
"A causa della debolezza della natura umana si attribuisce, in genere, soverchia importanza a ciò che siamo nell'opinione altrui": profondo osservatore delle contraddizioni dell'animo umano, Arthur Schopenhauer analizza in queste pagine i tanti modi in cui i giudizi della società condizionano i nostri comportamenti. Con l'acutezza che lo contraddistingue, Schopenhauer sottolinea l'assurdità di molti dei pareri che spesso ci portano a modificare la nostra condotta e mostra come imparare a vivere guardando prima di tutto al nostro benessere, per condurre un'esistenza appagante e ritrovare così la serenità interiore.
Il tempo non basta mai, siamo sempre di fretta e rischiamo di condurre una vita in pista. Gli autori si interrogano sui motivi di questa corsa continua contro il tempo e suggeriscono uno stop, una sterzata: questo è l'obiettivo del libro che propone diverse piste di riflessione e consigli pratici per stimolarci a riconquistare il nostro tempo.
La nostra vita ha un senso? Una vita equilibrata è davvero possibile? Possiamo imparare a vivere? Entrando negli aspetti più apparentemente ordinari della quotidianità, Wilhelm Schmid propone 100 piccoli esercizi per trovare una risposta a queste domande. Richiamandosi a una tradizione che risale a Epicuro e Seneca, e prosegue con Montaigne, Nietzsche e Wittgenstein, l'autore lascia emergere le implicazioni nascoste in ogni più semplice momento della nostra esistenza. Il gusto del caffè al mattino, il profumo dei tigli, i piaceri di una sauna, il film preferito, le segrete virtù di un raffreddore, le ansie di una normalissima domenica in famiglia o con gli amici: tutti strumenti per capire che l'equilibrio individuale non è una condizione permanente ma nasce da una ricerca incessante che oscilla tra polo positivo e negativo, che impone l'attraversamento del dolore e della sofferenza e si nutre del continuo alternarsi di sentimenti, esperienze, incontri. Con un linguaggio leggero e penetrante Schmid riesce a dare anche una lettura originale dei più significativi avvenimenti politici del nuovo millennio e delle questioni filosofiche che caratterizzano la modernità. Emerge così un magnifico affresco del nostro tempo che diviene progetto di un diverso modo di stare al mondo, grazie al quale ciascuno di noi può essere protagonista - anzi, "poeta" della sua stessa vita.
L'esperienza estetica del paesaggio costituisce uno dei tratti costitutivi della sensibilità contemporanea. Partendo dai concetti di natura, ambiente, territorio, il libro mette in relazione il paesaggio con gli ambienti foggiati dall'uomo, come i giardini e le città; ripercorre poi l'emergere del sentimento del paesaggio nei vedutisti e nella letteratura di viaggio. Affronta quindi la peculiarità dell'esperienza estetica del paesaggio, in cui entrano in gioco le categorie estetiche della meraviglia, del pittoresco, del sublime, della grazia e della bellezza. Da ultimo è tracciata un'originale morfologia delle bellezze naturali, con una particolare attenzione per quegli aspetti del paesaggio che più sono stati associati all'emozione estetica: il colore dell'acqua e del cielo, la terra e la roccia, il fuoco e le eruzioni dei vulcani, le rovine, le montagne.
Mantenendosi ben lontano dalle esibizioni volgari così caratteristiche della nostra epoca, "L'arte del lusso" è essenzialmente un trattato sul saper vivere. Lo spirito trionfa sulla materia, l'essere conta più dell'avere, e l'apparire è disprezzato come si conviene. L'autore esalta la vita interiore, la contemplazione, l'amore per la natura e per il vero, il senso della tradizione... In questa prospettiva, il lusso, che colma l'uomo di emozioni, di gioia, di pace, e gli permette di sfuggire al peso dell'esistenza, non ha nulla da spartire con il consumo dei prodotti dell'industria che a esso si richiama. Inutile ed essenziale, è un assoluto da desiderare, da ricercare, da raggiungere, sempre legato alla bellezza, alla perfezione ideale, alla luce, alla grazia. Merita un'iniziazione e attenzioni particolari in ogni singolo momento, forse persino un vero e proprio culto: il lusso è un'arte. Sulla linea di Baudelaire e Barbey d'Aurevilly, in questo libro l'autore propone un'etica, un'estetica e una dietetica, nel senso più ampio del termine, per restituire al lusso il suo posto (molto elevato) e il suo valore (inesauribile). Quando, schiacciata dal peso delle sue troppe bassezze e ottusità, la nostra epoca sarà crollata, l'uomo del lusso, come un tempo l'uomo probo o l'uomo di corte, diventerà forse un modello per i tempi che verranno.
