
Un tentativo di rintracciare l'origine e l'evoluzione del concetto di negazione e le ragioni dell'"oblio del negativo" che ha caratterizzato il pensiero occidentale. Da Parmenide a Hegel, infatti, il concetto di negazione è stato immancabilmente ricondotto al positivo, rimovendone quindi il senso autentico di privazione, mancanza, assenza. L'autore riscopre i filosofi, gli scrittori e gli artisti che hanno saputo spingersi in prossimità del "tremendum" rappresentato dalla negazione, mostrando come, accanto alle grandi figure di Cartesio e Freud, anche Manritte e von Hofmannsthal abbiano saputo aprire un sentiero alternativo rispetto alla strada maestra imboccata dal pensiero occidentale.
Con questa opera, datata fine marzo 1800, Schelling giunge a una prima "sintesi" della sua problematica teoretica composta di filosofia dell'io e filosofia della natura. La prima è la speculazione che, muovendo dall'elemento soggettivo del sapere, l'io appunto, si pone come fine la spiegazione dell'oggettivo; la seconda, viceversa, è l'indagine che muove dall'oggettivo per giungere al soggettivo. Il sistema di tutto il sapere è appunto "l'idealismo trascendentale", nel cui svolgimento viene ripercorsa per "epoche" la "storia dell'autocoscienza".
Vladimir Sergeevicv Solov’ëv (1853-1900),visionario profeta del dialogo e tenero amante della Sapienza Divina, scrisse “Il dramma della vita di Platone”nel 1898, lo stesso anno del secondo viaggio in Egitto allorquando cominciarono i primi segni di cedimento fisico dovuti al troppo lavoro. In XXX paragrafi Solov’ëv analizza –facendo precedere il tutto da una lunga introduzione su come intendere il concetto di “dramma” nel pensiero greco a partire dai pre-socratici– il legame tra la teoria dell’amore di Platone (o meglio: la sua “crisi erotica”, proprio per come la definisce Solov’ëv) e il consequenziale mutamento della sua visione del mondo. L’autore si chiede quale sia la svolta (e ‘quando’, oltre al ‘come’, precisamente, si sia consumata) che induce Platone –fino a quel momento pensatore del “non essente”, fondatore del ‘pensare’ metafisico e delle questioni gnoseologiche astrattamente interpretate– a dedicare le sue migliori opere all’amore. Un argomento fino ad allora non specificatamente rientrato nell’ordinarietà della sua sfera filosofica che lo porta alla proposizione di una teoria che non trova punti di appoggio nelle sue ‘visioni’ precedenti e che ha lasciato, in tutto il successivo corso del suo pensiero, un’impronta profonda, determinante. Ancor prima della contrapposizione tra il “vero essere” e l’umbratile “divenire”, l’apparente o il fenomeno, Platone, sotto l’influsso della dottrina e della morte di Socrate, presentì la contrapposizione etica tra ciò che deve essere e ciò che effettivamente è, tra l’autentico ordine morale e l’ordinamento della società data. Questo fu il ‘dramma’ vissuto da Platone e dalla risposta di Solov’ëv alla domanda precedente concludiamo che la revisione del pensiero filosofico platonico fu determinata proprio da tale ‘crisi’ (da cui scaturisce, appunto, la sua teoria dell’amore) che è concepibile solo come progresso del suo idealismo letteralmente imposto dalle esigenze di una nuova esperienza esistenziale.
In questo libro - analisi del movimento, segreto e palese, che governa il nostro tempo - Emanuele Severino mette il suo pensiero alla prova dei fatti che ci circondano. Fatti enormi, secondo la convinzione di tutti, mutamenti epocali. Ma in quale direzione? Che cosa significa, per esempio, la decadenza dell'Europa? Non va forse insieme, questo fenomeno, al diventare planetario del dominio della tecnica, che è il frutto specifico del pensiero europeo? E qual è il rapporto della tecnica con la scienza? Che cosa significa la preoccupazione, oggi sempre più insistente, di porre limiti alla ricerca? E si può parlare di un'etica della scienza? Sono questi solo alcuni dei temi che vengono affrontati da Severino. Temi gravissimi, ma troppo spesso abbandonati agli opinionisti dei quotidiani, i quali offrono, appunto, opinioni. Qui invece questi temi trovano il loro luogo strategico all'interno di una costruzione speculativa rigorosa.
Questo testo offre un'esposizione sintetica delle tematiche principali che concernono l'etica filosofica.
