
Collocato tra le ortodossie e la critica radicale alla religione, tra lo scandalo delle divisioni fratricide tra Chiese, delle guerre di religione, e lo scetticismo libertino e ateo, Herbert di Cherbury - statista e filosofo inglese (1582-1648) - delinea un'autentica terza via nel dominio religioso che fa di lui, come già Wilhelm Dilthey aveva colto, l'esponente di quella linea speculativo-teologica «trascendentale o spiritualista» che, dal Cinquecento in poi, muovendo dal teismo rinascimentale e dalla mistica, aveva dichiarato l'universalità della rivelazione, il primato della coscienza e del lumen Dei in essa inscritto sul dogma e sulle istituzioni. Herbert, in questo senso, scrive Dilthey, è colui che «primo tra tutti nell'Europa cristiana pose le basi dell'autonomia della coscienza religiosa mediante l'analisi della capacità conoscitiva in materia di religione». Tra le sue opere ricordiamo, oltre a De religione laici (1645) - qui tradotto e commentato da Gabriella Bartalucci -, De ventate (1624), De religione gentilium (postumo, 1663) e l'Autobiografia (postuma, 1769). Roberto Celada Ballanti.
Com'è possibile avere una relazione con Dio che è il totalmente Altro, infinitamente distante e distinto da noi? Com'è possibile che l'umano e il divino si incontrino? Il libro sostiene che l'alterità con Dio non è molto dissimile dall'alterità con gli altri esseri umani. L'Altro può essere accolto, rifiutato o reso indifferente nello stesso modo sul piano umano così come su quello soprannaturale. Il punto è che l'alterità con le altre persone non diventa pienamente umana se non è aperta all'alterità con Dio. L'incontro fra l'umano e il divino si realizza nelle nostre relazioni di vita quotidiana quando Dio è presente come il Terzo fra noi e gli altri. Dio è in questa relazione, è il Terzo che media fra di noi. È lì dove troviamo il senso divino dell'umano, che consiste nel condividere la relazionalità trinitaria nell'agire con gli altri nel mondo. Si tratta di vedere la forza di questa relazione
Tutti i saggi presenti in questa raccolta hanno a che fare in un modo o in un altro con tre delle maggiori preoccupazioni di Quine: il significato, l'ontologia e l'epistemologia. Su tutti e tre questi temi Quine ha sviluppato idee così originali e rivoluzionarie che si può sostenere a buon diritto che esse segnino un epoca.
La filosofia sembra, in tempi pieni di disperazione, diffidare della speranza. Il tentativo di queste pagine è invece quello di rimetterla al centro della riflessione filosofica, attraverso uno statuto dialettico ben preciso. Ogni volta che speriamo, infatti, è in opera un lavoro sul negativo che prefigura una riconciliazione, una sutura, un passaggio di liberazione. Non che questa sutura sia prevedibile, essa si può solo sperare, appunto. Si tratta d'immaginare quel che non si può propriamente sapere. Un divieto d'ontologia libera la latenza etica della speranza e, finalmente, la rende esperienza autenticamente umana, capace di orientare e trasformare l'azione dell'uomo. È la regola della speranza che permette di custodire - fin dentro l'esperienza del negativo - l'irriducibile necessità del meglio, l'umana disposizione alla felicità, l'esigenza della giustizia, la trasfigurazione etica della totalità.
Il volume raccoglie, a cura di Nunzio Bombaci, gli scritti cristologia di Ferdinand Ebner, un protagonista - insieme a Franz Rosenzweig e Martin Buber - del "pensiero dialogico". L'originalità del filosofo austriaco consegue dalla sua conversione al cristianesimo: la "realtà di Cristo" è via dialogica per eccellenza, autentica relazione tra l'uomo e la trascendenza. Il Logos si alimenta nella Parola dei Vangeli e, viceversa, la fede vissuta si riflette in una cristologia radicale. Ecco perché questi scritti - originariamente apparsi tra il 1920 e il 1922 sulla rivista «Der Brenner», cui collaborarono, fra gli altri, Georg Trakl, Theodor Haecker e Carl Dallago - sono significativi per far luce sull'intera opera ebneriana.
In trentadue anni - tra il 1900 (primo articolo sui quanti di Planck) e il 1932 (formulazione rigorosa della teoria da parte di von Neumann) - il mondo è cambiato come mai prima di allora. Non la fisica: il mondo. Fino ad allora tutte le scoperte e le teorie scientifiche avevano messo sotto la lente angoli nascosti della realtà, troppo piccoli o troppo grandi per essere osservati, troppo veloci o troppo lenti per essere descritti. Ma la realtà era sempre lì, non era messa in discussione: solo si dimostrava più elusiva del previsto, ma in definitiva sempre conoscibile. Il trentennio dei quanti - e la lunga, magnifica ed epica disputa tra Einstein e Bohr - ha rotto completamente gli schemi: se la meccanica quantistica è corretta (e lo è), allora la realtà, là fuori, non è compiutamente descrivibile. Nemmeno in linea di principio. Abbiamo sbagliato qualcosa (come voleva Einstein) e le cose si risolveranno? O non abbiamo sbagliato niente (come voleva Bohr) e semplicemente dobbiamo rinunciare alla descrizione completa del mondo (che per quanto ne sappiamo, potrebbe anche non esserci)? Domande pesantissime, che la fisica ha imposto all'indagine filosofica.
