
«Lo studio di Kierkegaard fu da me vissuto sin dall'inizio come una necessaria integrazione della mia formazione metafisica, volta ai temi costitutivi dell'essere: temi che, per se stessi, sarebbero privi di senso se non fossero percorsi partendo dalla carne viva dell'esistenza e solo per ritornare nel suo cuore cercandone senso e destino». Virgilio Melchiorre raccoglie qui in un'unica opera i contributi che ha dedicato al pensiero di Søren Kierkegaard dal 1953 fino a oggi. Venti scritti che, mediante un'accurata ricognizione storico-teoretica del dettato kierkegaardiano, ne analizzano i diversi aspetti - estetico, etico, teologico - senza tralasciarne la valenza critica rispetto alle categorie di un idealismo oramai al tramonto. Attraversando oltre mezzo secolo di ricezione italiana del filosofo danese, il volume è a un tempo occasione e testimonianza: occasione, per chiunque intenda comprendere e approfondire il pensiero di Kierkegaard, di accedere a testi ancora fondamentali e ormai difficilmente reperibili; testimonianza di un percorso di ricerca e di riflessione rigoroso, di alto valore etico e teoretico, caratterizzato dalla tenace attenzione alla struttura ontologica dell'essere umano e alla trascendenza metafisica del suo fondamento nella loro inscindibile unione.
La dimensione estetica associa l'umano sentire a un "comune" che si è soliti qualificare "universale" per via di una natura percettivo-sensibile di cui tutti siamo partecipi e che l'arte trasfigura in forme. Di questo sentire ci parlano le voci diversissime eppure segretamente accordate di venti figure esemplari della cultura moderna che hanno intrecciato nei loro sguardi Occidente e Oriente e che sono qui ripartite sotto tre insegne. La prima, Sguardi da Occidente, allinea le voci di Goethe, Schlegel, Schopenhauer, Montessori, Rilke, Focillon, Lacan, Malraux, Lévi-Strauss, Dorfles, Barthes, Zolla. Sotto la seconda, Sul confine tra Occidente e Oriente, troviamo Solov'ëv e Florenskij. La terza, Sguardi da Oriente, raccoglie le interpretazioni di Tagore, Nishida Kitar?, Coomaraswamy, Kuki Sh?z?, Fung Yu-lan, François Cheng. Sono venti perle di un pensiero comparativo con due secoli di storia scelte per costituire un unico filo di riflessioni sulla bellezza, sullo svelarsi inesauribile dei suoi riflessi; perché, come dice Solov'ëv, «la bellezza non appartiene né al corpo materiale del diamante né al raggio di luce che quello rifrange ma è un prodotto d'ambedue nella loro azione reciproca».
Lo studio qui presentato è la ripresa e l’approfondimento di alcuni articoli pubblicati nel decennio scorso.
Plotino, filosofo platonico del III secolo d.C., ha ridato slancio alla filosofia che si era dispersa in tante questioni settoriali, ha fatto dei testi di Platone un punto di riferimento costante ed ha inglobato nella loro rilettura anche molte argomentazioni aristoteliche e stoiche, ha ricuperato la creatività presocratica e rinnovato l’instancabile interrogare di Socrate. Con lui iniziano i tre secoli fecondi del neoplatonismo, un platonismo che ingloba in sé anche Aristotele e non ignora la tendenza alla sistematicità come nelle riflessioni etiche degli stoici. La filosofia è elevata a via della salvezza, religione dell’intelligenza, ascesi delle virtù, ricupero della dignità umana. La filosofia è minacciata dal misticismo religioso e insidiata dalla tentazione di arrendersi allo scetticismo. Plotino è profondamente mistico ma non lascia prevalere sulla ragione il turbinio delle fantasie come nelle correnti gnostiche, è fortemente dialettico ma senza cadere nell’arroganza della ragione come negli stoici e negli epicurei, è un instancabile ricercatore che non si disperde nell’erudizione sterile come nei sofisti del proprio tempo.