Nicola Abbagnano è nato a Salerno nel 1901 ed è morto a Milano nel 1990. Ha studiato a Napoli sotto la guida di Antonio Aliotta. Dal 1936 al 1971 ha insegnato Storia della Filosofia nell'Università di Torino, dove nel dopoguerra è stato tra i fondatori del Centro studi metodo - logici e dove tra il 1952 e il 1960 ha organizzato i convegni del gruppo "neoilluministico". Famoso per avere scritto una Storia della Filosofia e un Dizionario di Filosofia con i quali si sono formati generazioni di studiosi e docenti, è stato il principale esponente dell'esistenzialismo italiano. Con lo sviluppo del suo pensare egli ha inteso sottolineare che la problematicità fondamentale dell'esistenza può essere affrontata dall'uomo non con quegli atteggiamenti angoscianti, deprimenti e dagli esiti nichilisti presenti in alcune figure importanti dell'esistenzialismo del Novecento, ma mediante l'uso razionale che vede nella categoria della possibilità l'elemento caratterizzante la positività dell'esistenza umana. Esso offre così un valido contributo per la possibilità di cogliere un senso da dare o da acquisire per l'uomo ed apre la via ad una considerazione significativa dell'intera esistenza umana che, secondo Abbagnano, si realizza come strutturale possibilità di essere.
A legare i quattro scritti di Max Scheler (1874-1928) qui raccolti è il tema della Bildung, concetto che riassume un problema antichissimo del pensiero occidentale, quello di "formare l'uomo" e di indagare sui modelli, i criteri e le finalità del processo formativo. Negli ultimi anni di vita Scheler si inserisce in questa tradizione con una "filosofia della formazione" radicata a fondo nella sua precedente riflessione e insieme segnata dalle temperie della Repubblica di Weimar. Questa nuova traduzione degli scritti scheleriani si basa sulle loro edizioni originali ed è corredata da un Saggio introduttivo di G. Cusinato, da un'ampia Guida alla lettura, un Glossario e un apparato di note di G. Mancuso.
Il più completo repertorio di paradossi elencati dalla A alla Z. Una sorta di abbecedario di ciò che è assurdo o sembra tale.
Che significato ha l’esperienza estetica nella nostra vita di cittadini di un mondo globalizzato e ipertecnologico? In che misura le preferenze estetiche sono dettate soltanto da emozioni e sentimenti? Quale immagine della mente umana ci restituisce un’analisi filosofica dei fatti estetici? A tali domande questo libro risponde in maniera chiara e originale. Misurandosi con il dibattito filosofico contemporaneo ma anche con la ricerca nell’ambito delle neuroscienze e della psicobiologia, l’autore definisce l’esperienza estetica come sintesi tra gli aspetti emotivi e quelli cognitivi della percezione.
Vengono qui presentate per la prima volta tutte le lettere disponibili dello scambio epistolare intercorso fra Henri Bergson e William James fra il 1902 e il 1910, anno della morte di James, integrate dai testi (lettere ad altri corrispondenti, saggi, articoli) che documentano la storia di una straordinaria amicizia filosofica. L'incontro fra il filosofo francese e lo psicologo e filosofo americano non fu dettato soltanto dalle affinità concettuali ed esistenziali, ma soprattutto dall'esigenza di ripensare su basi rinnovate il programma di ricerca della filosofia. A unirli con un legame profondo erano il rifiuto dell'intellettualismo, la critica della metafisica di scuola come dello scientismo positivista, ma anche l'idea che per la filosofia fosse venuto il tempo di ritornare a parlare la lingua viva dell'esperienza. Solo così la filosofia si sarebbe potuta mostrare all'altezza del secolo che si stava aprendo e delle nuove esigenze teoretiche che proprio la nuova scienza aveva posto sul tappeto. Il dialogo Bergson-James è una pietra miliare nella storia intellettuale del Novecento, di cui solo oggi si comincia ad apprezzare la straordinaria portata.
Vi sono pensatori che rimangono nell'ombra perché fuori da circuiti accademici, indisponibili a piegarsi ai cliché dominanti, indipendenti da "scuole" consolidate che spesso producono sbiaditi replicanti piuttosto che filosofi creativi. Max Picard rientra in questo stretto numero. Medico di professione (lavoro che presto abbandonerà) e filosofo per dedizione, seguì sempre una propria strada all'insegna dell'autenticità. Segnato dal suo complesso orientamento religioso - le radici ebraiche mai rinnegate e il cattolicesimo come fede elettiva -, egli ne trasse non un facile accomodamento ma una sorta di continuità spirituale senza nette censure. Picard trasferì questa polifonica ricchezza religiosa entro il suo pensiero filosofico, mai appagato, ribelle a ogni scorciatoia teorica, famelico di quella verità che non è solo la constatazione di fatti, ma la ricerca sempre nuova di quel luogo sorgivo dal quale scaturisce il senso delle cose. Il volume, che rappresenta lo studio più completo della figura picardiana, contiene le traduzioni inedite di "L'atomizzazione della persona" di Max Picard, "Lo sguardo" di Gabriel Marcel e "Per Max Picard" di Rainer Maria Rilke.
Il saggio si colloca nella prima fase della ricezione francese di Kant ed è rappresentativo di una filosofia del senso intimo dichiaratamente antimaterialistica, ma nondimeno attenta agli sviluppi della fisiologia e della psicologia delle sensazioni. Il dialogo con la posizione kantiana ne fa una di quelle opere che più di altre hanno suscitato l'interesse del neokantismo primonovecentesco, anche in Italia.