
Scritto durante il soggiorno pietroburghese dell'autore, all'epoca ambasciatore del regno di Sardegna presso la corte dello zar Alessandro I, e uscito postumo nel 1821, "Le serate di San Pietroburgo" non è solo il capolavoro indiscusso di Joseph De Maistre, ma una pietra miliare del pensiero controrivoluzionario e un'opera che sta a buon diritto tra i classici del pensiero di tutti i tempi. In essa tre personaggi (un cavaliere francese emigrato in seguito alla Rivoluzione, un senatore russo di religione ortodossa e un conte, che è controfigura dell'autore) discutono, nella splendida cornice delle "notti bianche" pietroburghesi, di alcuni problemi centrali della vita umana e specialmente del mistero del bene e del male, unendo nel loro discorso storia e filosofia, politica e teologia, scienza e letteratura, sposandole in un'armonica visione del mondo fondata sulla fede nella Divina Provvidenza che opera nella storia e che confuta i principi del pensiero rivoluzionario e dell'età dei Lumi.
Lo sport è le sue regole. Partendo da questa idea, Giovanni Boniolo delinea un percorso in cui ricordi personali si uniscono a divagazioni più filosofiche e a suggestioni letterarie. Al centro dell'attenzione, l'aspetto etico dello sport, la fatica e il sudore degli allenamenti, l'onore del vincere e del perdere rispettando le regole, i giudici e gli avversari e il disonore del voler essere primi barando. Senza dimenticare la 'peak experience' del fuoriclasse, la felicità della vittoria, la complicità che nasce nello spogliatoio tra compagni di squadra, la bellezza del corpo e del gesto atletico, l'età adulta con i suoi ricordi e la consapevolezza che ormai il tempo delle competizioni se n'è andato.
Kierkegaard è stato spesso criticato per un suo preteso irrazionalismo ma, anche quando tale critica sembra meritata, la sua validità è più apparente che reale. Da quel vero pensatore che è, egli non è mai privo di ragioni profonde, nemmeno per le sue posizioni più stravaganti, e i suoi strali, anche a dispetto di certe sue frequenti dichiarazioni in senso contrario, sono rivolti non tanto contro la razionalità come tale ma contro una maniera di intenderla e di esercitarla che è troppo semplicistica e "a buon mercato": sì che a uno sguardo attento il preteso irrazionalista si rivela essere più profondamente e autenticamente razionalista di molti suoi detrattori. Questo libro, dedicato al pensatore danese, intende mostrare che la sua propensione per una religiosità paradossale e la sua avversione per la speculazione e per il pensiero oggettivo si fondano in definitiva sulla persuasione che il paradosso è l'unica alternativa a quella auto-contraddizione cui non sa invece sottrarsi il pensiero oggettivo. In particolare si vuol qui mettere in luce come la riflessione di Kierkegaard ruoti in gran parte intorno al paradosso genuinamente metafisico di una corporeità concepita come determinazione originaria del reale, irriducibile in quanto tale allo spirito: tale paradosso costituisce l'autentico fondamento dell'eroica ma non irragionevole "fede di Abramo" tratteggiata dal filosofo in Timore e tremore.
Sospese tra la consapevolezza delle limitate capacità umane e la certezza dell'onnipotenza divina, illuminanti considerazioni di un originale pensatore del XI secolo. Maestro e teologo, raffinato copista e originale pensatore tedesco del secolo XI, il monaco Otlone di Sankt Emmeram (1010-1070 ca.) è un misconosciuto ma affascinante testimone della prima stagione della riforma ecclesiastica e dello scontro tra papato e impero. Nel Liber de temptatione, una delle prime autobiografie del Medioevo, egli descrive i propri tormenti intellettuali, che culminano nell'idea - inaudita per l'epoca - che Dio possa non esistere. Dalla tentazione del razionalismo deviante e dallo scetticismo lo salvano illuminanti considerazioni filosofico-teologiche: il cosmo è governato da un Creatore benevolo; il male serve solo a esaltare il bene; l'osservazione della natura e la lettura della Bibbia bastano a suggerire le verità accessibili all'intelletto umano, sospeso tra la consapevolezza delle sue limitate capacità e la certezza dell'immensa trascendenza e onnipotenza divine.