Cosa significa essere razionali? Si è razionali quando si va contro i propri interessi? È razionale agire sulla base di credenze false? Il libro propone una panoramica dei principali tentativi di sostituire la nozione di razionalità, così come classicamente intesa, con nozioni alternative, ritenute più appropriate per definire la sua natura più profonda.
È ragionevole credere nell'aldilà? Non solo non è una questione oziosa, ma c'è anzi un'illustre tradizione filosofica in proposito. Kant si chiedeva «in che cosa possiamo ragionevolmente sperare?» e sosteneva che la vita eterna è una faccenda che riguarda la filosofia prima ancora che la religione. Jaspers parlava della necessità di una «fede filosofica» in grado di fare un po' di luce sulla questione del nulla e anche di quelle potenze oscure che abitano le profondità dell'umano. D'altra parte la riflessione sull'immortalità dell'anima è stata da Socrate consegnata a Platone, da questi a Plotino e poi al neoplatonismo, fino alla mistica speculativa, all'idealismo e infine all'ontologia. Oggi, di questo tema, sembrano essersi perse le tracce. Partendo da quello che hanno scritto questi e altri grandi pensatori, Givone sposta ben presto il discorso all'oggi, per chiedersi come una questione apparentemente sorpassata - l'aldilà, la vita dopo la morte - incredibilmente resti attuale: in molti continuano infatti a strizzarle l'occhio, come non rassegnandosi all'idea di archiviarla del tutto. E così, raccontando anche il momento del commiato a Sergio Staino, cui molti amici dichiaratamente atei auguravano in Palazzo Vecchio a Firenze «buon viaggio», Givone ci consegna un libro che tratta il grande tema della vita dopo la morte restando però saldamente ancorato alla vita stessa, proprio quella che ci tocca vivere in un'epoca disincantata e ignara di qualsiasi trascendenza.
Il testo La logica sociale dei sentimenti è un saggio di teoria sociale apparso nel 1893 all’interno della Revue Philosophique. Densissimo di riferimenti storici, analizza il rapporto tra manifestazione (individuale e collettiva) degli stati emozional-sentimentali ed evoluzione della società, cogliendo un inestricabile legame tra i due processi. In tal senso, il saggio rappresenta il primo testo di sociologia delle emozioni e una sorta di atto costitutivo di quel filone di studi che verrà definito “costruzionismo sociale delle emozioni”.
Che utilità ha oggi la filosofia e qual è la "specialità" del filosofo nell'epoca della settorializzazione dei saperi? Consapevoli dell'impossibilità di preservare la supremazia della "philosophia prima" in quanto conoscenza del Tutto, negli ultimi due secoli i filosofi occidentali si sono trovati spesso nella condizione di dover giustificare la propria funzione, alleandosi ora con la politica, ora con la storia, ora con la scienza. Tutti questi tentativi sono naufragati di fronte all'incapacità di disciplinare gli eccessi della ragione. Congedate le tentazioni autarchiche, a volte persino imperialiste, e i vari sforzi di mettervi freno, è venuto il momento di riconoscere che l'utilità del pensiero filosofico sta forse proprio nella sua natura eccedente, nel connubio tra l'aspirazione metafisica alla totalità e l'apertura scettica alla complessità dell'esperienza, nel desiderio sconfinato di espansione e inclusione, nell'esigenza di conciliare sintesi e apertura alla varietà dell'esistente. Più che di utilità sarebbe allora opportuno parlare di urgenza della filosofia, in quanto forma di curiosità onnivora, desiderio di sentirsi a casa ovunque, caotica creatività intellettuale. Per saggiare la desiderabilità degli eccessi della ragione si riflette in altrettanti capitoli del libro su dieci questioni centrali non solo della filosofia, ma dell'esistenza.
Due interviste non solo sulla politica estera statunitense, le lotte popolari, l'anarchia, il libero mercato, le libertà civili e il progresso umano, ma anche sull'etica, la natura umana, il linguaggio, gli intellettuali, la filosofia e la scienza.
Nel 2017 ricorre il quinto centenario dell'affissione delle 95 Tesi di Lutero alla chiesa del castello di Wittenberg, che ha segnato l'inizio di una cesura traumatica nella coscienza religiosa europea. Una tale ricorrenza, quanto meno a ogni scadenza secolare, ha sempre suscitato un gran fervore di iniziative culturali che hanno ripreso e sviluppato l'immagine di Lutero e della Riforma da lui innescata. Questo lavoro s'inscrive nello spirito di quelle iniziative. Esso non è propriamente un libro su Lutero o quanto meno lo è solo 'in adiecto', perché il suo interesse centrale è dato dalla ripresa delle sue idee fatta dai personaggi, tutti affetti da passione luterana, che occupano la scena di questa narrazione. Attraverso le domande poste da questi autori a Lutero e le risposte che ne hanno dedotto ci pervengono inoltre materiali di riflessione per l'approfondimento di una Critica della ragione storica.