Il fondatore del neoplatonismo, che si sentiva solo un sincero platonico, ha offerto alle riflessioni filosofiche una nuova potente prospettiva, la totalità della realtà vista alla luce dell’Uno che la trascende e la vivifica, rende l’uomo consapevole della propria inquietudine e della propria dignità nel forte legame naturale con la dimensione divina, la possibilità di superare le innumerevoli articolazioni del male senza farne una divinità alternativa come nel contemporaneo manicheismo, di riscoprire le vie per ritornare alla propria origine. Plotino può essere considerato un simbolo di come l’incontro tra le diverse culture rende molto più creativa la mente umana: un egiziano che è filosofo greco e cittadino romano, un platonico che studia Aristotele e rielabora concetti stoici, un ispirato che non cala dall’alto le sue sentenze ma le discute dialetticamente per consolidarle, un mistico che esalta la ragione ma la apre al trascendente.
Plotino esalta la bellezza del mondo sensibile contro il disprezzo degli gnostici, rivede il modo di considerare la materia, modo spesso fraintesi da vari studiosi eppure fondamentale per comprendere come Plotino possa considerare il mondo sensibile non una prigione dell’anima ma un capolavoro della provvidenza divina. Il classico dualismo platonico tra anima e corpo non diventa disprezzo del corpo, nonostante le contrapposizioni dialettiche, ma porta alla riscoperta della bellezza autentica del corpo che favorisce il ricupero ancora maggiore della ricchezza dell’anima. La prima Via per il ritorno all’Uno, la via etica, consiste nella pratica delle virtù. L’essenza delle virtù sta nella purificazione dell’anima per accrescere in essa la libertà che la rende sensibile alla bellezza superiore. Le due Vie che risvegliano l’anima dal torpore della mediocrità sono la Via della bellezza che porta a rinnovare la vita per tutti gli uomini e la Via dell’amore che rinnova tutti i viventi. La Via della dialettica richiede una buona maturazione nell’etica, il gusto della bellezza proprio dell’artista e lo slancio interiore tipico dell’innamorato.
Virtù, bellezza, amore e dialettica sono le diverse Vie all’Uno. Queste diverse Vie non arrivano direttamente all’Uno ma solo alla sua soglia; oltre quella soglia non funzionano né le argomentazioni della ragione né le intuizioni dell’intelletto, né il fascino della bellezza né lo slancio dell’amore, se non sono stati previamente purificati in modo radicale in ulteriore procedimento: la semplificazione.
Maurizio Marin, nato a Casoni di Mussolente (Vicenza) nel 1955, è ordinario di Storia della Filosofia Antica all’Università Pontificia Salesiana di Roma. Oltre a numerosi articoli e diversi volumi frutto dei convegni organizzati nell’Istituto di Scienze della Religione nella Facoltà di Filosofia, ha pubblicato Il fascino del divino (LAS 2000) e L’estasi di Plotino (LAS 2007).
"Le verità del corpo" costituisce una analisi profonda ma divulgativa in cui Natoli, attraverso vari richiami alla storia della filosofia, da Platone e Cartesio, da Spinoza a Nietzsche, si confronta con il tema della corporeità.
"Le tribolazioni del filosofare" è il viaggio allegorico di un Poeta attraverso il buio inferno dell'intelletto, nella spirale dell'errore, alla ricerca di una via d'uscita dalla condizione di stallo e confusione diffusa nella quale sarebbe precipitato. Non sfuggiranno le affinità, sul piano dello stile come su quello dell'architettura complessiva, tra questo poema filosofico e l'"Inferno" di Dante: là Virgilio, qui Socrate; là i peccati, qui gli errori; là i golosi, gli iracondi, gli eretici, i traditori della patria o del partito, qui gli scettici, i dualisti, i realisti ingenui, i fedeli al linguaggio e ai miti facili. Le annotazioni dei curatori ricostruiscono analogie e divergenze con dovizia di dettagli, ma quale sia esattamente il nesso tra le due opere non è dato di sapere. Quel che è certo è che questa "comedia metaphysica" è una testimonianza autentica. È il poema di una vita. È il viaggio ispirato e ispiratore di chi appetisce all'Amore per la Sapienza e, prima ancora, alla purificazione dell'intelletto: quella purificazione liberatoria di cui in fin dei conti abbisogniamo tutti, anche noi, soprattutto noi, filosofi di nascita ma non di costumi, in questa buia contemporaneità.