Nella teoria e nella filosofia dell'arte si tende a sottolineare la differenza fra l'arte e le altre pratiche umane. In questo modo, si può perdere il senso profondo della pluralità delle arti e sottovalutare la portata dell'arte nell'ambito della forma di vita umana. Nella prospettiva teorica elaborata da Bertram, al contrario, l'arte si colloca in continuità con le altre pratiche umane, perché solo in riferimento a esse può acquisire la propria specifica potenzialità. Seguendo Bertram, saremo in grado di riconoscere in queste pagine una nuova impostazione nella definizione dell'arte: si tratta di comprendere la particolarità dell'arte nel contesto della prassi umana, ovvero di cogliere la natura essenziale del contributo che essa reca a questa prassi. L'arte, argomenta Bertram, non è semplicemente una pratica specifica, ma una forma specifica di prassi riflessiva, in quanto tale assai produttiva nell'ambito del rapporto dell'essere umano con il mondo. In ultima analisi, l'arte è una prassi di libertà.
Pubblicato per la prima volta nel 1936 in due volumi, questo saggio è divenuto ben presto un classico dell'esegesi aristotelica ed epicurea.
Su un punto, decisivo per l'antropologia fenomenologica, aveva richiamato l'attenzione Merleau-Ponty nel suo ultimo libro, osservando che toccare un altro uomo è toccarne il corpo, sentirsi toccarlo, e tuttavia mai sentire il sentirsi toccato di lui, mai dunque toccare non il suo corpo ma lui stesso. Non si esiste, se non si sente di esistere, ma il sentirsi dell'altro mai io potrò sentirlo, così come nessun altro potrà sentire il mio sentirmi. Il sentirsi, l'arcisenso, è l'intoccabile. Alla luce di questa sottile ma inoppugnabile consapevolezza, si scopre alle radici dell'esistenza la fondamentale dialettica della solitudine. L'io, costituitosi nella relazione con altri, presto si accorge che essa non può attuarsi pienamente, come intimità autentica, trasparenza senza opacità. Allora, corrottosi il desiderio di relazione nell'antagonismo sociale, l'io tende ad abbandonarsi all'odio o cedere alla castrante paura dell'intimità. D'altra parte, paradossalmente, è per l'impossibilità della relazione che il teatro del mondo vive, drammatica pluralità di attori: l'insuperabile solitudine d'ognuno assicura la non riducibilità dei molti a esistenziali fusioni e li oppone al totalitario dominio dell'uno.
Rappresenta un vero e proprio manuale pratico e pragmatico circa l'utilizzazione della scienza e della sapienza filosofica.
“Si deve essere onesti nelle cose spirituali fino alla durezza”
Nel 1888, incalzato dall’approssimarsi della follia che sarebbe esplosa l’anno successivo, Nietzsche scrive una successione di brevi opere nelle quali prendono nuova forma i materiali destinati alla progettata “trasvalutazione di tutti i valori”. Tra queste, L’anticristo. Maledizione del cristianesimo, il primo degli scritti postumi che Nietzsche lasciò pronti per la stampa; postumi, s’intende, rispetto alla follia, dato che la prima edizione, con sottotitolo scorretto e quattro passi censurati, è del 1895, quando Nietzsche era ancora in vita. Nel testo ritroviamo i suoi temi tipici: la compassione come strumento del nichilismo; l’analisi genealogica, a partire dall’ebraismo, del concetto di dio cristiano come prodotto del ressentiment; l’inimicizia mortale tra fede e scienza; la nefasta menzogna di ogni concetto religioso, in quanto pure finzioni escogitate a scopo di dominio. Si aprono nel testo anche zone di insospettata sottigliezza: come nei paragrafi intorno alla “psicologia del redentore”, dove si traccia un ritratto peculiarissimo di Gesù, che va a sovrapporsi all’immagine dell’“idiota” dostoevskijano. Alla figura di Gesù e alla sua “buona novella” si oppone diametralmente quella di Paolo, il grande organizzatore sistematico del cristianesimo (e inventore, secondo Nietzsche, della “spudorata dottrina” dell’immortalità personale). Il cristianesimo è un grande equivoco: in fondo, scrive Nietzsche, è esistito un solo cristiano, e quello morì sulla croce.

