senso sotteso alla comune esperienza umana, nella ricerca della verità come orizzonte inclusivo, rispettoso delle diverse voci e prospettive che concorrono a esprimerla. Il rapporto fra conoscenza e amore, la ricerca della bellezza, la contemplazione della morte, il rapporto fra piacere e dovere, l'accettazione del quotidiano e dei suoi limiti, l'enigma del male, la violenza nella Storia, il senso del lavoro, la perdita della gioia nella civiltà occidentale contemporanea sono i temi scelti.
Da bambini ci viene insegnato che bisogna dire sempre la verità. Ma quando diventiamo adulti, se continuiamo a dire la verità sempre e in ogni caso, la nostra vita diventa un inferno.
Nel 1796, il giovane Benjamin Constant scriveva che il dovere morale di dire la verità inteso incondizionatamente rende impossibile qualsiasi società. A prova di questa affermazione Constant riportava la tesi di un non meglio identificato filosofo tedesco, giunto ad affermare che la menzogna restava un crimine, anche se detta a un assassino che ci chiedesse se un nostro amico, da lui perseguitato, è ospitato in casa nostra. Il vecchio Kant si riconobbe nella posizione del filosofo tedesco e scrisse, a pochi mesi di distanza, la sua replica: un breve saggio dal titolo Sul presunto diritto di mentire per amore dell’umanità.
Ma il tema della veridicità assoluta, come documentano i testi raccolti qui, attraversa tutta l’opera kantiana, alla ricerca di quella trasparenza in cui la vita e la verità passano l’una nell’altra, senza zone d’ombra: il sogno della filosofia, oppure il suo più terribile incubo?
Le considerazioni di Nietzsche sono dette "inattuali" perché si pongono in contrasto con i valori dominanti dell'epoca e si presentano propedeutiche alla costruzione di un nuovo futuro. Questo volume, pubblicato nel 1876, è infatti una raccolta di quattro saggi che si occupano delle condizioni della cultura europea, con particolare attenzione a quella tedesca. Le due Inattuali più significative sono la seconda, Dell'utilità e dello svantaggio della storia per la vita, in cui viene definita la storia non come fatto in sé, ma come interpretazione di chi la racconta, e la terza, Schopenhauer come educatore, in cui Nietzsche, on maniera autobiografica, interpreta il filosofo tedesco cercando in lui la soluzione di problemi propri.
Pubblicata nel 1788, è la seconda opera critica di Kant e la seconda opera di etica dopo la Fondazione della metafisica dei costumi del 1785. Fin dalla prefazione Kant ritiene di dover giustificare il titolo dell'opera, preoccupandosi di spiegare perché abbia scelto di intitolarla Critica della ragion pratica. Ciò che Kant ritiene di dover giustificare non è l'uso del termine "critica", ma è la parte del titolo che specifica l'oggetto dell'esame critico: sarebbe infatti naturale attendersi che esso fosse stabilito in parallelo a quello della prima Critica. Se quest'ultima si era concentrata sulla ragion pura teoretica, è lecito aspettarsi che a essere ora sottoposta ad esame sia la ragion pura nel suo uso pratico, e che pertanto l'opera si intitoli Critica della raion pura pratica. Invece nel determinare la scelta del titolo prevale il riconoscimento che in ambito pratico s'impone un'inversione del compito critico tanto al suo versante negativo. Mentre infatti in sede teoretica il lavoro critico era pervenuto a negare le pretese della ragion pura di varcare i limiti dell'esperienza, in sede pratica il lavoro critico contesta alla ragion pratica empiricamente condizionata la pretesa di essere la sola a dirigere la nostra condotta.
«La grande crisi dell'età moderna - scriveva Weber - sta tutta nell'incapacità di accettare il politeismo dei valori». La nostra epoca è segnata in modo indelebile dalla circolazione di idee e principi differenti, incompatibili tra loro ma tutti ugualmente legittimi. Libertà o uguaglianza, solidarietà o benessere, le ragioni dell'individuo o quelle della comunità. Ed è inutile sperare di tornare a un mondo omogeneo e coeso, retto da un unico sistema di valori. Bisogna imparare ad affrontare le proprie paure, e anche le proprie idee. Soprattutto ricordare che la verità è sempre sfaccettata. Compito della filosofia allora è di insegnare non cosa si deve pensare ma come pensare. Il filosofo insegna un metodo per mettere ordine, guardando ai problemi antichi che si presentano sempre in modo nuovo. Adempiendo alle richieste di ogni giorno, contro il proprio tempo, per il proprio tempo.
