
Sebbene i dibattiti medievali tra i difensori del potere laico e il Papato siano stati studiati dagli storici del pensiero politico, resta ancora da esaminare la questione del rapporto tra laicità e filosofia in quel periodo. Quale istruzione i chierici hanno trasmesso ai laici? In che modo questi ultimi si sono appropriati della filosofia? Quali sono le politiche e la produzione culturali dei chierici destinate ai laici? E in che modo sono state recepite da coloro che rivendicavano un proprio sapere filosofico? Partendo da un'indagine di carattere storico, il volume giunge a definire la filosofia come disciplina specifica, che varia contenuti, fini e forme a seconda degli autori, dei destinatari e dei lettori reali.
L'arte, la politica, l'educazione, la fede. Le riflessioni di un testimone della crisi della modernità, per rilanciare un approccio integrale all'uomo, condiviso da laici e cattolici, senza sincretismi né compromessi. "La crisi economica mostra la vanità dell'idea di progresso in se stessa, non è vero che si dia un progresso illimitato e infinito. L'idea di progresso è stata l'ultimo tentativo laico di costruire un paradiso affidato alla tecnica... è in crisi profonda per via di quell''eccedenza' umana nella quale c'è anche il dolore: il dolore non si può eliminare".
Il volume non si presenta come una delle tante interpretazioni per spiegare un autore come Jürgen Habermas, ma tende a far emergere il concetto di sfera pubblica che, attraverso le riflessioni di Habermas, cerca faticosamente di stabilire contatti con la realtà dei fatti in modo da non determinare ingannevoli interpretazioni di comodo. Il testo prova a render giustizia di un fatto che, all'interno di una società politica che consideriamo erroneamente come trasparente, appare quanto mai evidente: esiste una sfera pubblica neutrale, informata, desiderosa di partecipare allo scambio delle opinioni per decidere sulle più convenienti soluzioni riguardo la propria esistenza? Si cerca poi di prendere in esame - sociologicamente e non solo patologicamente - quella sorta di autismo sociale a cui le società politiche sembrano spesso asservite, capace, purtroppo, di rimettere in discussione l'ordine e il fondamento stesso dell'organizzazione delle società umane. Questo autismo sociale imperante, come prodotto sottoculturale egemonizzato, è il vero nemico odierno delle sfere pubbliche, il più pericoloso veleno da cui è necessario vaccinarsi perché ne va della stessa organizzazione sociale, della stessa solidarietà come orizzonte autenticamente intersoggettivo (per dirla con Habermas) delle società democratiche. Ma la "questione sfera pubblica" pone radicalmente in discussione una seconda grande questione, che è in grado di rendere la prima più o meno efficiente a seconda della posizione in cui la collochiamo. Essa riguarda la "questione della formazione", e dunque dell'istruzione del cittadino. Non c'è sfera pubblica se non c'è una istruzione rivolta a solidificare, nell'individuo, quei presupposti culturali e "fondativi" di cui la società ha bisogno, perché la sfera pubblica non può e non deve deteriorarsi a mera ideologia, ma deve diventare oggetto di responsabilità per la contemporaneità e le generazioni future.
Il progetto per La Settimana Santa dei filosofi - quarta delle pubblicazioni cristologiche di Tilliette - nasce durante i primi studi filosofici dell'autore, attratto dal Golgotha metafisico e dalla lacerazione della coscienza infelice di Hegel e, più ancora, dalla meditazione straziante e contrita di Pascal nell'orto dei supplizi. Il rapporto tra Cristo e la filosofia è qui indagato alla luce del mistero della Settimana Santa, che si compie al di là dei tre giorni, nella notte luminosa della Risurrezione. Il cammino della ragione è costretto a interrompersi di fronte al mistero pasquale, poiché per sua stessa natura non deve testimoniare la Gloria né le meraviglie soprannaturali della fede. Tuttavia - nel confronto serrato con pensatori come Kierkegaard, Schelling, Hegel, Sestov, Simone Weil, von Balthasar - Tilliette spiega che ciò non impedisce al filosofo di avere gli occhi fissi sul dramma unico e di far proprie le domande che lì si presentano, inserendole nella sua meditazione sul male, la sofferenza, la morte e la salvezza.
