
Dai saggi raccolti in questo volume emerge una serrata critica della “tradizione signorile” del mondo americano. Con questa espressione, che ebbe subito tanto successo nonostante non si trattasse di un termine encomiastico, George Santayana formula una condanna generale non solo della filosofia e della cultura dominante, ma anche della mentalità comune americana, a suo avviso uniformemente plasmata dal moralismo puritano del New England, lo stato americano con il più antico passato storico e culturale. Secondo la sua visione, la tradizione signorile è il collante e il motore di questo mondo, con uno strano duplice effetto: propulsivo e retrogrado.
La storia della filosofia, nel presentare modelli tra loro diversi, esaurisce le possibilità del filosofare? La tradizione, pur essenziale per conservare una identità alla disciplina, può interdire la possibilità del nuovo, o è sua condizione? Sono le domande che guidano l'autore in una ricerca sulle forme logiche e retoriche della storiografia filosofica. Analizzando i paradigmi di Platone, Aristotele, Hegel - e di un acuto filosofo italiano, Luigi Scaravelli -, queste pagine mostrano la fecondità di una riflessione sulla pratica storiografica, imprescindibile per orientare la stessa attività del pensiero.
"Dio è presente ovunque sulla terra, e specialmente, con la sua grazia, nei cuori miti e umili. Poiché è l'Altissimo, Egli e anche l'Infinitamente Basso. Poiché è il Trascendente, Egli è anche l'Onnipresente. Gli umili e i docili sanno che Egli fa sì che tutto concorra al loro Bene, che il sassolino nella scarpa, la pozzanghera, lo scoglio e il pantano sono, per così dire, l'anticamera della sua santa Dimora. Perciò si abbandonano alla sua Volontà. E, dove questa Volontà si compie, noi viviamo sulla terra come fossimo in ciclo." (Fabrice Hadjadi)
Per quale motivo gli abitanti della Terra hanno da sempre avvertito la chiamata del Sacro? Qualsiasi nome sia stato assegnato a questo sentimento, si tratta di qualcosa di relativo alla volontà umana di conoscere. Una certa tradizione filosofica pare dirci che il compito dell’uomo è quello di ricercare la verticalità, mirando a spazi celesti, e lasciandosi alle spalle una processualità puramente orizzontale, la quale non può che spingerlo a lasciare lo spazio precedentemente occupato.
Donà, al contrario, invita il lettore a dubitare che il Sacro richiami l’uomo all’esteriorità, e a ipotizzare invece che esso lo chiami a partire dalle profondità di un mare incondizionato sul quale è sospesa la nostra fragile esistenza terrena. Soltanto il vero creatore, colui che è capace di portare il non essere all’essere, sarebbe dunque in grado di disvelare il carattere incondizionato proprio al Sacro.
Massimo Donà è docente ordinario di Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute, San Raffaele di Milano, dove insegna Metafisica e Ontologia dell’arte. Da diversi anni è curatore, con Romano Gasparotti, dell’opera postuma di Andrea Emo. Tra le sue numerose pubblicazioni, segnaliamo: Sulla negazione, Milano 2004; Filosofia della musica, Milano 2006; Arte e filosofia, Milano 2007; I ritmi della creazione. Big Bum, Milano 2009; Santificare la festa, Bologna 2010; Filosofia. Un’avventura senza fine, Milano 2010. Con Mimesis ha pubblicato: Il mistero dell’esistere. Arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di René Magritte, 2006; L’aporia del fondamento, 2008; La “Resurrezione” di Piero della Francesca, 2009; Il tempo della verità, 2010; Abitare la soglia, 2011.
Luca Taddio è dottore di ricerca in Filosofia, insegna Estetica all’Università di Udine. Il suo interesse di ricerca prevalente è la filosofia della percezione e la teoria dell’immagine. È autore di numerosi racconti filosofici, per lo più raccolti nel volume Spazi immaginali (2004).
Salvatore Lavecchia è docente di Storia della Filosofia Antica presso l’Università degli Studi di Udine. Ha pubblicato studi sulla lirica greca di età arcaica e classica (Pindari Dithyramborum Fragmenta, Roma 2000), sulla storia della religione greca, su Platone (Una via che conduce al divino. La «homoiosis theo» nella filosofia di Platone).
L'idea diffusa che papa Francesco sia 'forte' nella pastorale ma 'debole' nella dottrina è un equivoco, La grande espressività del pontefice vive infatti di una originale 'teologia narrativa', che è a un tempo tradizionale e innovativa, legata al quotidiano e rivolta a tutti, credenti e non. Nelle sue parole ricorrono appelli di solidarietà sociale per i più deboli, i temi della gioia, dell'amore e della misericordia; ma emergono anche concetti e passaggi problematici come l'Incondizionata misericordia' di Dio che lascia indeterminati alcuni motivi religiosi tradizionalmente fondamentali quali il castigo, la punizione e l'espiazione del peccato. Bergoglio mette così in atto una faticosa ridefinizione del concetto stesso di peccato: «siamo tutti peccatori» ma perdonati. Dietro al nuovo sforzo ermeneutico e semantico del pontefice si intravede un abbozzo di nuova e potente teologia. Dove porterà questa 'rivoluzione'? Quali sono i contraccolpi teologici e dottrinali? Gian Enrico Rusconi esplora le conseguenze della teologia narrativa di Francesco sulla Chiesa, sui laici e sulla società in generale.