Il racconto di un lutto, di una malattia, del corpo che resiste, della vita che ha la meglio, nonostante tutto. Michel Onfray si confronta con la propria finitudine e affronta il potere dell'emotività partendo da un'esperienza personale molto forte.
La vendetta chiede di uccidere colui che uccide. E chi uccide colui che uccide? Anspach invita qui a un viaggio di scoperta dei meccanismi e delle implicazioni della reciprocità, che porta il lettore ad aggirarsi, tra circoli viziosi e circoli virtuosi, nei territori limitrofi dell'antropologia, dell'economia, della sociologia e della psicologia. Dallo scambio violento e distruttivo della vendetta a quello pacifico e costruttivo del dono, dallo scambio di prestazioni all'interno della coppia fino alle transazioni dell'economia di mercato, il circolo delle interazioni tra individui trova una garanzia di unità e armonia a un livello superiore, in un "terzo" trascendente: gli dei e gli spiriti magici, la relazione di coppia, lo stato e oggi il mercato, in quanto presunta forza "autoregolata". Ma tale garanzia non deve diventare un vincolo costrittivo: se non vogliamo rimanere intrappolati in circoli viziosi, dobbiamo imparare a guardare dall'esterno le nostre interazioni per ripensarle e trasformarle da protagonisti consapevoli. E questo vale anche per l'economia; i nemici più insidiosi della società aperta non sono oggi forse quelli che ci invitano a sottomettere la totalità degli scambi alla "mano invisibile" di un mercato divinizzato?
il contenuto
Costa Azzurra, autunno 1932. Una filosofa di trentasette anni, priva di status accademico e di notorietà, scrive a Daniel Halévy per raccontargli il suo incontro con un libro tedesco uscito nel 1927 e destinato a segnare il pensiero del Novecento: Essere e tempo. L’autore, Martin Heidegger, all’epoca è pressoché sconosciuto in Francia. La giovane lettrice va subito al cuore di quel testo denso, quasi intraducibile, e sa spiegarlo al suo interlocutore con una limpidezza che ancora oggi lascia stupefatti. Le bastano poche pagine per toccarne i punti salienti, che «rendono palpabile la presenza del nulla», e per intuire come perfino i passi più ardui non siano frutto di pura «ingegnosità verbale», bensì rispondano al bisogno di «vincere in noi l’opacità e l’impermeabilità che si oppongono alla nostra chiaroveggenza». Legge Essere e tempo anche da musicista, come se si trattasse di una partitura di Bach: un’Arte della fuga sul tema dell’Essere.
l'autore
Rachel Bespaloff (1895-1949), ebrea di origini ucraine, visse in Svizzera e in Francia, riparando negli Stati Uniti nel 1942, dove insegnò Letteratura francese presso il College di Mount Holyoke, nel Massachusetts. Morì suicida. Aveva una formazione musicale: alla filosofia arrivò solo a metà degli anni venti, quando conobbe il conterraneo Lev Šestov. In seguito fu l’interlocutrice di intellettuali francesi di spicco, tra cui Jean Wahl e Gabriel Marcel. Raccolse i suoi saggi in Cheminements et Carrefours (1938, n. ed. 2004). Di recente sono apparse le Lettres à Jean Wahl 1937-1947 (2003). In italiano è disponibile Dell’«Iliade» (2004).
"È sempre sbagliato, ovunque e per chiunque, credere a qualcosa in base a evidenze insufficienti". Queste parole riassumono il progetto filosofico di William K. Clifford e la sua critica radicale verso ogni credenza religiosa. Inserendosi da protagonista nell'infuocato dibattito tra scienza e religione dell'Inghilterra vittoriana, il giovane filosofo e matematico articolava con grande finezza e ironia il suo pensiero. Il "dovere della ricerca", nemico di ogni principio di autorità, era per Clifford una condizione necessaria, tanto che per lui esisteva "soltanto una cosa più perversa del desiderio di comandare: la volontà di ubbidire". Claudio Bartocci e Giulio Giorello presentano qui, per la prima volta in italiano, i tre saggi più importanti e affilati del filosofo-matematico inglese, tanto attuali quanto sorprendenti nella loro chiarezza.