In una società pervasa da violenze di ogni tipo, abusi sessuali e di autorità, femminicidi e suicidi giovanili e dal dilagare della pornografia e pedopornografia, ritrovare il significato della sessualità appare come un urgente richiamo rivolto anzitutto agli adulti del nostro tempo. Occorre infatti, oggi più che mai, mettersi tutti all'opera per testimoniare e trasmettere alle nuove generazioni una visione della sessualità fondata sul rispetto della «ecologia» della persona e della corporeità, che rifiuti ogni forma di uso e manipolazione degli altri e che dia senso e calore al vivere per fare della propria esistenza un dono d'amore. È questo il messaggio che traspare dalle pagine di questo libro nato non solo dallo studio, ma anche dall'ascolto di coloro che hanno subito diverse forme di abuso sessuale. Sono proprio queste infatti che rivelano, attraverso la "frantumazione" che provocano dell'interiorità psichica, le profondità misteriose della sessualità e della sua funzione nell'integrazione identitaria della persona umana.
La ricerca del principio ultimo della conoscenza ha inseguito, sin dalle origini, ciò che limita e convalida la ragione nelle sue diverse attività. E se il pensiero antico ha misurato la potenza del discorso e legittimato i suoi princìpi logici mediante ciò che li trascende, la riflessione contemporanea ha insistito sul ruolo dei valori e dell'affettività nel determinare i campi delle investigazioni scientifiche. La ragione non è solo un'attività neutra di conoscenza poiché si radica, in ultima analisi, nell'aspirazione di incontrare l'altro, di rispettarlo nella sua irriducibilità.
L'introduzione alla metafisica proposta dall'autore è attenta alla svolta trascendentale della modernità e integra molti aspetti di un'antropologia delle facoltà umane, soprattutto dei gradi di conoscenza (sensibilità, ragione, intelletto) interpretati nella direzione di un'etica intersoggettiva. La categoria chiave è «atto d'essere», inteso senza assoggettamento alle pretese razionaliste delle scienze contemporanee, né alle nozioni formali dei manuali della scolastica. La riflessione procede prendendo in esame le questioni della metafisica contemporanea e delle sue categorie essenziali, per esempio la «differenza» o la «persona», e altri temi della fenomenologia contemporanea nei suoi aspetti metafisici o fondamentali.
Sommario
Avvertenza. Introduzione. Capitolo primo. Che cos'è la metafisica. Capitolo secondo. L'ente, l'esistente e lo Spirito. Capitolo terzo. Il metodo in metafisica. Capitolo quarto. Una disposizione fondamentale. Capitolo quinto. Ontologia. Capitolo sesto. La sensibilità. Capitolo settimo. La ragione. Capitolo ottavo. Rendere ragione. Capitolo nono. Le scienze esatte. Capitolo decimo. L'intelletto e l'atto. Capitolo undicesimo. L'atto e la persona. Conclusione. Bibliografia.
Note sull'autore
Gilbert, gesuita, è titolare della cattedra di Metafisica alla Pontificia Università Gregoriana e decano della Facoltà di Filosofia. È autore di oltre duecento articoli pubblicati in una decina di Paesi, collaboratore della Nouvelle revue théologique e di Civiltà Cattolica e membro del comitato scientifico di Annuario, Rivista di filosofia neoscolastica e Sintese. Ha pubblicato, tra l'altro, Sapere e sperare (Vita e Pensiero, 2003), Violence et compassion (Éditions du Cerf, 2008), Le ragioni della sapienza (G&BPress, 2011). Il volume, apparso la prima volta da Piemme nel 1983, viene riproposto in una seconda edizione corretta e completata.
La posizione filosofica di Ricoeur ormai non costituisce più una novità. Questo libro si sofferma sul suo contributo all'elaborazione di una filosofia dell'azione e quindi di un'etica radicata nella storia, saldamente fondata sullo statuto ontologico della persona umana. Tale aspetto del suo impegno speculativo è tanto più attuale ed importante in quanto ha preso forma in un momento in cui sembrava che la riflessione sull'azione e quindi sui valori dovesse diventare un capitolo non più della riflessione filosofica, ma della ricerca sociologica o psicologica. È appunto in quest'ordine di considerazioni che risiede l'interesse della presente opera. Nel suo aspetto più immediato può sembrare centrata esclusivamente sul confronto tra l'analisi linguistica e la fenomenologia. Tuttavia non si limita a definire i termini di questo confronto; delinea piuttosto un itinerario di ricerca che percorre i momenti speculativamente più rilevanti di una fenomenologia della volontà che, pur costituendo il presupposto dell'analisi linguistica, non ha tuttavia in se stessa la ragione ultima del proprio essere. Perciò perviene al riconoscimento dell'esigenza di una fondazione originaria, rispetto alla quale il discorso dell'azione, da descrittivo ed analitico, si trasforma in costitutivo e dialettico, cioè in discorso dell'azione sensata, in etica.