Scritto durante il soggiorno pietroburghese dell'autore, all'epoca ambasciatore del regno di Sardegna presso la corte dello zar Alessandro I, e uscito postumo nel 1821, "Le serate di San Pietroburgo" non è solo il capolavoro indiscusso di Joseph De Maistre, ma una pietra miliare del pensiero controrivoluzionario e un'opera che sta a buon diritto tra i classici del pensiero di tutti i tempi. In essa tre personaggi (un cavaliere francese emigrato in seguito alla Rivoluzione, un senatore russo di religione ortodossa e un conte, che è controfigura dell'autore) discutono, nella splendida cornice delle "notti bianche" pietroburghesi, di alcuni problemi centrali della vita umana e specialmente del mistero del bene e del male, unendo nel loro discorso storia e filosofia, politica e teologia, scienza e letteratura, sposandole in un'armonica visione del mondo fondata sulla fede nella Divina Provvidenza che opera nella storia e che confuta i principi del pensiero rivoluzionario e dell'età dei Lumi.
Lo sport è le sue regole. Partendo da questa idea, Giovanni Boniolo delinea un percorso in cui ricordi personali si uniscono a divagazioni più filosofiche e a suggestioni letterarie. Al centro dell'attenzione, l'aspetto etico dello sport, la fatica e il sudore degli allenamenti, l'onore del vincere e del perdere rispettando le regole, i giudici e gli avversari e il disonore del voler essere primi barando. Senza dimenticare la 'peak experience' del fuoriclasse, la felicità della vittoria, la complicità che nasce nello spogliatoio tra compagni di squadra, la bellezza del corpo e del gesto atletico, l'età adulta con i suoi ricordi e la consapevolezza che ormai il tempo delle competizioni se n'è andato.
Kierkegaard è stato spesso criticato per un suo preteso irrazionalismo ma, anche quando tale critica sembra meritata, la sua validità è più apparente che reale. Da quel vero pensatore che è, egli non è mai privo di ragioni profonde, nemmeno per le sue posizioni più stravaganti, e i suoi strali, anche a dispetto di certe sue frequenti dichiarazioni in senso contrario, sono rivolti non tanto contro la razionalità come tale ma contro una maniera di intenderla e di esercitarla che è troppo semplicistica e "a buon mercato": sì che a uno sguardo attento il preteso irrazionalista si rivela essere più profondamente e autenticamente razionalista di molti suoi detrattori. Questo libro, dedicato al pensatore danese, intende mostrare che la sua propensione per una religiosità paradossale e la sua avversione per la speculazione e per il pensiero oggettivo si fondano in definitiva sulla persuasione che il paradosso è l'unica alternativa a quella auto-contraddizione cui non sa invece sottrarsi il pensiero oggettivo. In particolare si vuol qui mettere in luce come la riflessione di Kierkegaard ruoti in gran parte intorno al paradosso genuinamente metafisico di una corporeità concepita come determinazione originaria del reale, irriducibile in quanto tale allo spirito: tale paradosso costituisce l'autentico fondamento dell'eroica ma non irragionevole "fede di Abramo" tratteggiata dal filosofo in Timore e tremore.
