
Pronunciata all'Athénée Royal nel 1819, questa conferenza è il testo teorico più noto e discusso di Benjamin Constant. La sua dicotomia fra libertà degli antichi e libertà dei moderni ha suscitato un dibattito sui rapporti fra libertà politica e civile, cittadino e Stato, diritti dell'individuo e soprusi del potere, che dura tuttora. La presente edizione inquadra il testo nell'insieme del pensiero constantiano e del momento storico, nonché il suo posto nel quadro dello sviluppo del pensiero liberale: l'introduzione di Giovanni Paoletti, basata su una disamina dei manoscritti e delle varianti, ne ricostruisce il contesto e la struttura argomentativa; il saggio di Pier Paolo Portinaro ne propone un'attualizzazione.
Questo libro offre una sintesi del pensiero di Krishnamurti sulla condizione umana e sugli eterni problemi della vita. Le sue parole sono tratte da più di cento discorsi, che risalgono all'anno più produttivo della sua vita. Fu lo stesso Krishnamurti a chiedere a Mary Lutyens, sua grande amica e autrice dell'unica sua biografia completa (La vita e la morte di Krishnamurti, Ubaldini, Roma 1990), di compilare per lui questo libro suggerendone il titolo. Le parole sono sue, inalterate; la disposizione, intesa per facilitare la comprensione del lettore, è di Mary Lutyens. Secondo Krishnamurti è possibile cambiare noi stessi radicalmente a qualunque età, non in un lungo periodo di tempo ma istantaneamente, e, cambiando noi stessi, è possibile cambiare tutta la struttura della società e dei nostri rapporti. Il bisogno vitale del cambiamento e la sua necessità sono l'essenza di ciò che Krishnamurti vuol comunicare. Non si può parlare di insegnamento di Krishnamurti perché egli stesso non si pone come un maestro; non si può parlare di una sua filosofia perché egli non vuole essere detto filosofo. Krishnamurti stesso dice che le sue parole sono soltanto uno specchio in cui rimirarci. Chi sa guardare intrepidamente se stesso nello specchio delle sue parole non sarà mai più lo stesso, ma se lo specchio è appannato dal caldo alito della discordia non si potrà vedere assolutamente nulla.
"Cosa significa la parola “libertà”? Cosa chiediamo davvero quando pretendiamo più libertà? Salvatore Veca definisce i contorni di un termine così quotidiano da apparire oggi quasi svuotato di senso, e restituisce al lettore una preziosa mappa di viaggio tra le teorie che attorno a questo concetto hanno dato forma a politiche e visioni sociali. John Stuart Mill, Isaiah Berlin, Norberto Bobbio, John Rawls; e ancora la differenza tra libertà negativa e libertà positiva, la struttura delle cosiddette “comunità di libertà” e infine il rapporto di priorità tra uguaglianza e libertà. Salvatore Veca firma un saggio filosofico rapido e chiaro, che offre al lettore gli strumenti e le coordinate necessarie per una comprensione piena del significato di uno dei temi più urgenti del dibattito politico e sociale contemporaneo."
In una memorabile scena del "Giulio Cesare" di Shakespeare, Cassio, dopo l'uccisione del dittatore, si rivolge alla folla di Roma invocando "Liberty, Freedom, and Enfranchisement", ovvero libertà, indipendenza ed emancipazione. Queste tre parole indicano per Giulio Giorello tre aspetti costitutivi dell'esperienza libertaria. Liberty (libertà) riguarda le nostre facoltà esercitate senza alcuna costrizione; molto, qui, ha a che fare con la scienza, l'attività umana che forse più di altre esige libertà per progredire. Freedom (indipendenza) denota una ragione che opportunamente riconosce l'inevitabile potere delle passioni, con tutti i vincoli che queste comportano; ma resta una libertà strutturale, che rende responsabili le nostre scelte, pur sapendo che non tutto ciò che noi crediamo libero può dirsi davvero tale. Enfranchisement (emancipazione) è il processo di affrancamento da qualsiasi condizione servile, che rimanda, se necessario, alla lotta che donne e uomini combattono per fare della propria libertà uno strumento per avere ancora più libertà, perché "la libertà può essere ristretta, ma solo a vantaggio della libertà stessa".
L'Occidente ha sempre coltivato e trasmesso un'immagine di se stesso come terra della libertà. Si tratta di un'autorappresentazione potente e ancora oggi attuale, profondamente radicata nella nostra cultura a partire dalla Grecia antica: basti pensare all'orazione funebre pronunciata da Pericle per i morti del Peloponneso e riportata da Tucidide nelle sue Storie. Attraverso la lettura di alcuni dei testi più significativi sulla libertà prodotti dal pensiero politico occidentale, dallo stesso Tucidide fino alla teoria della giustizia di John Rawls, questo volume propone un percorso che tocca tutte le declinazioni assunte dalla tematica della libertà e del mondo "libero".