Tra i filosofi del Novecento, Martin Heidegger è quello che più di ogni altro ha spinto il pensiero oltre i canoni acquisiti del rapporto tra soggetto e oggetto, verità ed esperienza. Ne ha esplorato il limite, al di là del quale occorreva un linguaggio nuovo: una parola rivelatrice che liberasse la filosofia dalla cappa metafisica che aveva pesato su tutta la sua storia. In tale contesto, tanto esaltante quanto arduo, si è svolta la preziosa attività di Franco Volpi non solo come studioso e acuto interprete di Heidegger, ma anche come suo magistrale traduttore. Nulla come una traduzione, infatti, consente di penetrare in profondità nei gangli di un pensiero, e chi voglia oggi smontare, e comprendere dall'interno, la complicata macchina speculativa del "mago di Messkirch" troverà dunque qui il miglior viatico. La padronanza del lessico, sfrondato da ogni compiacenza gergale, la competenza con cui Volpi chiarisce le numerose oscurità del filosofo fanno di questo libro un esempio di lettura ermeneutica, un lucido percorso nei labirinti di Heidegger. Un percorso capace di svelare la segreta relazione tra il secolo che si è chiuso e il suo più imbarazzante testimone: che incarna il destino stesso della nostra epoca, e della sua pensabilità. Con una nota di Antonio Gnoli.
Josep Maria Esquirol è il filosofo della prossimità. Contro il narcisismo e il solipsismo di questi nostri tempi disorientati e confusi, costruisce una riflessione sull'uomo e il mondo utilizzando, come gli è consueto, una metafora efficace: siamo tutti piccole verticalità che restano in piedi l'una grazie all'altra e nel calore della prossimità e della non-indifferenza riusciamo ad avvertire l'infinito che ci attraversa e a trovare la maniera di rispondergli generando legami e senso. Una cosa può avere un ruolo fondamentale nel coltivare questa attitudine alla risposta, nel sostenere ognuno nel proprio cammino verso una vita matura e feconda: è la scuola, intesa non solo come istituzione, ma, nel suo registro più ampio, come luogo in cui si allena l'attenzione alle cose del mondo e agli altri, un luogo dedicato all'insegnare e all'educare nel loro senso originario di indicare, mostrare e aiutare qualcuno a trovare in sé risorse e modi. È questa la 'scuola dell'anima', un'educazione alla cura che può esercitarsi nel luogo concreto di un edificio scolastico, ma che può anche durare tutta la vita, con la porta aperta per tutti e per ogni età. «Andare a scuola. Trovarvi qualcuno che ti aiuta a vedere che puoi, che sei origine. Prestare attenzione alle cose e cominciare a scorgere la profondità del mondo. Diventare manovale del mondo. Sostenere gli altri. Persistere e rispondere alla rivelazione del mondo e della vita. E trovare, così, la buona maniera di vivere».
La questione della scrittura, che occupa una posizione cruciale nella filosofia di Sini e alla quale è interamente dedicato il terzo volume delle sue Opere, negli scritti raccolti in questo secondo tomo del volume viene affrontata nella prospettiva inedita di ciò che l'autore chiama "foglio-mondo". Con questa espressione, liberamente mutuata da Charles Sanders Peirce, Sini si riferisce anzitutto al segreto della soglia filosofica e alle peculiarità della sua scrittura. Le trasformazioni storiche che l'hanno caratterizzata da Pitagora a Socrate e Platone, da Aristotele sino a Kant e a Hegel, culminano nel tentativo di trascrivere la verità del mondo nelle figure ultimative del logos concettuale: tentativo che sempre di nuovo ripropone l'incolmabile cesura fra la vita del sapere e le sue transeunti scritture. Il foglio-mondo diventa allora, più in generale, metafora di ogni sapere in quanto evento di scrittura ed elaborazione nascosta dei suoi mutevoli supporti, vanamente tesi a circoscrivere il mondo dal quale si originano e nondimeno efficaci e irrinunciabili nell'inscrivere percorsi di vita nel mondo a cui appartengono. La seconda parte del libro e le Appendici ripensano in questa luce l'eredità fenomenologico-ermeneutica, pervenendo a un confronto critico con Husserl e Heidegger e con i loro cammini fruttuosamente aporetici.