Sospese tra la consapevolezza delle limitate capacità umane e la certezza dell'onnipotenza divina, illuminanti considerazioni di un originale pensatore del XI secolo. Maestro e teologo, raffinato copista e originale pensatore tedesco del secolo XI, il monaco Otlone di Sankt Emmeram (1010-1070 ca.) è un misconosciuto ma affascinante testimone della prima stagione della riforma ecclesiastica e dello scontro tra papato e impero. Nel Liber de temptatione, una delle prime autobiografie del Medioevo, egli descrive i propri tormenti intellettuali, che culminano nell'idea - inaudita per l'epoca - che Dio possa non esistere. Dalla tentazione del razionalismo deviante e dallo scetticismo lo salvano illuminanti considerazioni filosofico-teologiche: il cosmo è governato da un Creatore benevolo; il male serve solo a esaltare il bene; l'osservazione della natura e la lettura della Bibbia bastano a suggerire le verità accessibili all'intelletto umano, sospeso tra la consapevolezza delle sue limitate capacità e la certezza dell'immensa trascendenza e onnipotenza divine.
"La richiesta di Dio, presto o tardi, raggiunge l'uomo dovunque. Benché di tutti i problemi quello di Dio sia il più arduo e complesso, esso batte alle porte della coscienza muovendo da tutti gli orizzonti dell'anima che s'interroga sulla nascita e sulla morte per dare un senso al suo futuro essenziale e vincere l'insidia immanente del tempo. Pertanto l'universalità del problema di Dio ed il corrispondente atteggiamento dell'uomo non hanno un significato puramente culturale ma esistenziale, non semplicemente conclusivo bensì drammaticamente evocativo e decisivo per la determinazione della qualità dell'essere stesso del mondo e dell'uomo in esso. Il tempo, che sembra emergere sull'essere, ad un certo momento - che è il momento della decisione - quasi si ferma per dare lo spazio alla libertà ed all'interrogazione essenziale." (Cornelio Fabro)
Che cosa sono le potenze dell'anima? A questa domanda che suonò alquanto peregrina nell'atmosfera tumultuosa degli anni intorno al 1968 Elémire Zolla, allora quarantaduenne e al suo quarto libro del ciclo di critica sociale, si cimentò a rispondere per un'esigenza anzitutto personale: esplorare le falde del mondo interiore, lo si chiami anima, psiche, coscienza, sé, intelletto o spirito e lì dentro, nel groviglio di un sentire comunemente tormentato e diviso, cogliere la radice dell'infelicità, del disincanto, dell'indifferenza dell'uomo contemporaneo, anche però una via all'emancipazione, al risveglio di energie salutari esplorate nelle tradizioni del pensiero profondo in Oriente e Occidente. Nella Parte prima Zolla scruta la 'prigione' di un'esistenza del tutto esteriorizzata e appiattita, con enorme anticipo sulle avvenute dipendenze dalle tecnologie digitali; ricostruisce le antiche e dimenticate terapie della malattia psichica, dal dionisismo all'incubazione onirica, all'eros sublimato nella poesia stilnovistica. Scandaglia la topografia dell'interiorità nella raggiera di metafore che a essa alludono giacché «quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna obbedire alle leggi dell'analogia»: il vento, l'ombra, il custode, il soffio, il nagual. Nella Parte seconda Zolla ricostruisce la tassonomia delle facoltà dell'uomo interiore nei repertori delle antiche civiltà, dall'Egitto a Israele, al Tibet, all'India, alla Cina taoista, ai mondi greco, romano e cristiano. Un libro antesignano, come i tanti di Zolla sul contrasto insanabile tra i 'poteri' dominanti secondo la logica mondana e le 'potenze' interiori ribelli alla sottomissione.
Disagi, ansie, paure, problemi, difficoltà contribuiscono certamente a rendere la nostra vita meno piena e felice. Ma non sono una malattia, la vita stessa non è una malattia e, proprio per questo, Prozac, Seroxat, Seurepin non possono aiutarci a vivere meglio il presente, e tantomeno cambiare il mondo che ci circonda. Ma se i farmaci non riescono a cambiare la nostra vita, la filosofia può farlo. Aristotele e Kant, Platone e Kierkegaard, Epicuro e Lao Tzu testimoniano che la filosofia può essere straordinariamente utile e pratica. Può vincere le nostre paure, insegnarci a utilizzare con profitto le nostre emozioni, trasformare il malessere in benessere. E aprirci gli occhi a una serie infinita di inesplorate possibilità.