L'idea di una rigenerazione del tempo, strettamente legata a una rinascita individuale e collettiva, costituisce il fondamento della Svolta cui fa riferimento il titolo. Questi tempi, in cui tutti facciamo esperienza di un ciclo epocale giunto al suo compimento, portano con sé il movimento salvifico di una Svolta, cui l'essere umano è chiamato a corrispondere con una rivoluzione radicale dell'intero orientamento conoscitivo, emotivo e pratico dell'esistenza. Alla luce di queste convinzioni viene preso in considerazione il pensiero di alcuni autori che ne sono stati in un certo senso gli anticipatori, tra i quali Martin Heidegger, Paul Celan, Arthur Rimbaud.
Quando Edith Stein, nel 1932, ottenne la cattedra presso l'Istituto di Pedagogia scientifica di Münster, aveva già dato ampia prova di possedere capacità pedagogiche e didattiche spiccate. Più sopito era stato invece il desiderio di sottoporre il tema pedagogico al vaglio di un'indagine teoretica. Ora a Münster, le appariva però urgente elaborare una filosofia dell'educazione che tenesse conto dell'essere umano nella sua interezza, anima e corpo, spirito e psiche. È l'argomento centrale delle lezioni inerenti al semestre invernale '32-33, confluite poi in questo volume: un resoconto delle sue riflessioni filosofiche sull'essere umano aggiornate dai suoi più recenti sviluppi teoretici e insieme un'azione didattica tesa a ricavare da un momento teorico una prassi educativa aperta al trascendente. Una nuova edizione critica che dà una rilettura del testo e cerca di cogliere la specificità sia del pensiero religioso della carmelitana che del pensiero filosofico della studiosa.
Nell'epoca in cui il discorso di Dio sembra confinato nello spazio delle private beliefes oppure spogliato dalla sua pretesa veritativa la proposta di Richard Schaeffler rivendica la sua sensatezza. La sua appassionata e rigorosa ricerca sul fenomeno religioso dimostra che l'uso del vocabolo Dio non è un abuso semantico, ma designa quella condizione trascendentale da cui dipende l'esistenza dell'essere umano.
II saggio cerca di ricostruire le linee generali del pensiero filosofico di Schaeffler, nel quale la questione dell'esperienza religiosa assume un ruolo decisivo. La sua lunga e variegata ricerca a proposito del confine fra filosofia e teologia offre un 'interessante elaborazione della questione di fondatezza del discorso religioso. La specifica composizione dell'approccio metodologico, elaborato da Schaeffler, permette di leggere l'esperienza del sacro. Il connubio organico tra i tre metodi (trascendentale, analitico e fenomenologico) restituisce alla conoscenza umana l'oggetto religioso nella sua datità originaria e permette di rintracciare una grammatica che struttura il campo dell'esperienza religiosa.
L'indagine schaeffleriana non si chiude nella mera analisi delle strutture aprioristiche che presiedono alla conoscenza, ma si apre a ciò che proviene dal Ding an sich. Per il filosofo tedesco la possibilità di esperienza dipende dalla capacità dell'uomo di accogliere l'appello della realtà in un contesto ordinato di vissuti. Di conseguenza, anche l'esperienza religiosa deve realizzare una forma specifica in cui avviene l'incontro tra la realtà numinosa e l'uomo.
L'impostazione metodologica di Schaeffier permette di far emergere il carattere dialogico tra i due poli di relazione, dimostrando come la libertà divina richieda una mediazione da parte dell'uomo per potersi manifestare. Dall'indagine religiosa di Schaeffier risulta quindi che l'uomo diventa capace di sillabare i suoi vissuti in un modo sensato quando riconosce che questa capacità è un dono conferitogli dalla bontà di Dio.
La teoria dialogica dell'esperienza viene anche applicata alla lettura della tradizione ebraico-cristiana. Quest'operazione serve per verificare l'idoneità di tale teoria nel cogliere la dimensione storica della rivelazione. Il rapporto fra l'universale e il singolare costituisce, infatti, il punto nevralgico di ogni impostazione trascendentale, che spesso fatica a dare una giusta rilevanza al carattere indeducibile della persona di Gesù Cristo. L'approccio metodologico di Schaeffler offre indubbiamente un tentativo valido di risposta a tale problema.
“La strada” è un libro centrale per avvicinarsi o approfondire il pensiero di Severino, che qui indaga sull’identità dell’Occidente attraverso i due elementi che la caratterizzano: la follia e la gioia. Il più profondo tra i pensatori italiani contemporanei offre qui una somma della sua filosofia, con un linguaggio critico molto attuale, accompagnandoci in un viaggio attraverso la civiltà moderna, fatto di contrapposizioni: da un lato la forza distruttiva della follia occidentale, dall’altro la gioia come verità e fonte di liberazione dai vincoli imposti dalla nostra civiltà. Così Severino allarga in modo decisivo l’orizzonte sugli elementi che contraddistinguono la nostra società.
«Così, dopo lunghe titubanze e una serie di soluzioni provvisorie, nel febbraio o marzo del 1893, meditando intensamente un giorno intero, alla sera abbozzai una memoria ... che fu come una rivelazione di me a me stesso» scrive Croce in "Contributo alla critica di me stesso". In effetti, a partire da questa «memoria» fervidamente antipositivistica ? volta a confutare le tesi di storici come Droysen e Bernheim ? Croce si libera dal suo passato, dalla «scrittura di erudizione» come lui stesso la definiva, e, nell'affrontare le complesse relazioni fra arte, scienza e storia, scopre la sua vera vocazione: l'interesse, prepotente, per le questioni teoriche e le indagini storiche di più ampio respiro. Leggendola, ritroveremo non solo «la facilità e il calore» con cui Croce la compose, ma tutta la forza dimostrativa di uno stile ineguagliabile.