"La richiesta di Dio, presto o tardi, raggiunge l'uomo dovunque. Benché di tutti i problemi quello di Dio sia il più arduo e complesso, esso batte alle porte della coscienza muovendo da tutti gli orizzonti dell'anima che s'interroga sulla nascita e sulla morte per dare un senso al suo futuro essenziale e vincere l'insidia immanente del tempo. Pertanto l'universalità del problema di Dio ed il corrispondente atteggiamento dell'uomo non hanno un significato puramente culturale ma esistenziale, non semplicemente conclusivo bensì drammaticamente evocativo e decisivo per la determinazione della qualità dell'essere stesso del mondo e dell'uomo in esso. Il tempo, che sembra emergere sull'essere, ad un certo momento - che è il momento della decisione - quasi si ferma per dare lo spazio alla libertà ed all'interrogazione essenziale." (Cornelio Fabro)
Che cosa sono le potenze dell'anima? A questa domanda che suonò alquanto peregrina nell'atmosfera tumultuosa degli anni intorno al 1968 Elémire Zolla, allora quarantaduenne e al suo quarto libro del ciclo di critica sociale, si cimentò a rispondere per un'esigenza anzitutto personale: esplorare le falde del mondo interiore, lo si chiami anima, psiche, coscienza, sé, intelletto o spirito e lì dentro, nel groviglio di un sentire comunemente tormentato e diviso, cogliere la radice dell'infelicità, del disincanto, dell'indifferenza dell'uomo contemporaneo, anche però una via all'emancipazione, al risveglio di energie salutari esplorate nelle tradizioni del pensiero profondo in Oriente e Occidente. Nella Parte prima Zolla scruta la 'prigione' di un'esistenza del tutto esteriorizzata e appiattita, con enorme anticipo sulle avvenute dipendenze dalle tecnologie digitali; ricostruisce le antiche e dimenticate terapie della malattia psichica, dal dionisismo all'incubazione onirica, all'eros sublimato nella poesia stilnovistica. Scandaglia la topografia dell'interiorità nella raggiera di metafore che a essa alludono giacché «quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna obbedire alle leggi dell'analogia»: il vento, l'ombra, il custode, il soffio, il nagual. Nella Parte seconda Zolla ricostruisce la tassonomia delle facoltà dell'uomo interiore nei repertori delle antiche civiltà, dall'Egitto a Israele, al Tibet, all'India, alla Cina taoista, ai mondi greco, romano e cristiano. Un libro antesignano, come i tanti di Zolla sul contrasto insanabile tra i 'poteri' dominanti secondo la logica mondana e le 'potenze' interiori ribelli alla sottomissione.
Disagi, ansie, paure, problemi, difficoltà contribuiscono certamente a rendere la nostra vita meno piena e felice. Ma non sono una malattia, la vita stessa non è una malattia e, proprio per questo, Prozac, Seroxat, Seurepin non possono aiutarci a vivere meglio il presente, e tantomeno cambiare il mondo che ci circonda. Ma se i farmaci non riescono a cambiare la nostra vita, la filosofia può farlo. Aristotele e Kant, Platone e Kierkegaard, Epicuro e Lao Tzu testimoniano che la filosofia può essere straordinariamente utile e pratica. Può vincere le nostre paure, insegnarci a utilizzare con profitto le nostre emozioni, trasformare il malessere in benessere. E aprirci gli occhi a una serie infinita di inesplorate possibilità.
Fin dalle origini, la nostra civiltà si è basata su una distinzione netta e inequivocabile tra persone e cose, fondata sul dominio strumentale delle prime sulle seconde. Questa opposizione di principio nasce con il diritto romano e percorre per intero la modernità, fino ad approdare all'attualità del mercato globale, producendo contraddizioni crescenti. Sebbene la distinzione continui ad apparirci chiara e necessaria, nella prassi giuridica, economica e tecnica assistiamo continuamente a un ribaltamento di fronte: alcune categorie di persone vengono assimilate alle cose, mentre alcuni tipi di cose acquistano un profilo personale. Per risolvere questa antinomia, Roberto Esposito - con il consueto rigore argomentativo - ci propone una via d'uscita, grazie a un nuovo punto di vista costituito dal corpo. Né persona né cosa, il corpo umano diventa l'elemento dirimente nel ripensamento dei concetti e dei valori che governano il nostro lessico filosofico, giuridico e politico.