Cos'è successo in questi anni che hanno aperto il nuovo millennio? Che senso dare ad accadimenti catastrofici o irrisori, tragici o futili, alle guerre, alle mode, alle nuove parole d'ordine? Come tenere insieme nella lingua di ogni giorno fatti, notizie e concetti incomparabili? Con cadenza diaristica Rocco Ronchi, filosofo e comunicatore internettiano, ha registrato settimana dopo settimana gli avvenimenti planetari - dall'attacco terroristico al ritrovamento di un polpo gigante su una spiaggia cilena -, e le parole-chiave attraverso cui quegli avvenimenti diventavano leggibili. L'attualità è opaca. I media aggravano questa specie di accecamento. La comunicazione diventa il principale campo di battaglia di un'umanità sempre più divisa. Per questo è necessario rivolgere l'arma della critica contro la banalizzazione della lingua, che è la premessa di ogni altra distruzione morale e materiale. Non per aggiungere un'altra opinione alle tante già espresse, ma per compiere ogni volta da capo, con semplicità, l'esercizio filosofico praticandolo sui materiali della vita quotidiana. Il risultato è un lessico di inesauribile ricchezza, che può essere consultato in vari modi: per argomento, per cronologia (2000-2006), attraverso i personaggi della scena pubblica. È al tempo stesso un diario speculativo e un dizionario della contemporaneità che, nelle sue centosessantasette voci, coniuga concisione, profondità e chiarezza.
Sulla questione del libero arbitrio filosofi, teologi e scienziati si interrogano da più di due millenni: tuttavia essa conserva intatta la sua problematicità. Già Kant sosteneva che la libertà, per quanto indispensabile sotto il profilo morale, non sia dimostrabile sul piano teorico. Nel volume il tema viene illustrato da studiosi di diversa formazione, intrecciando ricostruzione storica e analisi concettuale. I contributi mettono in luce le alternative teoriche e i nuclei tematici cruciali, emersi di volta involta nei singoli autori o nei diversi periodi, con l'obiettivo di chiarire il senso complessivo di un dibattito che occupa ancora una posizione centrale sulla scena della riflessione filosofica contemporanea.
Un'introduzione generale alla discussione sulla libertà di scelta e di azione. L'accento è posto sul dibattito contemporaneo, senza tralasciare la tradizione classica. Vengono analizzate questioni come la possibilità e la natura della libertà, il nesso tra libero arbitrio e responsabilità, il rapporto tra determinismo e libertà. Dalla definizione dei termini della discussione, l'autore passa all'enunciazione delle principali concezioni della libertà, mostrandone pregi e limiti, e all'analisi di alcune importanti posizioni scettiche.
DESCRIZIONE
Presentiamo il secondo volume della collana «In Filosofia», nella quale vengono raccolti alcuni studi filosofici del professor Maurizio Malaguti, noto filosofo bolognese morto nel 2018.
AUTORE
MAURIZIO MALAGUTI (1942-2018) Distinto studioso delle scienze filosofiche, in particolare del contributo cristiano alla storia del pensiero, è stato docente di Filosofia della religione, Ermeneutica filosofica e Filosofia teoretica presso l’Università degli studi di Bologna. Al momento della morte era Presidente del Centro Studi Bonaventuriano di Bagnoregio.
Il titolo allude a I demoni di Dostoevskij, che sono assunti a simbolo dei due grandi mali che hanno condotto alle tragedie del Novecento e hanno alimentato le ideologie totalitarie: il mito della palingenesi sociale e il mito della gestione scientifica dei processi sociali. L'idea aberrante che l'umanità debba essere ricostruita dalle fondamenta ha generato quell'"odio di sé" che ha corrotto la civiltà europea e che François Furet ha definito come la capacità di generare uomini che odiano l'aria che respirano senza averne mai conosciuta un'altra. Le manifestazioni estreme di questa malattia – lager e gulag – esprimono quei miti fondatori: i miti palingenetici (politica razziale o purificazione sociale di classe), la gestione scientifica della deportazione, del lavoro forzato e dello sterminio di massa. L'umanità europea compie azioni di penitenza ma sembra non aver compreso le radici della catastrofe che l'ha devastata. L'"odio di sé" si manifesta nelle ideologie postcomuniste e dell’estremismo pacifista; mentre l'adesione critica all'ideologia scientista assume le forme di un relativismo radicale che nega ogni spazio all'etica, alla morale e alla religione nella vita pubblica, e oltretutto nega la scienza come conoscenza, aumentando così il degrado civile.
Cos'è il liberalismo? Difesa della libertà personale, della libertà privata, anti-statalismo, concorrenza, bene comune, tolleranza, sussidiarietà? Niente di tutto questo. Il liberalismo è una ribellione nei confronti della legge naturale, in particolare delle sue declinazioni morali e religiose. Durante la Guerra Fredda l'ideologia liberale e il cattolicesimo hanno avviato un processo di avvicinamento in funzione anti-sovietica. Ora, a trent'anni dalla caduta del muro di Berlino, questa alleanza ha ancora senso? Cattolicesimo e liberalismo sono compatibili? È possibile essere contemporaneamente cattolici e liberali? Quali sono i punti di contatto, e quali le differenze tra queste due filosofie? L'ideologia che ha vinto il confronto con il comunismo e che, dopo la caduta della «cortina di ferro» sembrava destinata a governare il mondo, pare aver perso gran parte del suo fascino. Liberato da quello che sembrava essere il suo antagonista, il comunismo marxista, il liberalismo ha mostrato ai popoli un volto meno amichevole e invitante, sempre più simile a quello dell'antico avversario. Quale, quindi, può essere il giudizio della Chiesa sul liberalismo e sulla sua versione economica, il liberismo? Che rapporto può intercorrere tra i cattolici e il liberalismo? La risposta è nella definizione di liberalismo che lo psicologo Roberto Marchesini fornisce con questo suo lavoro approfondito e documentato, tuttavia semplice e accessibile a chiunque. Una Introduzione di Stefano Fontana, direttore dell'Osservatorio Internazionale Cardinale van Thuân, impreziosisce il volume.