"La scoperta dello spirito sono capitoli-saggio che vanno da Omero al periodo ellenistico e indagano come dalla naturalità indifferenziata della poesia epica si giunge attraverso la nascita della tragedia al problema di cos'è l'uomo, e come, dall'immagine-metafora, nasce il problema della scienza, e come la civiltà greca finisce con l'invenzione (Ellenisti, Virgilio) di un mondo arcadico, di arte pura: la letteratura. Indagine ricchissima di idee geniali, sorprendenti, di punti di vista illuminanti, su materia nota e vivace. Unico difetto: non è libro per il popolo. Io sono favorevole." (Cesare Pavese, giudizio editoriale sul libro di Bruno Snell, 3 settembre 1947). "Il volume che avete tra le mani non è un libro nuovo, ma un nuovo libro. È un invito a leggere o rileggere il capolavoro di Bruno Snell in modo più consapevole, nella sua versione completa, esemplata su quella definitiva tedesca. Dopo aver profondamente fecondato la cultura europea del dopoguerra, La scoperta dello spirito si è progressivamente eclissata: del resto la sua visione 'olistica' - oggi del tutto inattuale - fu concepita nella ormai remota Germania degli anni Trenta e Quaranta. Come possiamo, allora, tornare a leggerla con profitto? Si tratterà, anzitutto, di collocarla alla giusta distanza culturale, avvalendosi di una messa a fuoco mobile, come se si inforcassero delle lenti bifocali. Sarà impossibile fare un'esperienza di lettura 'vergine' o solo retrospettiva, riportando indietro le lancette della storia come in un racconto filmico: dovremo cercare perciò di tenere presenti sul nostro schermo i diversi piani culturali, facendo attenzione a non farci risucchiare - attratti dalla prosa elegante e incantatoria di Snell - in quella 'meravigliosa' Grecia dove tutto avrebbe avuto inizio e sviluppo, secondo una linea idealizzante, con sintesi storica nella famosa Aufhebung hegeliana." (Dalla prefazione di Roberto Andreotti)
Perché un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti può vincere le elezioni sbraitando menzogne come "Costruirò un muro fra gli Stati Uniti e il Messico e sarà il Messico a pagarlo"? Perché abbiamo voglia di comprare una confezione di Nespresso dopo aver vistò l'ennesima pubblicità con George Clooney? Perché se ci troviamo in una città sconosciuta camminiamo con lo sguardo incollato allo schermo del telefonino, preoccupati solo di non perdere di vista Google Maps? Se non riconosciamo più le incoerenze logiche e ci facciamo guidare dagli impulsi emotivi, lasciando che siano altri cervelli (magari digitali) a pensare al posto nostro, che cosa sta succedendo? Logico e filosofo del linguaggio, Ermanno Bencivenga smaschera la più insidiosa delle catastrofi del nostro tempo: la capacità di ragionare rischia di scomparire. Ma ragionare significa tacitare le emozioni e gli impulsi per fare spazio alle idee e, soprattutto, a una discussione ordinata che le analizzi e ne determini il valore, aprendo nuove strade alla nostra convivenza. Raccontando la sua esperienza di professore, Bencivenga mostra che questa "catastrofe gentile", tanto silenziosa quanto devastante, riguarda soprattutto le nuove generazioni, che sono più esposte alla proliferazione forsennata dei mezzi d'informazione e di comunicazione, diventati ormai troppo veloci e potenti rispetto al tempo che il pensiero logico richiede. Con il risultato inquietante che i giovani si abituano sempre più all'idea che qualcun altro, o meglio qualcos'altro, ragionerà per loro. Un saggio schietto e tagliente, che ci mette in guardia di fronte alle insidie di una mutazione antropologica che sottrae alla nostra specie la sua risorsa più preziosa: il ragionamento.