Nel quadro del progetto editoriale «Percorsi Mechrí», la collana «Mappe del pensiero» mette annualmente a disposizione dei lettori i risultati della ricerca condotta dall'Associazione milanese «Mechrí / Laboratorio di filosofia e cultura», con la direzione organizzativa di Florinda Cambria e la supervisione scientifica di Carlo Sini. Preceduto da "Vita, conoscenza" (2018) e "Dal ritmo alla legge" (2019), il nuovo volume collettaneo "Le parti, il tutto" propone una retrospettiva sui lavori svolti a Mechrí nel 2017-2018. Tali lavori sono riattraversati dalla curatrice mediante un montaggio di testi e materiali grafici che rammentano il senso delle ricerche svolte da ciascuno degli Autori nel Laboratorio di Mechrí. Oggetto d'indagine condiviso è la relazione fra il molteplice e l'intero, interrogata entro una costellazione di linguaggi diversi. Filosofia e matematica, cinematografia e scienze naturali tracciano così un orizzonte transdisciplinare, nel quale ogni prospettiva testimonia il proprio essere manifestazione di un «sapere comune». Il volume è arricchito da un'ampia riflessione sul tema della transdisciplinarità, come criterio compositivo di funzioni o forme del conoscere, e da un'ampia riflessione sulla nozione stessa di «forma». In Appendice una raccolta di scritti, nati durante i recenti mesi di confinamento per emergenza sanitaria, esaminano gli effetti di didattica e «formazione a distanza» sulle attuali dinamiche di trasmissione e costruzione di conoscenza e coscienza collettiva. Contributi di Mario Alfieri, Enrico Bassani, Eleonora Buono, Florinda Cambria, Andrea Cavaggioni, Riccardo Conte, Francesco Emmolo, Rossella Fabbrichesi, Giovanni Fanfoni, Gianfranco Gavianu, Lorenzo Karagiannakos, Egidio Meazza, Manuela Monti, Andrea Parravicini, Gabriele Pasqui, Enrico Redaelli, Carlo Alberto Redi, Carlo Sini, Michela Torri, Fernando Zalamea.
È possibile preservare le parole dalla volgarizzazione pubblica? Quali circostanze favoriscono l'emergere e la trasmissione delle parole migliori? Che tipo di attività è l'ascolto? Quando è appropriato il silenzio e quando è giustificato gridare? Nello spazio pubblico, la democrazia ha bisogno di parole che circolino senza ostacoli e spesso le parole che si sentono sono quelle che meno lo meritano. Nelle reti e nei media le parole sono raramente coltivate con cura. Rimane al cittadino, rimpicciolito da una connessione ubiqua, la libertà di selezionare le voci a cui concedere autorità, che meritano di essere ascoltate. In tutti questi casi, la libertà di parola è sempre un atto di resistenza e di coraggio. Ma le parole giuste, quelle migliori, ci dice l'autore, ovviamente non si trovano nel pubblico, ma altrove, nei fenomeni quotidiani: «Per sentirle non ci vuole altro che fermarsi ad ascoltare come si parlano quelli che non soltanto condividono una lingua, ma anche l'aria, l'affetto e il destino». Prefazione di Alessandro Ferrara.
Le parole vivono e fanno vivere ma non sono vita: la rappresentano soltanto.
Al centro della riflessione sono le parole della cura, vale a dire alcuni termini chiave - medicina, terapia, farmaco, chirurgia - capaci di delineare nel loro insieme l'ambito, la natura, gli strumenti e le finalità di quella che convenzionalmente viene definita scienza medica. Nell'esplorazione di questo territorio, si risale più volte alle origini storico-concettuali della medicina, affondando anche nel repertorio mitologico, letterario e filosofico del mondo classico. Con la convinzione che, a differenza di ciò che si potrebbe superficialmente pensare, la storia della medicina non può essere paragonata a un album contenente l'illustrazione delle invenzioni più celebri. Al contrario, un primo passo per superare una concezione banalmente positivistica della medicina può essere compiuto da un lato valorizzandone il percorso storico, i successi e le sconfitte, e dall'altro misurandosi senza censure con le grandi questioni soggiacenti alle "parole" che ne definiscono il campo.